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Teatro della Concezione

Sul suo palco si alternarono spettacoli musicali e illusionistici, numeri da circo e intrattenimenti vari
Maria Chiara Mazzi

Nel viaggio che stiamo compiendo tra i teatri "scomparsi" della Bologna di una volta abbiamo ormai imparato che dal Settecento esistono due principali tipologie di proprietari.

 

Da un lato stanno i nobili, che nei loro antichi palazzi ricavano teatri più o meno ampi per ospitare artisti, organizzare manifestazioni private o, in alcuni casi, promuovere stagioni teatrali, di prosa e di musica, destinate ad un pubblico pagante.

 

Dall’altro lato stanno quelli che, a inizio Ottocento, vengono definiti "immobiliaristi", cioè affaristi di pochi scrupoli i quali, approfittando della dismissione dei beni ecclesiastici operata dal governo giacobino all’arrivo delle truppe napoleoniche, acquistano chiese, oratori e conventi per costruirvi all’interno un teatro, all’epoca garanzia di rendita sicura. I teatri costruiti in questi luoghi sono di grandezza e tipologia differente: possiamo trovare costruzioni molto capienti oppure piccoli spazi particolari, come il protagonista del nostro racconto, il Teatro della Concezione, detto anche Teatro dei Dilettanti, allestito nella chiesa delle monache agostiniane della SS. Concezione di via Saragozza, acquistata nel 1799 dalla famiglia Privat. Il teatro inizia la sua attività solo nel 1808 e sul suo palcoscenico si esibiscono quasi solo compagnie di prosa formate da dilettanti, che pure non temono di cimentarsi nelle pièces di Goldoni e di Alfieri e propongono “accademie di poesia estemporanea”, alternandosi con spettacoli di arte varia realizzati da marionette.

 

Con la Restaurazione, i Privat riescono ad aggiudicarsi il materiale di scena dal dismesso Teatro Taruffi e affidano il Teatro della Concezione ad una delle più attive tra le compagnie semi-professionali della città, quella dei Filodrammaturgi, diretta nientemeno che da Carlo Bruera.

Lo spazio occupato dal Convento delle monache della Concezione - Bologna

In questa compagnia si alternano nel corso degli anni figure importanti della cultura bolognese della prima metà del secolo, attori che diventeranno ferventi patrioti, come Federico Pescantini e Camillo Querzoli, Alamanno Leonesi e, soprattutto, Gustavo Modena, letterato e mazziniano, a Bologna per studiare legge all’Università, dove si laureerà nel 1821.

 

Dal 1819 l’offerta si allarga a quello che oggi definiremmo “varietà”, e nelle serate si alternano spettacoli musicali e illusionistici, numeri da circo e intrattenimenti vari.

 

Come ad esempio il 26 dicembre di quell’anno, quando il manifesto reclamizza il “cittadino bolognese Luigi Sasselli” che propone “un breve numero di Rappresentazioni di Giuochi Meccanici e Matematici, che eseguirà colla maggiore destrezza, come praticò in altre piazze con macchine ed ornamenti del tutto nuovi” e “seguendo i dettami della necessaria prudenza, nulla promette e si riserva a dar saggio di sé medesimo”.

 

Il successo della serata è tale che il Sasselli viene richiamato anche l’anno successivo, il 12 marzo 1820, con la promessa al pubblico “di sorprendenti esperimenti”, cioè “di nuovi giochi e piacevoli macchine che faranno parere un nulla tutto ciò che operossi in precedenza”. Questa volta sarà poi proposto anche un numero di fantasmagoria, “La sedia di Proserpina, ovvero Il Spirito errante discacciato dall’infernale Abisso” che, stando alle parole del manifesto, viene praticato in tutta Italia solamente dal Sasselli.

 

Nonostante tutto, e forse anche per la spietata concorrenza dei tanti altri luoghi destinati in città ai pubblici spettacoli, il Teatro della Concezione fatica a rimanere sulla piazza: reggerà fino al 1823, quando verrà definitivamente chiuso e trasformato in bottega artigiana.

 

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