Fare il museo con le mani

La Via Emilia come storia di esperienza condivisa
Maria Chiara Mazzi

Raccontare la Via Emilia non significa descrivere una strada. È inseguire un filo che attraversa secoli e paesaggi, lasciarsi trasportare da un movimento che non si arresta mai. Non è una linea d’asfalto: è una storia che si riscrive a ogni passo, un paesaggio che si apre a chi sa guardare da angolazioni diverse. Calvino ricordava che lo sguardo non è mai fermo, anche quando restiamo immobili: scrivere di una strada è seguirne le curve nella mente, attraversarne le epoche, ascoltarne le voci sommerse. La Via Emilia è un viaggio nel tempo: i carri romani che la solcavano, i mercanti medievali, i pellegrini, fino alle automobili di oggi che la percorrono senza accorgersi che sotto l’asfalto pulsa ancora la memoria. Mappa tattile del Museo Civico Archeologico - Castelfranco EmiliaOgni pietra racconta una storia, componendo un palinsesto vivo che appartiene a chi lo osserva e a chi lo sogna. Dentro questo paesaggio in movimento si colloca il Museo Archeologico di Castelfranco Emilia, ripensato come una stazione viatoria contemporanea. Non un luogo dove fermarsi, ma un punto da cui partire. Come la strada romana connetteva luoghi e persone, il museo oggi connette tempi, linguaggi e sensibilità, offrendo a chi entra la possibilità di muoversi in autonomia, senza barriere. Il museo è spazio percorribile e accogliente. I percorsi tattiloplantari guidano chi non vede e due mappe visuo-tattili, una per l’interno e una rivolta al territorio, invitano a perdersi e ritrovarsi. Il booklet, in formato digitale e in Braille, apre strade verso città, campagne e binari ferroviari. È dunque un nodo che raccoglie ciò che è stato e lo rilancia verso ciò che sarà. Il cuore del progetto risiede nel gesto artigianale. Tra le sale si esplorano copie tattili di reperti, realizzate presso l’atelier Tolomeo dell’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza. Oggetti nati dal “fare con le mani per le mani”. È un atto semplice e antico: chi plasma la materia anticipa il movimento di chi un giorno la percorrerà per conoscerla. Il tatto ha memoria e coscienza: sa seguire le superfici, riconoscere i rilievi, leggere i dettagli. Toccando, restituisce storie che gli occhi non vedono. In quel passaggio silenzioso, dal gesto che crea a quello che scopre, si compie una trasmissione profonda. Così il museo diventa laboratorio di esperienze, spazio dove l’archeologia incontra l’immaginazione. Ogni reperto, ogni copia tattile, ogni traccia del passato non è solo testimonianza, ma l’inizio di un racconto nuovo. La Via Emilia torna allora a mostrarsi non come semplice infrastruttura, ma come tessuto di esperienze, linea che connette tempi e persone. Oggi continua a farsi specchio dell’identità emiliana: una strada viva, che non si limita a essere percorsa, ma che ci attraversa, depositando in noi le sue storie. Non è un caso che scrittori, musicisti e fotografi abbiano scelto di raccontarla. Luigi Ghirri l’ha vista come spina dorsale della regione; Gianni Celati ne ha fatto teatro narrativo; Francesco Guccini l’ha evocata come confine tra radici e desiderio. Tutti hanno riconosciuto lo stesso principio: la Via Emilia non è mai solo un luogo, ma una trama di memorie e sogni che si intrecciano.

 

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