Il "Tetraone"

Beethoven, Quartetto per pf. op.16 - Schubert, Quintetto la “Trota”
Enzo Vignoli

Un’edizione non recente del dizionario Tullio De Mauro, alla voce “Tetraone” riporta la descrizione «nome comune di alcuni uccelli della famiglia dei Fasianidi». Altre fonti aggiungono che tali animali, detti anche “galli delle praterie”, sono diffusi negli Stati Uniti d’America e in gran parte del Canada.

Chi scrive, ammette senza problemi che non aveva la più pallida idea del significato di quel termine, tanto da essergli venuta alla mente, dapprima e con involontario automatismo, la pressoché proverbiale frase manzoniana: «Carneade! Chi era costui?».

Paolo Ballanti, violoncellista di questa costola dell’Accademia Bizantina sorta per esplorare un repertorio musicale relativamente poco frequentato, ad una specifica domanda ha risposto che l’idea di battezzare in quel modo il nuovo gruppo musicale gli è venuta da un libro di fiabe letto spesso ad una della sue figlie e che ha per protagonista quel volatile. Il possibile gioco di parole col connubio fra il prefisso greco “tetra” e l’inglese “one” (4 + 1) ha reso immediatamente funzionale “tetraone” per designare il quartetto con pianoforte che, occasionalmente, si potrà avvalere di un quinto strumento, il contrabbasso. Nell’opuscolo accompagnatorio un’immagine vivace e ammiccante ritrae, infatti, i componenti del quartetto, col contrabbassista Giovanni Valgimigli che fa capolino lievemente in disparte. Come a dare la sua disponibilità ad allargare il gruppo in prossime circostanze.

Copertina del Cd "Il Tetraone"È quanto già parzialmente accade in questo CD d’esordio, che vede i musicisti interpretare il Quartetto per pianoforte e archi in mi bemolle maggiore op. 16 di Beethoven e il Quintetto in la maggiore D667, op. post. 114 “La trota” di Schubert.

Fu lo stesso Beethoven a trascrivere per questa formazione l’originale Quintetto per pianoforte e strumenti a fiato. Come appare evidente, Beethoven aveva davanti a sé il modello del Quintetto K 452 di Mozart, composizione scritta nella medesima tonalità e appartenente già alla grande maturità del musicista salisburghese, che lo riteneva la cosa migliore che avesse scritto fino a quel momento (1784). Forse grazie anche al traino di quell’illustre antecedente, il pregevole esperimento giovanile di Beethoven (1796/7) conseguì un immediato successo, tanto da suggerirgli la trascrizione che viene presentata in questo CD della Novantiqua.

Le ragioni di questa doppia versione sembrano non pienamente appurate. Probabilmente, alla decisione della trascrizione per pianoforte e archi non è estranea la motivazione di diffondere più agevolmente presso un pubblico ampio la conoscenza dell’opera 16. Chi scrive azzarda l’ipotesi che il futuro gigante di Bonn non si sentisse ancora pronto per un accostamento al venerato salisburghese e, pertanto, preferisse servirsi di un organico meno impegnativo e più tradizionale. Pur pressoché coetanei all’atto della composizione dei due brani cameristici, il Mozart del 1784 è già inequivocabilmente nel pieno della sua espressività; nel Beethoven del 1797, invece, non si potevano forse ancora intravedere con chiarezza i titanici sviluppi che lo avrebbero portato ad essere uno dei massimi geni della storia della musica. La trascrizione per pianoforte e archi comporta una più naturale fusione timbrica, consente un amalgama sonoro atto a mettere in risalto la disciplina di un gruppo musicale, più di quanto non riescano ad ottenere cinque solisti.

I componenti de "Il Tetraone" : Ana Liz Ojeda, violino – Alice Bisanti, viola – Paolo Ballanti, cello - Valeria Montanari, fortepiano - Giovanni Valgimigli, contrabbassoSe l’equilibrio fra le parti musicali assegnate al pianoforte e ai fiati fa del Quintetto K 452 un perfetto esempio di coesione formale, nel quintetto beethoveniano è il pianoforte a tessere maggiormente le fila della trama compositiva. Tale prevalenza appare più evidente nelle esecuzioni con strumenti moderni, soprattutto se al pianoforte siede qualcuno non disposto a sacrificare le potenzialità dello strumento alle ragioni della musica: in quel caso, il connubio fra il pianoforte con gli strumenti a fiato rischia di dar luogo a un’esecuzione di cinque solisti e non ad un’interpretazione unitaria di un ensemble coeso.

Nell’interpretazione del “Tetraone”, invece, il fortepiano di Valeria Montanari è un primus inter pares che si amalgama e si fonde, senza prevaricarlo, col suono degli archi, in qualche rara circostanza lievemente aspro nella specifica parte del violino. È questo il caso dell’ “Allegro vivace” iniziale del celeberrimo quintetto schubertiano. Una circostanza di ben poco conto, rispetto alla grande fluidità e scorrevolezza che permea l’intero pezzo.

Ancora più evidente che nel rapporto Mozart/Beethoven, in quello che vede affiancati Schubert al musicista nativo di Bonn, la precoce maturità del primo sembra cancellare la tarda giovinezza dell’altro. Ma, di nuovo, l’utilizzo degli strumenti antichi attenua sensibilmente tale iato e comporta un avvicinamento prospettico fra Beethoven e Schubert.

A dir la verità, è possibile affermare che Schubert, morto a 31 anni, abbia attraversato un periodo compositivo che esuli dalla sua giovinezza? O, rovesciando la domanda, si può dire che il Quintetto “La trota”, composto nel 1819, sia in qualche modo meno rilevante degli estremi capolavori cameristici del suo autore? È evidente il senso retorico della domanda, per chi scrive.

Ludwig Van Beethoven - ritratto di Joseph Karl StielerL’op. 16 di Beethoven, pur ricca di innegabili bellezze melodiche e timbriche soprattutto nel sognante Andante cantabile, poteva far presagire con difficoltà ai contemporanei del musicista l’esplosione successiva del genio di Bonn. L’opera postuma di Schubert, invece, offriva già un esempio straordinario della grandezza del compositore. Se al quintetto “La Trota” si fosse accostato uno degli ultimi quartetti di Beethoven, al di là delle differenze di tipologia e d’organico, penso che nessuno avrebbe potuto dire che il “piccolo” Schubert sarebbe scomparso dinanzi al “gigante” Beethoven.

Insomma, il Beethoven della giovinezza (questa sì, evidente) è oggetto di studio e di venerazione a posteriori da parte di chi “già sa” del futuro di Beethoven, col rischio di farlo diventare un oggetto di culto acritico. Mentre per lo Schubert del quintetto “La trota” (ma, forse, per tutto Schubert) questo rischio non sussiste.

Dopo questa prima convincente prova, attendiamo nuovi sviluppi interpretativi del “Tetraone”.

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