Fattori: l'umanità tradotta in pittura

Pittore capace di leggere con sentimento e lucidità l’esistenza di uomini, animali, paesaggi
Loretta Secchi

Con questo titolo nello scorso inverno, presso Palazzo Fava a Bologna, è stata inaugurata una mostra dedicata all’artista Giovanni Fattori, esponente di rilievo della corrente toscana dei Macchiaioli. L’esposizione si è distinta per la trattazione asciutta e sincera di un pittore capace di leggere con sentimento e lucidità l’esistenza di uomini, animali, paesaggi, in relazione tra loro. La mostra, centrata sull’immutabilità del sentimento umano, ha evidenziato il principio dell’eternità che, nella pittura di Giovanni Fattori, sottende la contingenza degli eventi. Un invito a interpretare non superficialmente certe scelte tecniche e stilistiche, per cogliere il valore della pittura a macchia quale cifra di una rappresentazione veridica dei soggetti ritratti. Nato e cresciuto a Livorno, Fattori dimostra ben presto una grande predisposizione per la pittura e per il disegno, così nel 1846 si trasferisce a Firenze per studiare presso l’Accademia di Belle Arti, nonostante le condizioni economiche precarie lo costringano a lavorare per mantenersi, rendendogli difficili gli studi. Nel 1848 partecipa ai moti risorgimentali e a partire dagli anni Cinquanta inizia a frequentare il Caffè Michelangelo: ambiente colto e avanguardista che vede fiorire le idee dei Macchiaioli, idee che Fattori abbraccia senza mai schierarsi acriticamente con il movimento. Per lui, piuttosto, l’adesione a questo clima artistico è la risposta ad un’insofferenza già dimostrata nei confronti della pittura storico-celebrativa, tipica dell’Accademia. Una spontanea inclinazione al vero, la sua, che lo porta ad indagare la realtà dei paesaggi, degli animali e delle persone umili, per coglierne a pieno le sofferenze e per ritrarne le difficoltà. Nel 1869 Giovanni Fattori viene nominato professore all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e questo è un momento decisivo per la sua vita professionale: ottiene un grande riconoscimento.

In vedetta - Giovanni Fattori, olio su tela, cm 37x56, Collezione Marzotto, Valdagno

Negli anni successivi si reca a Parigi per vedere dal vivo gli Impressionisti ma non ne resta pienamente affascinato. Nonostante una menzione speciale all’Esposizione Universale di Parigi, da considerarsi come il più importante tra i riconoscimenti ricevuti dall’artista in tutta Europa, Fattori resta fortemente ancorato al sentimento di natura e all’ambiente d’origine. La sua tecnica pittorica deve molto all’impostazione accademica ma ben presto vira in direzione di un’autonomia senza eguali. L’artista si avvicina gradualmente alla pittura di macchia e ne avverte le potenzialità: la coltiva e l’adotta per raccontare su tela la realtà percepita, con sensibilità espressiva, fine stilizzazione e perfetta sintesi. La sua realtà è quella di un’Italia agricola, appena riunita e profondamente legata ai territori di appartenenza, dove l’unico elemento che accomuna le regioni è la campagna. In questa breve trattazione desidero ricordare, in particolare, due celebri dipinti che sono prova del suo genio e del suo animo, tanto penetrante quanto sensibile. Il primo, In vedetta, è contraddistinto da un minimalismo compositivo unico nel suo genere.

Lo staffato - Giovanni Fattori, olio su tela, cm 90x130, Galleria d'Arte Moderna, Firenze

Datata 1872, l’opera rivela una geometria essenziale e ardita che ruota intorno ad un muro visto in scorcio prospettico alla cui estremità, in lontananza, si collocano due soldati a cavallo, in ronda di vigilanza, immersi in una luce estiva implacabile, pomeridiana, che staglia le loro ombre sul terreno polveroso e sulla muraglia bianca, costeggiata dal terzo cavaliere, in avanzamento verso l’osservatore. Un cielo blu, terso, li sovrasta. Stasi, movimento, attesa, convivono perfettamente in questa inquadratura. Il secondo dipinto è Lo staffato; qui l’attitudine contemplativa di Giovanni Fattori cede il passo ad un crudo realismo, unito ad un forte e traumatico senso di irreversibilità. Al centro di un’ambientazione scarna e indefinita vediamo un soldato ferito che, a causa di un piede impigliato in una staffa, viene trascinato da un cavallo al galoppo, scosso, ovvero senza più cavaliere in sella. Si tratta di un dramma che si consuma nel silenzio e nella solitudine, malgrado l’intuibile suono cavo degli zoccoli sul terreno accidentato e l’attrito del corpo trainato, di cui resteranno solo poche tracce al suolo. Il paesaggio, in lontananza, risulta immoto, arido, mentre lo spazio che ospita la scena, in primo piano, rivela una prospettiva accelerata e curvilinea, quasi a voler sottolineare quel rapido passaggio che è anche punto di non ritorno. Qualità di Giovanni Fattori, oltre alla tecnica pittorica magistrale, sono l’assenza di enfasi e la schiettezza nel restituire il dato reale: un’autenticità che lo ha reso inconfondibile nel suo umano sentire.

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