La contessa Lina Bianconcini Cavazza

La benefattrice e altruista che tradusse in fatti la propria propensione spirituale
Alberto Borghi

In un’epoca in cui è possibile conoscere ogni informazione in qualsiasi istante, grazie ai motori di ricerca ed alle enciclopedie on line, risulta assai arduo immaginarsi di rimanere con il dubbio su qualche dato, fatto o sulle condizioni in cui versa un amico o famigliare, per non parlare della persistente e logorante ignoranza. Addirittura, lo stesso accesso virtualmente illimitato alle informazioni è divenuto fonte di stress e vi è chi si ritrova a pensare o, più modestamente, solo a desiderare, di vivere in un regime monastico, laddove le mura del convento sono sostituite dalla mancata disponibilità di una rete dati.

Ritratto della Contessa Bianconcini CavazzaEppure, la normalità è sempre stata intrisa di mancata conoscenza ed attesa. Quello dell'apprendimento non era solo un percorso maieutico, ma anche l’itinerario che la notizia doveva percorrere, nella bisaccia di un corriere a cavallo o nel retro di un furgone postale, prima di giungere a noi, attesa con ansia o inattesa e bruciante. Tuttavia, come i pionieri dell’esplorazione del globo terraqueo o della tecnologia, qualcuno si è sottratto all’ignavia o anche solo all’attesa, decidendo di ergersi a soggetto attivo della ricerca della notizia o dell'evento.

Tra queste figure brillanti e tenaci certamente si annovera la figura di Lina Bianconcini Cavazza, contessa per il contesto araldico, ma soprattutto persona molto nota e benvoluta nella città di Bologna, sia in vita che nel ricordo. Nata Bianconcini Persiani, sposò Francesco Cavazza, il conte che fondò l’omonimo Istituto dei Ciechi, nel 1885, con il quale ebbe tre figli. Non si limitò ad ospitare intellettuali nel proprio salotto, al centro della vita culturale della città, ma volle tradurre in fatti la propria ambizione spirituale, creando in prima battuta un’attività imprenditoriale, poi confluita nell’associazione Aemilia Ars fondata da Rubbiani, assurta presto nel cuore delle tradizioni della città felsinea. Con essa intese porre le condizioni per un contestuale sviluppo delle tecniche di ricamo proprie dell'artigianato locale nonché del mercato del lavoro delle donne. Acquisì un consenso diffuso non solo da parte delle stesse beneficiate, ma anche negli ambienti amministrativi ed esecutivi nazionali, tanto che, nel 1909, la Regina Margherita decise di assegnare proprio alla contessa l’incarico di trasporre detta esperienza nel contesto del territorio messinese appena devastato dal terribile sisma di pochi mesi prima. Venne, pertanto, creato un laboratorio di cucito e ricamo, grazie al quale decine di donne ottennero occupazione e conoscenze professionali.

Sala per la schedatura delle notizie dal fronte 1916 - foto La letturaUn evento ancora più catastrofico, lo scoppio della Grande Guerra, spinse la Contessa Lina Bianconcini Cavazza a profondere le proprie energie a favore delle sue vittime indirette, ossia i figli e le mogli dei soldati. In prima battuta istituì alcuni asili cittadini, nei quali accogliere i bambini, consentendo alle madri di lavorare. Convertì i laboratori di cucito in centri di sartoria per la realizzazione di camicie e divise per i militari. Ma si spinse anche a recepire la sempre più diffusa esigenza dei famigliari dei soldati di apprendere notizie dei propri cari, impegnati al fronte o nelle retrovie. Crea, così, l’Ufficio per le notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare, avvalendosi delle stesse donne, ma anche dei soldati in congedo o licenza, che, su base volontaria, consapevoli dell’importanza di tale ente, non esitavano a dedicargli il proprio tempo. Alla fine saranno ben 25.000 (in gran parte volontari, ma anche donne retribuite), distribuiti in tutta Italia, dalla sede di Bologna, nel palazzo delle Poste di Piazza Minghetti (succeduta alla prima base operativa sita nella casa dei conti Cavazza, in via Farini), alle parrocchie più sperdute, finanche all’estero, ovunque vi fosse una famiglia di un soldato italiano richiamato al fronte.

Ad ogni sede viene richiesto di tenere un registro su cui annotare ogni evento o notizia ritenuta rilevante, consapevolmente inducendo alla costruzione di un archivio di immenso valore, successivamente donato allo Stato.

Per ogni soldato di cui si ricevesse una notizia di qualsiasi tenore gli addetti ne annotavano gli estremi nel casellario dell’Ufficio nella sede centrale, per poi smistarla alla sede competente territorialmente per luogo di residenza o di origine. In tal modo, ogni familiare o interessato poteva richiedere se vi fossero notizie del proprio caro senza avventurarsi in lunghe trasferte. Erano presenti schede di diverso colore, a seconda della natura dell’evento da annotare: ferimento, morte, disperso in combattimento. Ed erano raccolte notizie ufficiali, di origine direttamente militare, ed ufficiose, per lo più trasmesse dai cappellani militari. Vennero compilate dodici milioni di schede, spesso multiple notizie attinenti al medesimo soggetto.

L’Ufficio per le notizie cessò la propria funzione con la conclusione del conflitto mondiale, ma la Contessa rimase parte attiva fino alla sua morte, avvenuta nel corso della seconda guerra mondiale, nel 1942, a 81 anni.

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