Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo

L’immagine è stata interpretata come la rappresentazione emblematica del “miles christianus” che procede battendosi per una giusta causa
Loretta Secchi

Nel 1513 l’artista tedesco Albrecht Dürer diede vita alla celebre incisione intitolata Il Cavaliere la Morte e il Diavolo. Stagliato sullo sfondo boschivo, un cavaliere avanza montando un cavallo che per postura e anatomia, riconduce alla tipologia classica del monumento equestre. Da quest’ultima, infatti, sembrano mutuate alcune consuetudini stilistiche, quali l’eleganza dell’incedere del cavallo, dall’incollatura arrotondata, la prominenza delle fasce muscolari equilibratamente sviluppate e la regalità, confermata dall’andatura che l’artista conferisce al fedele equino. Il piano mediano della composizione, occupato da cavallo e cavaliere, esemplifica caratteri formali desunti dall’opera dei grandi artisti del Quattrocento italiano. Nella fierezza e compostezza del cavaliere è presente una severità di matrice gotico-germanica. L’espressione intensa del guerriero tradisce l’umana ansia dell’uomo proteso verso una conoscenza terrena e divina; la fede, in quanto scelta radicale, lo destina alla difesa dei dogmi metafisici, mediante un agire terreno. Con la propria dedizione, stoicamente, il cavaliere suggella regole supreme che sembrano trovare riscontro in una disposizione rigorosamente motivata del creato. Per questi significati l’immagine è stata interpretata come la rappresentazione emblematica del «miles christianus», che procede battendosi per una giusta causa, ignorando i pericoli, le tentazioni e le insidie che lo attendono. La metafora propositiva del paladino di Cristo, incarnando il principio di difesa della cristianità, veicola un più ampio principio di salvaguardia della religione, estendendo il ruolo ad una vasta ecumene. Questo principio – fondamentale nel Medioevo ma non meno decisivo in un momento critico della chiesa cattolica – espresso con chiarezza dalla personalità intransigente di Erasmo da Rotterdam nell’Enchiridion militis christiani, trova la sua trasposizione nella grafica di Albrecht Dürer, uomo e artista particolarmente sensibile ad una concezione solitaria della ricerca umana. Il florilegio di contaminazioni simboliche, sempre presenti nelle opere di Dürer, si deve alla conquista di un’autonomia espressiva e ideologica che l’artista rinascimentale difende ed esalta.

Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo - Albrecht Dürer 1513Nella figura del cavaliere, anello principale della catena dei simboli che incontriamo in questa incisione, riconosciamo l’immagine del guerriero medievale, e nel congiungerla a quella del destriero, vediamo incarnati i principi del suo trionfo sulle forze avverse. In questa accezione semantica l’iconografia del cavaliere affonda le proprie radici nell’antichità preclassica orientale ed occidentale; nell’attraversare i secoli essa custodisce un medesimo significato simbolico, quasi archetipico e comune a popolazioni diverse. Il cavallo, simbolo di istintuale forza vitale, rappresenta infatti la duplice valenza dell’esperienza umana, ove razionalità apollinea (ordinatrice) ed irrazionalità dionisiaca (alteratrice) si affrontano nell’osservanza di un’arcana universale cognizione del mondano. Nell’antichità l’ascesa al paradiso degli dei, degli eroi e degli eletti, veniva rappresentata proprio con l’immagine del cavaliere; una tradizione millenaria lega la nostra cultura, chiara filiazione della classicità, alle iconografie delle civiltà storiche. A partire dall’antichità, alla cavalcatura, ai contrassegni apportati alla bardatura, alle variazioni degli abiti, degli emblemi e dell’armatura, sono stati associati significati metaforici di natura etico-morale. Infatti il cavaliere pilota, un po’ come il navigante, può essere considerato colui che, nel libero arbitrio, emulando l’atto demiurgico del Creatore, compie un percorso ri-generativo, pur partendo da una condizione subordinata: giacché l’uomo può solo modificare lo stato delle cose, non determinarne l’origine. Dürer attua un ritratto etico che trova il suo medium ideale e visivo nel guerriero isolato, poiché la rassicurante coralità ha ceduto il passo ad una solitudine meditativa, assimilabile alla vita del mistico e alla ricerca dell’errabondo. È limpida l’allusione ad un ideale, ad una forma di vita incontaminata, comunque imperfetta, forte perché conscia del limite, fedele perché coerente a scelte estreme, nobile ed inequivocabile perché avulsa da ogni illusorio attaccamento. Il teschio che si scorge a sinistra, nella composizione, vicino all’epigrafe su cui compare il monogramma dell’artista e la data di esecuzione, è un memento mori inequivocabile. La lettera “S”, che precede la data di creazione dell’incisione, allude al termine latino Salus (Salvezza). Nel diaframma sottilissimo che separa la virtù dal tradimento, il coraggio dalla pavidità, la vita attiva dalla materia inanimata, non è permesso all’uomo dimenticare che la sua vita è fragile; scandita da scelte e rischi, favori e disgrazie. Nelle rappresentazioni pittoriche a sfondo religioso e laico, il cane mansueto è segno di fedeltà assoluta e di totale devozione all’uomo. È il cane che, dopo aver seguito fedelmente l’uomo nel giorno della vita, si appresta a divenire sua guida nella notte della morte (Anubis e Cerbero sono esempi estremi di questo mito). Il cane, per il quale la dimensione dell’invisibile è familiare, unisce mondano e sovramondano: tramite lui, infatti, i vivi interrogano le anime dei defunti. Nell’ambito della cultura classica, o più generalmente occidentale, la sua conoscenza dell’Aldilà fa sì che in lui si riconoscano i caratteri dell’eroe civilizzatore, più spesso signore e conquistatore del fuoco: mitico antenato. Al cane si attribuiscono anche significati sessuali procreativi; per i suoi poteri di mediazione, insieme alla lepre e alla volpe, è considerato creatura lunare e viscerale; oltre che per il suo rapporto costante con la terra, con il seppellimento e la riesumazione delle ossa, con il principio femminile dell’umidità e della fertilità. Come simbolo portatore di vita, ad esso può essere accostata una scintilla di fuoco e questo spiega la diversificazione o la polivalenza dei suoi attributi. L’oscillazione tra fuoco e acqua, cielo e terra, ribadisce la sua duplice natura: uranica e ctonia. La presenza della lucertola va interpretata come segno preminentemente positivo. Questo animale che cerca l’esposizione al sole, immobile, rivela la sua appartenenza alla dimensione numinosa. Malgrado nell’incisione vada in direzione opposta al cavaliere, l’arduo cammino che essa intraprende verso il sole, su percorsi verticali, impervi e scoscesi, rappresenta l’anima che cerca la luce, tra movimento repentino e stasi contemplativa. La personificazione della Morte su cavalcatura, che si affianca al miles, ha volto scheletrico. Quale sovrana delle leggi di natura porta la corona, sulla quale si avvinghiano serpenti, e regge nella mano destra la clessidra, segno del tempo che scorre. Il Diavolo, con muso caprino e corna d’ariete, munito di picca, insidia alle spalle il nobile guerriero. Il potere evocativo dell’arte düreriana va ricondotto alla propulsione creatrice ed ermetica propria al Maestro di Norimberga, in grado di concepire motivi simbolici, nel rispetto di un lessico antico, forte di una cifra intellettuale e di una carica espressiva senza eguali.

 

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