Unione Europea e non discriminazione

Una meta ancora da conquistare eppure costa meno delle soluzioni discriminatorie che richiedono interventi a posteriori ben più onerosi
Rodolfo Cattani

In qualche cassetto del Consiglio dell'Unione Europea giace una proposta di direttiva che sta molto a cuore alle organizzazioni della società civile e in particolare a quelle rappresentative delle persone con disabilità.

Si tratta della proposta di direttiva COM (426) 2008 della Commissione Europea per l'attuazione della parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall'età o dall'orientamento sessuale.

Questa direttiva avrebbe dovuto completare il quadro normativo dell'UE contro la discriminazione, di cui fanno parte la direttiva 2000/43/CE contro la discriminazione basata sulla razza e l'origine etnica e la direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro. Da sette anni la proposta è bloccata per l'opposizione di alcuni Stati Membri, cosa del tutto inaccettabile, poiché l'articolo 19(1) del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea stabilisce che l'Unione può "prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale".

Le principali motivazioni addotte dagli Stati Membri per giustificare l'opposizione al testo approvato dalla Commissione e dal Parlamento sono:

- è proprio necessario che l'UE legiferi su questa materia? Non può valere il principio di sussidiarietà?

- il campo d'azione della direttiva comporta costi eccessivi;

- è opportuno attendere l'adozione della direttiva europea sull'accessibilità?

- potrebbe essere preclusa la possibilità di trattamenti preferenziali (azioni positive) in favore di certi gruppi di persone?

Il Consiglio Europeo - Bruxelles

In realtà si tratta di argomentazioni errate o capziose, che prescindono dal fatto che la direttiva deve tutelare il rispetto del diritto umano fondamentale della parità di trattamento, che appartiene a tutti i cittadini dell'UE senza limiti o eccezioni. È fin troppo evidente che una normativa europea in tal senso è necessaria, dal momento che i fenomeni di discriminazione in tutta l'UE sono ancora troppo frequenti.

Le direttive contro la discriminazione sopra citate hanno prodotto effetti positivi, ma solo nell'ambito specifico cui si riferiscono, lasciando fuori molti aspetti della vita quotidiana delle persone:

- discriminazione e bullismo nella scuola, che producono stigmatizzazione, emarginazione, evasione dell'obbligo scolastico, talvolta addirittura suicidi;

- negazione dei diritti fondamentali delle coppie omosessuali, come il divieto di visitare il partner all'ospedale o la negazione di informazioni circa i dati sensibili, l'esclusione del partner dall'eredità;

- mancanza di informazioni nel formato e nelle modalità accessibili ai pazienti con disabilità o addirittura disparità di trattamento terapeutico per le persone anziane;

- limitazioni o rifiuto da parte delle compagnie assicuratrici di stipulare polizze con persone anziane o disabili.

La direttiva europea sulla parità di trattamento è necessaria perché potrebbe ridurre notevolmente questi comportamenti discriminatori che gli Stati non affrontano in modo efficace. Inoltre essa tende a realizzare la stessa protezione per tutti i cittadini ovunque essi si trovino nell'UE e le stesse condizioni operative per le imprese nei diversi Stati Membri.

Riguardo alle riserve sul campo d'azione, gli Stati Membri mantengono una considerevole autonomia riguardo alla sicurezza sociale, all'assistenza e alla residenzialità, nonché alla sanità e ai sistemi educativi. Circa la disabilità e l'accessibilità, la proposta rimane entro i limiti della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che, in quanto trattato internazionale sui diritti umani, si situa a un livello giuridico superiore alla stessa direttiva e mira esclusivamente a identificare un quadro di standard minimi per favorire il godimento dei diritti. Circa i costi relativi all'attuazione della direttiva, è opportuno richiamare ancora una volta un dato ormai indiscutibile: garantire condizioni uguali per tutti costa, ma costa meno delle soluzioni discriminatorie che richiedono interventi a posteriori ben più onerosi. Non è necessario attendere l'adozione della Direttiva Europea sull'Accessibilità (European Accessibility Act), che mira ad incrementare la fruizione di beni e servizi nel mercato unico, per garantire la libertà di movimento, la protezione dei consumatori e l'accesso a settori specifici come il trasporto, la comunicazione, ecc., poiché la direttiva sulla parità di trattamento attiene più alla sfera dei diritti fondamentali.

Il rischio di precludere l'azione positiva in favore di certi gruppi di persone non sembra realistico, dal momento che tali misure non confliggono, ma anzi coincidono con l'interesse di più ampie fasce sociali.

Infine, va precisato che i tempi di trasposizione della direttiva sono tali da consentire agli Stati l'adozione di tutte le misure necessarie: quattro anni per la trasposizione, ulteriori cinque anni per l'adeguamento di edifici, infrastrutture, servizi di trasporto nuovi, venti anni per l'adeguamento di quelli esistenti.

In conclusione, i vantaggi dell'adozione della direttiva sulla parità di trattamento nell'UE sono indiscutibili ed è auspicabile che il Consiglio si decida ad approvarla.

 

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