A saperle leggere, le città ci raccontano tanto dell’ambiente nel quale sono cresciute. Un’interrogazione sui materiali da costruzione ci può invece restituire informazioni sulla storia geologica del nostro paesaggio. Murature in mattoni, arenaria e selenite sono i principali materiali da costruzione bolognesi. Tutti di natura estrattiva, ci mostrano la natura della pianura, della collina e della montagna.
Della selenite ne abbiamo parlato con Giuseppe Rivalta, di formazione biologo ma per aspirazione e pratica un naturalista. Osservatore e raccoglitore, ci ha mostrato un modo di raccontare e scrivere che si confonde con la sua biografia. Fin da ragazzino ha sentito il bisogno di conoscere l’ambiente intorno a lui, senza limite alcuno, utilizzando tutti i sensi e con tutti i mezzi: inerpicarsi sulle pareti, penetrare fin nella più piccola grotta, annusare la terra, assaggiare le rocce. Come ogni cosa, anche i gessi bolognesi sono un infinito per colui che vuol conoscerli nel suo intero.
Dalle parole di Giuseppe Rivalta possiamo apprendere come la vita della nostra città storica sia legata a quella della collina. Sei milioni di anni fa i fondali dell’oceano hanno cominciato a sollevarsi e i grandi i depositi marini di origine organica si sono frantumati, spezzati e hanno così permesso la formazione di un sistema fortemente dinamico: il paesaggio carsico. La selenite, solfato di calce biidrato solubile, ha permesso la formazione di doline, grotte, fiumi sotterranei che nascondono ai nostri sguardi flora e fauna originali che vivono la notte eterna del sottosuolo.
Le grotte sono recipienti di memorie: reperti, carcasse di animali documentano il mutamento della vita. Questo è l’ambiente intorno al quale nasce Bologna per mano degli etruschi prima e dei romani poi; a Monte Donato aprono le cave per realizzare basamaneti, architravi, elementi d’angolo.
La stessa cerchia in selenite del V secolo è stata costruita riutilizzando conci da lì estratti.
Il nome selenite è suggerito dalla visione notturna: cristallina, nelle notti di luna piena, risplende.
Se priva di impurità cambia il nome in Lapis Specularis ed era utilizzata come sostituto del vetro. Giuseppe Rivalta in fondo, come prima di lui Luigi Fantini, ci mostra la nostra città facendoci provare una vertigine profonda 6.000.000 di anni.
Proprio vero che qualsiasi angolo del nostro mondo è il racconto di un infinito.