Prof. Silvestro Banchetti
Roma, 22 giugno 2001
Io vorrei preliminarmente sottolineare la grande trasformazione e il valore storico che, nella vicenda universitaria dei minorati, assume la Legge 17 del 1999. È accaduto cioè che finalmente lo Stato, la società civile, la comunità hanno preso coscienza della realtà e dei diritti di coloro che, in forma diversa e per differenti ragioni, non godono della pienezza del proprio essere e, nel contempo, si sono resi conto dei doveri che incombono, nei loro confronti, anche sull’università. In tal modo essa dilata il suo tradizionale significato di organo di cultura, superando le secolari, algide astrattezze e conferendo alla stessa cultura il senso più giusto di civiltà, in virtù della quale si trasformano anche gli atenei che, come tutta la scuola, diventano centri erogatori di servizi a favore di tutti, perciò anche, e soprattutto, dei più deboli che, per tal via, s’integrano in quello che il Vico direbbe “il mondo civile degli uomini”.
Anche noi ciechi siamo stati, in tempi più o meno lontani, giovani studenti universitari, ma, per la diffusa indifferenza quando non addirittura per la presente insensibilità, abbiamo dovuto superare ogni sorta di ostacoli da soli, affidandoci o alla generosità dei singoli, o allo spirito volontaristico di qualche gruppo, o all’affetto degli amici o dei condiscepoli, senza che i pubblici poteri si occupassero o si preoccupassero di noi, del nostro destino e delle nostre angosce. Sento quindi il dovere di rivolgere un sentimento di gratitudine e di riconoscenza a quegli assistenti e a quei docenti che, non certo con deteriore atteggiamento pietistico, ma con profondo senso di sollecitudine e di solidarietà, si accostarono responsabilmente a noi e dimostrarono fiducia nelle nostre possibilità di autoriscatto, ponendo in essere ogni intervento che potesse agevolare il nostro apprendimento e l’adempimento dei nostri compiti.
Della Legge 17, che integra il testo della 104 del 1992, mi pare che si debbano sottolineare alcuni momenti molto significativi: all’Art. 6 bis si dice espressamente di “sussidi tecnici e didattici specifici realizzati anche attraverso convenzioni, nonché di supporto di appositi servizi di tutorato specializzato, istituiti dalle università. A me sembra molto rilevante, sotto il profilo tiflopedagogico, innanzi tutto l’implicita esigenza che si rispetti la specificità della minorazione e, in secondo luogo, che, proprio per render concreta questa legittima istanza, si indichi l’opportunità di stipulare convenzioni con strutture che abbiano dottrina ed esperienza relative alle singole minorazioni. V’è certamente una problematica comune a tutte le minorazioni e per la quale s’invoca un intervento globale da parte dello Stato. Ogni minorazione, però, presenta caratteristiche peculiari che esigono personale adeguatamente preparato e sussidi didattici specifici. Torna valido, in succosa sintesi, l’insegnamento della logica degli Scolastici, che ci hanno insegnato a procedere “per genus proximum et differentiam specificam”.
Questa istanza è ribadita nel comma 5 dell’art. 16, dove si legge dell’opportunità di un “trattamento individualizzato per il superamento degli esami, previa intesa con il docente e con l’ausilio del tutorato. È consentito l’uso di mezzi tecnici e di prove equipollenti”. L’esigenza che, per la scuola primaria, era stata espressa dal Dottrens sull’”insegnamento individualizzato”, che io preferisco dire “personalizzato”, si dilata anche all’università che, al fine di coordinare razionalmente gli interventi, assegna il compito ad un docente.
A me pare che i problemi dei giovani studenti universitari ciechi siano di tre ordini: vi sono, innanzi tutto, difficoltà logistiche, derivanti dalla necessità di doversi muovere con disinvoltura in una città spesso diversa da quella abituale e nella struttura di università che, salvo lodevoli eccezioni, non sono certo, sotto il profilo architettonico, confacenti alla presenza della minorazione visiva. Vi sono poi problemi didattici, che discendono dall’organizzazione dei programmi e dei seminari relativi ai vari esami, dalla disponibilità o meno di dispense, dalla possibilità, che dipende dalla sensibilità del singolo docente, di poter fruire di uno o più testi in Braille, parlati, ingranditi o leggibili per via informatica, in sostituzione di quelli ufficiali.
Nei miei ventotto anni di insegnamento della Pedagogia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Bologna, ho sempre adeguato non solo gli esami, ma anche le tesi di laurea di alunni non vedenti, alla disponibilità effettiva di testi a loro accessibili, senza però indulgere nell’alleggerimento o nella riduzione del programma. Ho sempre responsabilmente raccomandato, in spirito di fraterna amicizia e come compagno d’ombra anagraficamente più grande, di non lasciarsi sedurre dalle alcinesche suggestioni di una certa qual diffusa tendenza alla semplificazione e al facilismo, essendo io dolorosamente consapevole che, pur vivendo oggi in una società indicibilmente più democratica e incommensurabilmente più rispettosa della persona umana di quanto non fosse al mio tempo, a noi ciechi si continua spesso ancora a chiedere, dantescamente dicendo, “sette e cinque per diece” e da noi si esige una preparazione più solida.
V’è poi il problema, che si connette a quello precedente, relativo alla compilazione dei piani di studio. Trattasi di un momento pressoché incognito a quelli della mia generazione, che potevano scegliere solo fra pochi esami complementari ed erano obbligati a sostenere molti esami fondamentali. La Legge 910 del 1970 ha, come si suol dire, liberalizzato i piani di studio, lasciando, almeno nelle facoltà umanistiche, amplissimi spazi alla libera scelta dello studente. Per la mia esperienza di tutor, mi sento di dover sottolineare il tratto pedagogicamente fondamentale di questo problema. Esso assume un carattere peculiare per ciascun giovane, ma segnatamente per chi non vede. Un errore nella compilazione del piano di studi potrebbe provocare la formazione di un ordito culturale frastagliato, disomogeneo e disorganico, con lacune che potrebbero rivelarsi non prive di conseguenze nella successiva attività professionale. Questa, per noi, è sempre più che per gli altri suscettibile di frustrazioni. Bene perciò ha fatto il legislatore quando ha indicato un docente come coordinatore degli interventi.
In questo complesso di problemi si inserisce l’attività che può svolgere, anche a favore degli studenti universitari ciechi, la Federazione o direttamente, o attraverso una o più delle ventidue istituzioni che ad essa fanno capo. La Federazione è un ente morale, le cui finalità sono riconducibili a due momenti essenziali: in primo luogo essa coordina l’attività tiflopedagogica delle istituzioni federate, al fine di evitare inutili ripetizioni e pericoloso dispendio di energie e di sostanze. In secondo luogo, avendo costituito fin dal 1964 un Centro di Produzione dei Sussidi didattici, è impegnata a fornire ai ragazzi ciechi un patrimonio di strumenti atti a favorire il momento della loro rieducazione e ad ampliare, in diversi aspetti del sapere, i loro orizzonti cognitivi. Quanto al primo aspetto, la Federazione continua a raccomandare alle istituzioni di porre in essere tutte le strutture che occorrono per offrire ai giovani minorati della vista la più ampia assistenza educativa possibile. Taluni istituti stanno sperimentando l’avvio di un vero e proprio “college”, come io lo definii mutuando il termine dall’esperienza anglosassone, nel senso di una struttura pluriarticolata capace di fornire tutti gli strumenti necessari allo studio universitario.
È evidente che sia il sostegno eventualmente offerto dalle istituzioni, sia quello che discende dalla presenza del tutor all’interno delle università, lungi dal ridurre o dal coartare l’autonomia del giovane minorato della vista, debbono tendere a potenziarla e a renderla più sicura. Memore della mia lontana esperienza di studente, che risale agli anni intorno al 1950, io mi permetto amichevolmente e serenamente di raccomandare ai nostri giovani l’integrazione più ampia possibile nelle comuni Case dello Studente, anche attraverso il concorso a borse di studio, come dovetti sostenere io. Nella Casa dello Studente di Bologna vissi la mia più felice esperienza giovanile, che mi arricchì sotto il profilo personale, umano, sociale e anche culturale, consentendomi di avviare amicizie che durano ancora oggi. I nostri giovani dovrebbero quindi poter scegliere fra le comuni Case dello Studente, l’assistenza educativa fornita da talune nostre istituzioni e la libera frequenza dell’università, senza l’intervento di altre strutture, quando le risorse personali e familiari lo consentano loro.
Per quel che concerne il secondo aspetto dell’impegno della Federazione, è vero che il nostro Centro di Produzione si è da sempre specificatamente rivolto ai bambini e ai ragazzi ciechi, come quelli che più abbisognano di esser seguiti nell’acquisizione del potenziamento compensativo. Credo però che chi sappia intelligentemente scorrere il nostro catalogo non tardi a rendersi conto che certi ausili possono esser utili non solo ai giovani, ma a tutti coloro che, per ragioni diverse, non hanno ricevuto un educazione integrale e si sono formati una cultura dagli angusti orizzonti.
Gli studenti di Lettere o comunque delle discipline umanistiche posson trarre giovamento dalle 117 tavole di storia dell’arte che vanno dal periodo paleolitico al secolo ventesimo, o dalle cinque tavole della storia d’Italia, che riproducono la realtà della nostra penisola dopo il 1815, cioè dopo il Congresso di Vienna, dopo il 1861, cioè al conseguimento dell’Unità italiana, dopo il 1866, cioè all’acquisizione anche del Veneto dopo la terza guerra di Indipendenza, dopo il 1870, cioè all’acquisizione di Roma capitale, e dopo il 1947, cioè all’indomani del secondo conflitto mondiale.
Chi, per ragioni di studio o anche per naturale curiosità, fosse attratto dal mondo delle scienze naturali e fisiche, potrebbe trarre giovamento o soddisfazione dalle nostre ottantadue tavole, di cui 11 sono dedicate all’anatomia del corpo umano che certamente interesseranno gli studenti di massofisioterapia e di terapia della riabilitazione. Dei plastici e delle carte geografiche relativi ai continenti, all’Europa e all’Italia, possono avvalersi tutti coloro che, o per motivi d’esame, o per cultura, intendano dare contorni più precisi alle loro conoscenze geografiche. Il nostro Centro sta producendo le carte anche a colori. Abbiamo altresì 28 riproduzioni topografiche delle principali città italiane; altre sono in via di realizzazione e altre ancora potranno da voi stessi venir richieste. È evidente che la loro consultazione può giovare al movimento in città nuove. Non debbo tacere finalmente dei molti giochi di passatempo che sono di utilità per tutti.
Una delle nostre più gloriose istituzioni, l’Istituto “Francesco Cavazza”, ha dato vita a un Museo Tattile che riproduce celebri opere di pittura, dando modo, a chi sappia toccare con grazia, anche se non di raggiungere la consapevolezza delle profondità figurative e la sublimità del godimento estetico, almeno di comprendere il processo creativo. Come le nostre 117 tavole di storia dell’arte anche questo museo, a somiglianza di altri che cominciano a fiorire in tutto il Paese, può contribuire a evitare il verbalismo, in cui facilmente incorriamo noi ciechi quando si parla di storia dell’arte. Mi preme tuttavia di ribadire il mio concetto che, pur non prefiggendosi di sminuire nessuna iniziativa che tenda ad ampliare i nostri ambiti cognitivi, mette in guardia contro la facile tentazione di equiparare la vista al tatto.
La Federazione, vivendo la rigogliosa fioritura che il finanziamento pubblico le ha consentito, ha affidato a taluni istituti la redazione e l’attuazione di alcuni progetti educativi. Quello che più interessa i giovani studenti universitari ciechi è certamente la creazione del C.I.S.A.D. (Centro Informatico per la Sperimentazione degli Ausili Didattici), affidato all’Istituto Cavazza. Esso si impegna nella creazioni di sussidi informatici che hanno radicalmente rivoluzionato le forme e le possibilità di apprendimento dei ciechi. Oggi sono accessibili:
- La letteratura italiana (ed. Dell’Anna 1999), costituita di sei CD-Rom da Dante a Moravia, per un complesso di 800 opere di duecento autori;
- I grandi classici della letteratura straniera (ed. Garzanti 2000), costituita di 7 CD-Rom;
- Grande dizionario inglese–italiano; italiano–inglese di Fernando Picchi (Hoepli ed.);
- Dizionario inglese–italiano, italiano–inglese di Giuseppe Ragazzini (ed. Zanichelli);
- I dizionari per sempre ed. Zanichelli. Essi comprendono lo Zingarelli di italiano, il Ragazzini – Biagi di inglese, il Boch di francese, uno di spagnolo e tedesco a cura di Edigeo. I sinonimi e contrari di Giuseppe Pittano. Il dizionario etimologico di Cortellazzo Zolli. Il dizionario di scienza, tecnica ed informatica di Mc Graw – Hill. Mitologia ed antichità classica di Gilson Palazzi. Latino di Mabilia – Mastrandrea.
Altre opere sono parzialmente accessibili, come il Vocabolario della lingua latina di Castiglioni – Mariotti ed. Loescher; Viva voce di inglese–italiano, italiano–inglese ed. Garzanti.
Molti sono gli studenti che hanno fruito dello sconto del 75% per l’acquisto di “All’ascolto di Windows”. Consapevole e rammaricato del mio analfabetismo in tema di informatica, vi prego di non chiedere ulteriori esegesi al “povero pastore”, ma di rivolgervi ai competetissimi tecnici del C.I.S.A.D.
La prospettiva della Federazione è di crescere, anche in virtù dei suggerimenti che verranno da voi. Il Club degli universitari o altri gruppi sono da noi sollecitati a redigere progetti che la commissione tecnica della Federazione e il consiglio considereranno con sommo interesse. Se questo è quel che può e potrà offrire la Federazione anche grazie alle sue istituzioni, per quel che mi concerne metto umilmente a disposizione dei miei più giovani compagni d’ombra la mia lunga esperienza di studente, di libero docente e di insegnante all’università. So bene che ogni esperienza di questo genere, essendo umana e cioè spirituale e personale, non può insegnare gran ché ad altri. Si aggiunga che tra questa mia e quella dei giovani studenti v’è una differenza abissale sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto quello della qualità. “C’è più differenza tra me e mio nonno che tra mio nonno e Noè”, diceva Ivan Karamazov. Tuttavia io sarò sempre lieto di poter dare suggerimenti agli studenti che me ne rivolgano richiesta.