Bologna e le sue vie d'acqua

di Paola Emilia Rubbi

Un viaggio nella storia cittadina.


Ponte della Carità, Ponte della Badìa, Ponte della Sega, Ponte del Fondego, Ponte dei Preti: ce ne erano una cinquantina, di ponti, a Bologna. Vuol dire che occorreva scavalcare dei corsi d'acqua. Certo. Perché Felsina (poi Bonomia, poi Bologna), fondata e cresciuta attorno alla conoide del torrente Aposa, per potere usufruire delle risorse idriche necessarie alla comunità, costituite dai due principali corsi d'acqua della zona, il fiume Reno e il torrente Savena, si dotò, intorno all'anno Mille, di due chiuse e realizzò due canali di derivazione dai quali si diramavano, in superficie, altri canali, canalette, fontanazzi e, nel sottosuolo, una fitta rete di condotti e cunicoli.
Tutta l'economia e lo sviluppo della città, fin dal basso Medioevo, si fondarono su quella copiosa ricchezza naturale: l'acqua, che alimentava, come forza motrice, il nascente artigianato manifatturiero: cartiere, "purghi", mulini, macine, "gualchiere", segherie, concerie, magli, filatoi; senza contare maceri, orti, peschiere che dall'acqua ricevevano la indispensabile "alimentazione".
Dalla metà dell'XI secolo, il Comune realizza fin dentro le mura urbane il canale di Reno, facendolo passare attraverso il serraglio della Grada, e lo chiama, nel tratto terminale, all'uscita dalla città, canale delle Moline. Realizza anche il Cavaticcio, nell'antico alveo dell'Aposa, e il canale Navile, unendo il canale di Reno con il vecchio canale che da Corticella portava al Po.
E nasce il porto del Maccagnano, fuori dalle mura, in località Bova (oggi via Bovi Campeggi). Più tardi, sarà Giovanni II Bentivoglio a volerne il trasferimento all'interno della cinta muraria e a inaugurare il nuovo complesso il 10 gennaio 1494. Ancora più tardi, alla fine del XVI secolo, Antonio Baruzzi, detto il Vignola, lo ridisegnerà e lo ricostruirà con dogana, magazzini, osterie, locande, darsena, squero, banchine, scalette in muratura per accedere alle imbarcazioni, per le quali erano stati predisposti ben 50 posti. Così, merci (sale delle saline di Cervia, grano, riso, granoturco, canapa, cotone, seta, pesce, legname, pellame,) e passeggeri dal porto, via canale Navile, potevano raggiungere il Po, Ferrara, Venezia sulle chiatte spesso trainate dai cavalli lungo le strade alzaie.
All'interno delle mura, nel tratto del canale di Savena lungo la via Castiglione, descrive l'architetto Roberto Scannavini, c'erano le fabbriche di panni di lana; lungo le vie Rialto e Castellata i conciatori, i tintori, i cordai, i cartolai, e i filatoi idraulici; mulini da grano e pile da riso erano nel tratto iniziale del canale di Reno; tra le vie Lame e Galliera, mulini idraulici da seta e pile da riso; moliture e concerie erano nel tratto terminale, detto "delle Moline".

Foto - Canale delle Moline - Bologna
Foto - La finestra di via Piella - Bologna
L'Aposa entrava dal serraglio delle mura di porta S. Mamolo e poi attraversava il Mercato di Mezzo, fornendo acqua alle beccherie grandi e piccole per il lavaggio delle carni dopo la macellazione, e alle pescherie; e ancora oggi, percorrendo l'alveo tombato dell'Aposa, si può ammirare il ponte d'epoca romana che, passato il Mercato di Mezzo, sorpassava, fin da quei tempi, il torrente.
Per secoli (fino a tutto il '700) l'acqua ha mosso centinaia di attività manifatturiere che venivano svolte negli scantinati e nei piani terra delle case che, sul retro, si affacciavano sui canali e, con le botteghe, sulla via porticata. Fonte energetica e via di comunicazione, l'acqua, dunque, ha caratterizzato, già dal XII secolo, l'ambiente urbano e sostenuto l'economia bolognese.
Via via tombato, coperto, nascosto quello che è stato il "tesoro" idrico della città, oggi fa la sua ricomparsa, discreta ed "episodica" sufficiente però a dare un'idea di atmosfere e costumi ormai spariti: alla finestrella di via Piella (che consente di dare uno sguardo al silenzioso fluire dell'acqua fra quinte di case, quasi senza tempo), nei decenni recenti si sono aggiunti i restauri degli "affacci" sul canale di Reno in via Piella e in via Malcontenti;

della fornace Gallotti, della Salara, dell'ex zona portuale; il recupero dell'ex-opificio della Grada, il risanamento della canalizzazione sotterranea dell'Aposa con riscoperta del ponte romano di cui si è detto.
E c'è un gioiello della "storia idrica" di Bologna: la restaurata conserva ottagonale in via Bagni di Mario, fuori porta S. Mamolo, progettata da Tommaso Laureti e realizzata nel 1564, per raccogliere le acque destinate ad alimentare la coeva statua del Nettuno.
Visitarla è fare un viaggio nella storia cittadina e non solo.Foto - La Salara Bologna

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