Milano, Design Week

La comica odissea del gruppo dell'Istituto Cavazza al mitico Palazzo Litta: un racconto che sfiora il surreale!
Marco Ferrigno

Tutto cominciò con il più grande errore di valutazione della storia: decidere di dormire a Bologna per risparmiare sui costi delle stanze di Milano, notoriamente più alte di una settimana a Dubai in hotel a 5 stelle. Così, una mattina, armati di pazienza e caffeina, ci siamo imbarcati su un pulmino diretto verso il cuore del design. Il primo giorno è partito con slancio epico: quattro ore di viaggio anziché le due previste, ben due incidenti in autostrada, e un festival delle parolacce in dialetto che neanche al Carnevale di Viareggio. Ivan e Gennaro si contendevano il titolo di "paroliere dialettale", sfidandosi tra il bolognese più puro e il napoletano più colorito, ma il traffico non ne voleva sapere. Ajar, intanto, dormiva beatamente, immune al caos intorno a lei: ci siamo chiesti se avesse un interruttore segreto che la mandava in modalità risparmio energetico appena salita sul pulmino. Nei giorni successivi abbiamo provato a cambiare strategia, optando per il treno. Illusi. Trenitalia ha dimostrato subito grande senso dell'umorismo, facendo ritardare perfino la voce degli annunci in stazione. Poi, il culmine: un treno rotto ha costretto tutti i passeggeri, noi compresi, a infilarsi in un altro già stracolmo. Risultato? Abbiamo fatto la conta per decidere chi avrebbe viaggiato seduto e chi in bagno, esperienza degna del miglior reality show. Finalmente arrivati a Milano, Palazzo Litta (anzi, Palazzo Latta, Palazzo Letta o Palazzo Lizza secondo i nostri "esperti" di pronuncia) ci accoglieva con oggetti così preziosi che romperne uno significava vendere casa e pure quella del vicino, tanto per non rischiare. Nonostante il terrore iniziale, tutto è andato sorprendentemente bene, grazie alle nostre guide coraggiose: Ajar, Gennaro, Pia, Rania e Vincenzo. Il divano con il braille sul tessutoTra i momenti memorabili, la signora anziana vedente che appena bendata iniziava a urlare, convinta che la benda rendesse anche sordi; il signore devotissimo che invocava santi e madonne appena calato il buio; e la ragazza cieca che aveva una missione: toccare qualunque cosa esposta, anche se non faceva parte della mostra, l’importante era che si potesse toccare! Intanto, il pubblico si apriva come il Mar Rosso davanti al bastone bianco dei nostri visitatori, rifugiandosi contro i muri e lanciandosi in improbabili gesti scaramantici. Gennaro, da bravo stratega napoletano, aveva scoperto il divano di Adrenalina, e ogni volta fingendo di concentrarsi sulla lettura di misteriose iscrizioni braille, si concedeva sonnellini clandestini. Da veri piazzisti, siamo riusciti a convincere persino la Direttrice di Palazzo Litta e le ragazze del bar a provare l’esperienza bendata, riscuotendo gran successo. Tutto lo staff, noi compresi, è rimasto sorpreso dalla riuscita del progetto e dall'entusiasmo del pubblico, composto anche da architetti e designer arrivati da ogni angolo del mondo, interessati a conoscere la nostra realtà: “soccia” quante domande! Cosa ci portiamo via da Palazzo Litta, oltre al mal di piedi cronico e l'allergia ormai conclamata a treni e pulmini? La certezza di aver scoperto un mondo inesplorato, fertile e pieno di opportunità, pronto ad aprire nuovi orizzonti che, ne sono certo, l'Istituto dei ciechi Francesco Cavazza sarà pronto ad intraprendere senza pari.

 

Precedente | Successivo