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La memoria di Bologna

Non basta un giorno per ricordare
Generale Lanfranco Roccetti Ex Comandante Gruppo Speciale AUC

Mercoledì 27 gennaio 2021 non è un giorno come gli altri.

É la data in cui, nel 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di sterminio di Auschwitz, il più grande di tutti, realizzato dal nazismo per mettere in opera il progetto criminale dedicato alla soluzione finale della questione ebraica. I soldati trovarono circa 7000 prigionieri ancora vivi e, con loro, le testimonianze di quanto era avvenuto in quella fabbrica di morte. Fu questo il drammatico epilogo di una storia terribile cominciata nel 1938 con l’avvento delle prime leggi razziali. In quell’anno, la comunità ebraica bolognese, poche migliaia di persone, era perfettamente integrata con il resto della cittadinanza ma, con il passare del tempo, anche a Bologna, come in altre città d’Italia, furono applicate disposizioni sempre più vessatorie. All’inizio, i docenti ebrei furono espulsi dall’Università come pure i medici dagli ospedali e gli avvocati dal tribunale. Provvedimenti assurdi “a difesa della razza” che rappresentano ancora oggi una vergogna per l’Università più antica del mondo ed ebbero ripercussioni sulla ricerca e sulla scienza vedendo fuggire, per sempre, menti illuminate. Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, la situazione peggiorò ulteriormente. Nel novembre del 1943 uscì la delibera di Mussolini nella quale gli ebrei erano definiti appartenenti a nazionalità nemica e, come tali, dovevano venire privati di ogni bene e avviati negli appositi campi di concentramento.Lapide alla memoria - via de' Gombruti, Bologna Tra novembre e dicembre del 1943 furono numerose le retate organizzate per catturare gli ebrei in città che, dopo un periodo di detenzione nel carcere di San Giovanni in Monte, venivano condotti nel campo di concentramento provinciale di Fossoli vicino a Modena, considerato luogo di transito. Nel febbraio 1944 cominciarono a partire i convogli verso l’inferno: destinazione i lager di Bergen Belsen e Auschwitz. Sul primo di quei treni, partito da Carpi il 22 febbraio 1944, c’era a bordo anche Primo Levi, in compagnia di molte famiglie arrestate a Bologna. I questori emiliani, seguendo le direttive di Julius Wibertz, il dirigente del comando Sipo-SD di Bologna, arrestarono ogni individuo presente sul territorio appartenente alla razza ebraica: singole persone, gruppi famigliari, personalità cittadine o semplici commercianti. Purtroppo, anche con la chiusura di Auschwitz, gli ufficiali bolognesi delle SS organizzarono fucilazioni segrete di ebrei unendoli ai partigiani catturati. Dopo aver vissuto a Bologna per oltre due secoli in pace, nella zona che gravita intorno a Piazza Ravegnana, il cuore medioevale della città nelle vie de’ Giudei e dell’Inferno dove, al civico numero 16, vi era la sinagoga distrutta dai bombardamenti del 1943, la popolazione ebraica bolognese venne sistematicamente rastrellata, deportata e assassinata.

Oggi, una lapide posta sulla nuova sinagoga in via de’ Gombruti, ricorda le vittime, tra le quali il rabbino in carica quel tempo, che non tornarono mai più a Bologna.

Erano 800 gli ebrei residenti in città e, di questi, 114 finirono morti nei campi tedeschi. Non basta un giorno per ricordare, ma abbiamo tutta una vita per non dimenticare quello che resta ancora oggi uno dei crimini più orrendi compiti da quella che, forse non sempre a ragione, chiamiamo umanità.

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