Giuseppe Palumbo: il maestro dell’arte invisibile

Parole e disegni per raccontare il mondo
Silvia Colombini

"Il fumetto viene chiamato l’arte invisibile, perché il suo linguaggio si fonda sull’interazione con il lettore.". Comincia così la chiacchierata con Giuseppe Palumbo, autore di fumetti tra i più quotati, premiato al Lucca Comics come miglior disegnatore italiano. È sua la mano che da quindici anni racconta le avventure di Diabolik, illustra libri, collabora a mostre e che negli ultimi mesi ha dato vita ad alcune opere che illustrano la sua terra d’origine, la Lucania. Laureato in archeologia, residente a Bologna, Giuseppe, come tutti gli artisti, abita un mondo senza confini dove vedere oltre è il requisito indispensabile per alimentare la creatività. Anche nel mondo dei fumetti, che vive un momento di rinascita. “Oggi la situazione è abbastanza fluida. Fino a qualche tempo fa c’era il dibattito tra fumetto popolare, Tex, Diabolik per citarne qualcuno, e fumetto d’autore, quello ospitato dalle grandi riviste come Linus, Frigidaire, o Comic Art. Con il tempo questa suddivisione è andata sparendo perché sono sparite le riviste e il loro ruolo, che non è più rilevante. Gli autori, come me, sono stati assorbiti dal fumetto popolare oppure si sono arroccati su case editrici distribuite in libreria come Coconino Press o Comma 22. Questo fenomeno ha annullato così la distinzione di una volta, e oggi i libri di autori di fumetti come Zercocalcare o Gipi vengono venduti con tirature da best seller, si parla di ottantamila copie, un fenomeno di massa. E a questo fatto hanno contribuito anche le nuove tecnologie che, facilitando la diffusione e la fruizione, hanno permesso ai giovani autori di mettere in rete i loro disegni diventando così in breve tempo un fenomeno virale di grandi proporzioni.”.

Giuseppe Palumbo - autoritratto

Ma cosa caratterizza la narrazione di una storia a fumetti rispetto ad altre forme d’arte, come un romanzo o il cinema? “Oggi il fumetto d’autore viene definito come graphic novel, un vero e proprio romanzo a fumetti, che del romanzo conserva la struttura narrativa tipica declinandola con un linguaggio visuale e testuale insieme. La narrazione è quindi sviluppata da immagini in sequenza e gli argomenti, i contenuti possono avere un taglio intimistico, autobiografico, a differenza del fumetto tradizionale che, solitamente, rientra nelle regole del genere. Western, horror, supereroi, thriller. Certo, ci sono anche casi intrisi d’intimismo di autobiografismo, come il Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Oppure il mitico Ken Parker, che pur rientrando nel genere western, inseriva nelle sue storie temi d’attualità, come uno sciopero, tipico della realtà anni settanta nella quale nasceva il personaggio. Ecco, questo è uno dei vantaggi del fumetto: permette un’interazione con la realtà immediata. Per produrre un fumetto ci vuole poco tempo, ad esempio rispetto a un film o a un romanzo, quindi c’è una maggiore velocità d’interpretazione e di connessione con la realtà, oggi ancora di più facilitata dalla rete.”.

Ma allora, se quest’arte è così immediata e se, per di più, la chiamano l’arte invisibile, perché nessuno ha mai creato fumetti per non vedenti?

Un disegno dello spettacolo Brindisi con boia

“Essendo un linguaggio visuale certo è difficile renderlo per chi non vede. Per renderlo visibile bisognerebbe dare al segno una tridimensionalità, così come hanno le lettere dell’alfabeto braille, che hanno uno spessore non solo metaforico. Per questo durante la mia esperienza teatrale fatta per la rassegna Diverse abilità in scena con Gruppo elettrogeno, in occasione dello spettacolo Brindisi con boia, disegnavo dal vivo in scena mentre Emidio Clementi raccontava quello che stavo disegnando. Avevo fatto un tentativo finalizzato a rendere tridimensionale il segno utilizzando un inchiostro che, asciugandosi, si gonfiava, ma non ha funzionato.

In realtà un conto è decodificare parole e un conto è decodificare segni. Per renderli davvero leggibili bisognerebbe utilizzare dei segni semplici, come quelli dei Peanuts, nei quali forme e densità del segno sono minimali. Già Diabolik presenta troppi segni, utili per rendere il realismo, ma che a volte risultano difficili anche per chi vede.”Ma come, il fumetto non era un’arte popolare, immediata? Com’è possibile che non sia comprensibile a tutti, anche a chi vede? “ Già, te lo spiego subito. Nel fumetto, l’arte invisibile per eccellenza, ogni racconto è fatto d’immagini in sequenza che narrano una porzione della storia. Poi c’è lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra, nel quale noi immaginiamo lo sviluppo dell’azione che c’è tra una scena e l’altra. A differenza che nel cinema, dove sei più passivo, sei guidato dallo scorrere delle immagini, il fumetto ti chiede una costante elaborazione nel passare da una vignetta all’altra. Quello che un lettore elabora è quasi l’ottanta per cento della storia, puoi e devi tornare indietro sfogliando le pagine per costruire e correggere l’elaborazione. Quello che ancora e guida il lettore sono piccoli segni rispetto alla mole narrativa, segni che lo guidano nella ricostruzione della storia.

La sfida è proprio questa: se noi riuscissimo a trovare il modo di esprimere questi piccoli agganci anche per i non vedenti, il gioco sarebbe fatto. Alla fine l’elaborazione della storia è intima, e quindi può essere fatta a occhi chiusi.”. Sensibile e appassionato su questo tema, Giuseppe Palumbo ha in corso un progetto dedicato a Carlo Levi che esplora proprio il modo di esprimersi in condizioni invalidanti. Il grande scrittore e pittore italiano, autore tra gli altri del celebre Cristo si è fermato a Eboli, si trovò a vivere gli ultimi anni in una temporanea cecità durante la quale scrisse l’opera Quaderno a cancelli, intitolata così dal quaderno fatto con una griglia che gli permetteva di seguire le righe. Sereno e mai rassegnato, Levi non si fermò mai. “Tradurre in immagini questo libro è una vera sfida. Carlo Levi scriveva con questo quaderno speciale trasformando, come fanno i veri artisti, quella che sembrava una deprivazione in un’occasione. Le narrazioni, in fondo, partono sempre da una base mnemonica e le immagini che lui spesso evoca sono ricordi rielaborati e arricchiti da riflessioni fatte al buio, come poi facciamo tutti, vedenti e non.”. In attesa quindi del primo fumetto per non vedenti e dell’ultimo libro di Palumbo dedicato a Carlo Levi, continuiamo a immaginare che, a occhi aperti o chiusi, resta uno dei modi migliori per rendere più bella la nostra vita.

Copertina di "Il grande Diabolik - La colpa di Gustavo Garian" - Diabolik - Astorina Srl

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