Mi piace ricordarLa così, conte Cavazza, come quando ci conoscemmo, tanti anni fa: io, giovane cronista, inviata per servizio ad una cena di lavoro tutta maschile, e Lei, membro autorevole dell’Associazione che aveva organizzato la serata. Mi fece sedere accanto a Lei e si avviò la conoscenza con una conversazione estremamente piacevole e amichevole, nella quale argomenti colti e impegnativi si alternarono a divertenti e interessanti aneddoti e cordiali confidenze. Poi scoprimmo anche di chiamarci entrambi Paolo/a Emilio/a; la cosa ci divertì e si instaurò una corrente di simpatia.
Mi piace ricordarLa come quando, di tanto in tanto, ci si incontrava per strada o in qualche avvenimento ufficiale: la sua gentilezza, la sua arguzia, la sua cultura (sempre “soft”), la sua bonomia; i commenti su eventi e fatti generali o personali, esposti con garbo e - spesso - con una vena di humor, mai arroganti o dogmatici. Era facile dimenticarsi dei suoi titoli e delle sue cariche.
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Così anche nelle circostanze che La vedevano con un ruolo primario in cerimonie e manifestazioni varie.
Tutte occasioni nelle quali, ad emergere, era la sua umanità, la sua visione chiara, ma anche “sportiva”, del mondo e della vita, il piacere di comunicare e confrontarsi con estrema, signorile civiltà.
È vero: sono sempre stati incontri brevi, senza una frequentazione vera e propria, e forse - anzi: certamente - altri avranno ricordi e impressioni diversi dai miei.
Ma, ripeto - consapevole che mi rifaccio a valutazioni e sentimenti miei personali - mi piace ricordarLa così ed è per questo che, quando ho appreso che non ci sarebbe stata più possibilità di incontrarLa, ho provato un sincero rimpianto.
Ed è ancora per questo che per salutarLa, ho preferito farlo in forma “colloquiale” e non con un ricordo improntato all’ufficialità.
Addio, con stima e rispetto, Paolo Emilio Cavazza. |

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