Pechino 2008

di Nelson Bova

Paralimpiadi, appunti di viaggio di un osservatore privilegiato.


Le Olimpiadi sono un’unità di misura per valutare le capacità organizzative di un Paese, le Paralimpiadi invece indicano il grado di civiltà dello stesso Paese.

Foto - Bandiera della Repubblica Popolare Cinese


Affermazioni troppo lapidarie, semplicistiche e sicuramente discutibili, ma come negare che negli anni questo sia diventato l’approccio condiviso di un pensiero comune accettato a tutte le latitudini del mondo? Rimaniamo su questo piano di lettura e proviamo ad analizzare la Cina attraverso le sue Paralimpiadi, ricordando che questa manifestazione da Roma 1960 è collocata a pochi giorni dalle più note Olimpiadi e che coinvolge, negli stessi impianti sportivi, atleti con disabilità.

Foto - Tipica costruzione cinese illuminata

Per mettere a confronto Pechino 2008 con altre edizioni passate, utilizziamo parametri concreti e misurabili, comuni a tutte le manifestazioni paralimpiche: i volontari e l’informazione mediatica.
Non sono due riferimenti da poco. I volontari sono l’interfaccia, il volto pulito e sincero di un Paese che ha deciso di investire sulla percezione altrui del proprio grado di civiltà, vero o presunto.

Logo - Logo ufficiale delle Paralimpiadi del 2008 a Pechino

Alle Olimpiadi i volontari sono quelli che mettono in evidenza la capacità organizzativa di un Paese:
se non si è investito per tempo su di loro, l’intera struttura non regge o scricchiola. Alle Paralimpiadi i volontari mettono in gioco un elemento in più: l’interesse che dimostra il Paese ospitante verso i più svantaggiati. Nessuna organizzazione si può più permettere personale inadeguato disorganizzato o impreparato. Sarebbe una mancanza di attenzione al sociale non più accettabile dall’opinione pubblica internazionale. I volontari sono ragazzi e ragazze tra i 20 ed i 30 anni. Li si incontra nei varchi degli impianti sportivi, davanti agli ingressi dei media center e, riconoscibili dalle divise, in giro per la città. Ragazzi indifesi alle valutazioni di spettatori e di operatori dell’informazione.
Quasi sempre studenti, offrono il loro tempo gratuitamente o con paghe minime, ma hanno la grande responsabilità di rappresentare l’orgoglio e l’entusiasmo della loro terra. L’informazione mediatica svolge, con strumenti diversi, lo stesso ruolo. Ma prima ancora di essere la vetrina del paese ospitante, giornali e tv nazionali si rivolgono al proprio popolo, e lo fanno con molto anticipo rispetto alla simbolica accensione del fuoco olimpico. Il risultato del loro lavoro è misurabile dal numero e la qualità degli spettatori che seguiranno negli stadi gli atleti con disabilità.
Io ero a Pechino a seguire le Paralimpiadi, ma senza essere stato alle Olimpiadi. In quella occasione non ero (e normalmente non sono) il giornalista “tecnico” inviato per seguire solo l’aspetto agonistico ed il risultato sportivo dei nostri atleti.
Per questo specifico ci sono altri colleghi, in questo caso di Rai Sport, ben più preparati di me. Ho avuto quindi modo anche di uscire dagli impianti sportivi e dai confini della cittadella paralimpica.
Cosa dire quindi dei volontari cinesi? Personalmente non posso che parlarne bene. Gentili, sorridenti, discreti. Una caratteristica però mi ha colpito particolarmente, proprio perché si parla di cinesi: flessibili e ragionevoli. Le Paralimpiadi, dal 1988 utilizzano gli stessi impianti sportivi delle Olimpiadi, con spazi pensati per contenere molte migliaia di persone.
Gli stessi spazi, con gli atleti disabili, diventano fortemente disagevoli per una troupe televisiva che deve correre, con telecamera, cavalletto

ed altre attrezzature pesanti, da un impianto all’altro posti a notevole distanza tra loro. Prima di Pechino 2008 sono stato ad Atene 2004. Forse sarà stata la maggiore vicinanza temporale con l’11 settembre 2001, ma ricordo ancora come un incubo i volontari greci, irremovibili nel farci percorrere centinaia di metri per raggiungere un varco che, dietro di loro, distava 5-6 metri. Questioni di sicurezza, certo. Ma intorno a noi c’era il semi-deserto, non le masse di spettatori delle Olimpiadi. Con i volontari cinesi, un pin della tua televisione, una battuta scherzosa (a gesti più che a parole, perché trovare qualcuno che sapesse l’inglese era davvero difficile) e loro ti facevano passare. Non per una innata indole alla corruttibilità , ma per ragionevolezza.
Un episodio sintetizza l’opinione che tutti noi operatori dell’informazione abbiamo avuto dei volontari cinesi. Alcuni giorni prima della cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi la Gran Bretagna, prossimo paese ospitante, ha presentato in conferenza stampa Londra 2012. A Sebastian Coe, mitico primatista olimpico degli anni ’80 ora organizzatore della manifestazione, un giornalista inglese ha chiesto: ma li troverà  l’Inghilterra volontari così ospitali e sorridenti? Tutti in quella occasione hanno riso, eccetto Sebastian Coe.
I mezzi di informazione in Cina. Ho appreso, come tutti quelli che hanno seguito le Olimpiadi in agosto dalla tv, come il continente asiatico ha gestito la questione Tibet, la limitazione alla libertà di movimento dei giornalisti, eccetera eccetera. Tralascio di parlarne sia perché non è questa la sede sia perché fisicamente non c’ero. Per le Paralimpiadi posso però testimoniare l’assenza assoluta di questo clima. Anche quando l’Iran, in polemica con gli Stati Uniti su uno spostamento di orario ha rinunciato a giocare un incontro di basket in carrozzina, nessuno nel quartier generale dei media ha dato a questo episodio una interpretazione politica, come invece è avvenuto sui giornali italiani.

Foto - L’atleta Oscar Pistorius alle Paralimpiadi di Pechino

Personalmente come giornalista non mi è mai stato impedito di fare nulla, sia in giro per la città sia negli impianti.
In Cina non ci sono televisioni private e non ci sono impianti satellitari sui tetti dei privati cittadini. C’é un’unica tv nazionale, pubblica, la CCTV che ha 18 canali, e diverse emittenti regionali, sempre pubbliche. 28 ore di tv giornaliere su 2 canali della CCTV erano dedicate agli eventi paralimpici.

Foto - Atleta tuffatrice priva di un arto inferiore

Alle Olimpiadi le emittenti full time erano 5. Per la Rai questa di Pechino è stata l’edizione delle Paralimpiadi più coperta in tutta la sua storia: 5 ore quotidiane, su RaiSportPiù (satellite) e su Raidue. Ancora decisamente poche. Per onore di cronaca e senza voler con questo giustificare l’azienda per la quale lavoro, la Rai non ha (inspiegabilmente, io stesso me ne sono accorto navigando sul sito mentre ero in Cina) pubblicizzato la bella copertura mediatica sul suo sito, che tasmetteva i 9 canali in diretta 24 ore su 24 di tutte le gare nelle quali erano presenti le telecamere. Il direttore dei servizi sportivi della CCTV mi ha detto che lo share delle Olimpiadi era del 35%, quello delle Paralimpiadi del 5%. Non è comunque poco. Un cinese su 20 (circa 5 volte gli abitanti dell’Italia) le ha viste.

Foto - Gara del ciclista Giorgio Farroni medaglia di bronzo alle Paralimpiadi 2008 a Pechino

Uno dei più grossi problemi da quando Olimpiadi e Paralimpiadi si svolgono negli stessi impianti è riempire le platee di spettatori.
I cinesi saranno anche tanti in assoluto, ma io a Pechino non ho mai visto tribune vuote, sia per discipline spettacolari come il basket o il tennis in carrozzina sia per il più statico ping pong o il tiro con l’arco.
E non si trattava di comparse: per entrare si pagava dai tre agli otto euro.
Mi vengono in mente due possibili spiegazioni, senza riportare quella che ritengo più plausibile: o è stata una imposizione del regime, oppure i media hanno lavorato bene.

L’Italia ha vinto 18 medaglie. Ad Atene 2004 sono state 19, 27 a Sydney 2000, addirittura 45 ad Atlanta 1996. Va sempre peggio, se ci fermiamo ai dati statistici. Ma sulle 18 medaglie di Pechino nessuno ci avrebbe mai scommesso. Prima dell’inizio della manifestazione, il presidente del CIP Luca Pancalli disse, ottimisticamente, che sulla carta saremmo arrivati a 15. La nostra nazionale, se si esclude il nuoto, ha una età media alta e poi, problema annoso, gli atleti si preparano nei ritagli di tempo tra il lavoro e la famiglia. Intanto la competizione con gli altri Paesi si fa sempre più agguerrita.
Oscar Pistorius, con le sue super-protesi, ha il merito di avere rotto il muro di incomunicabilità tra gli atleti normodotati e disabili. Adesso, sempre di più chi ha i numeri può scorrazzare di qua o di là, provare nella manifestazione maggiore e se va male qualificarsi e vincere in quella minore, 75 mila euro l’oro, 40 mila l’argento, 30 mila il bronzo. Alcuni atleti (naturalmente non è il caso di Pistorius) hanno infatti disabilità ininfluenti per la disciplina per la quale competono e in alcuni casi competono in entrambe le manifestazioni. È il caso della nuotatrice, anche lei sudafricana come Oscar, Natalie Du Toit, giunta quarta nella granfondo delle Olimpiadi e vincitrice di 5 medaglie d’oro alle Paralimpiadi. Gli sport paralimpici più seguiti sono quelli più spettacolari, esattamente lo stesso di quanto succede alla sorella maggiore. Se ne discute da qualche anno: potrebbe corrersi il rischio che quelle dei disabili diventino la serie B dello stesso fuoco olimpico. E la serie cadetta di ogni disciplina, da che mondo è mondo, sceglie i più bravi ed esclude i meno capaci. A svantaggio dei disabili più disabili. E non basterà più la competizione del “boccia” per dimostrare che gli organizzatori non si sono dimenticati dei disabili-disabili, quelli meno competitivi e spettacolari. Dopo l’imbattibile Cina (211 medaglie), a Pechino 2008 si è piazzata la Gran Bretagna (102), sorprendentemente davanti alla superpotenza USA (99). Ad Atene, nel 2004 per la prima volta nella sua storia ha vinto, sorprendentemente, la Cina. Ma non c’é nulla di sorprendente. In entrambi i casi, le meraviglie sono venute dal team dello Stato organizzatore delle successive Paralimpiadi. Quando sarà il prossimo turno dell’Italia?
La Cina doveva rifarsi l’immagine davanti al mondo e per due mesi l’ha fatta. In tanti dicono che, spenti i riflettori, tutto tornerà (quindi ora è tornato) come prima. Io sono convinto che non sia così! Certo, la Cina non è il paese perfetto dimostrato durante la manifestazione, ma qualcosa, piccolo come il seme di una futura pianta, non può non essere entrato nelle abitudini e nella testa dei cittadini cinesi. Un seme che va innaffiato, certamente, ma che non si può estirpare o far morire facilmente. Un seme penetrato, forse, anche attraverso le migliaia di foto che ogni occidentale ha lasciato nelle loro macchine fotografiche. Ad ognuno di noi è capitato più volte che un cinese ci fermasse e chiedesse di fare una foto assieme a lui. Assieme ad un perfetto sconosciuto. Ad un ragazzo che parlava inglese, una volta gli ho chiesto il perché di questa richiesta. Abbiamo voglia di conoscere gente diversa da noi, di venire in contatto con la vostra cultura, mi ha risposto. Un giorno sono andato con la troupe in un ospedale di Pechino per incontrare la ragazzina di 12 anni, protagonista alla cerimonia di apertura, che ha perso una gamba nel terremoto dello scorso maggio in Cina. Vedendo la telecamera, una signora, con accanto un uomo seduto su una carrozzina dell’ospedale, ci ha avvicinato e alla nostra interprete ha raccontato che loro venivano da molto lontano, da un paese di campagna di una regione povera. Cartelle alla mano, ci ha raccontato che il marito (quello in carrozzina) stava male da tempo ed i medici lo stanno curando solo ora perché ci sono le Olimpiadi. Non so se adesso che di Olimpiadi non si parla più quel signore è ancora all’ospedale in cura. So però che senza questa eccezionale vetrina mondiale, probabilmente quell’uomo all’ospedale non ci sarebbe neppure entrato e la sua famiglia, proveniente da un lontano e povero paese di campagna, avrebbe accettato la malattia dell’uomo come qualcosa di ineluttabile.

Foto - Monumento della città di Pechino