Emozione e magia delle parole

di Silvia Colombini

La poesia di Roberto Pazzi e Gariele Via.

Un augurio per il nuovo anno: che sia pieno di parole e di poesia.
Ogni giorno, quando siamo felici o abbiamo le paturnie, quando veniamo bombardati da immagini e rumori, fermiamoci a seguire la voce più profonda di quello che abbiamo intorno. Come in quest’attimo che ci regalano i poeti Roberto Pazzi e Gabriele Via per farci sognare, per insegnarci ad ascoltare.
Roberto Pazzi: poeta, narratore e giornalista italiano, vive a Ferrara.
Tradotto in ventidue lingue, ha pubblicato numerose raccolte poetiche e romanzi di genere storico fantastico ed è considerato tra i più originali narratori italiani.
Gabriele Via: nato a Bologna nel 1969, settimo di dieci fratelli, teologo, insegnante, poeta, pupillo di Roberto Roversi, amico di penna di Roberto Pazzi, attraversa esperienze artistiche ed esistenziali diverse con un’unica certezza: per lui scrivere è respirare.
Foto - Il poeta Roberto Pazzi

Verso un nuovo anno
Quante volte m’è venuta l’idea
di freddare l’uccello in volo dell’attesa
sparando le parole
una sull’altra.
Così il suono scoppia in un suono
che poi muore in un altro,
così inseguendo il silenzio
s’innalza la gloria del Poema.
Ogni parola corre verso la sua fine
ma non riposa mai, fugge il silenzio,
e la pausa è l’attesa d’una stazione
dove i ritardi s’accumulano
nell’annuncio dell’altoparlante.
Quella voce puntuale
nell’annuncio dei ritardi,
precisa nello scandire i vuoti
dei mancati arrivi,
cade sull’anima
e sembra la tromba dell’angelo
che sveglia il giorno del Giudizio.
Mi cattura una nuova pausa,
tronco la successione,
subito mi sento in colpa
come se avessi schiacciato
camminando una città di formiche.
Non c’è posto per il vuoto,
nessuna vita lo accoglie,
ti dicono che
ti pentirai di non aver profittato
del tuo tempo
quando sarà tutto finito!
Ma nessuno mi aspetta
per rimproverarmelo,
come non mi attende alcuna lode
d’aver freddato quest’attimo
centrando le parole
con la mira esatta della mano.
Roberto Pazzi
Ferrara, 12/13 dicembre 2004

 

Continenti di parole inascoltate
Continenti di parole inascoltate
sono il mare rotto sono spigoli
ciuffi di spugna eco di risate
occhi i miei se ritorno vedete
che non ci vedo a modo vostro
come se sognare fosse
un gioco di calibri e punteggi
manuali di protocolli internazionali
metri mercati pesi misure
oggetti puri di contendere i sapori
e chi come me vede solo col cuore
lo dite uguale per privazione
invece è due volte diverso
ché a tratti non ho parole
per come cieca è la mia parola
non io… non potete capire

Una volta conobbi un saggio
che aveva smesso di vedere
con gli occhi, come comunemente
dice la gente, il mondo, la tradizione umana…
un cieco, saggio.
gli esempi si sprecano, da Omero
fino ai fenomeni musicali di oggi…

E lui mi disse
che non c’era altro modo
per definire esattamente voi
il vostro sensibile diverso modo
di patinare il mondo di quella lucida
placenta chiamata vista
e diceva voi, voi che siete un unico
dolore col vostro sogno rumoroso
che vi torna dentro la testa e fra le mani
e nel pneumatorace spontaneo
e ancora come fanciulli ne siete
tutti presi e non ne vedete l’anima
sognatori… anche io sogno, ma lo so.
e rideva e rideva e rideva
e diceva
chi potrà fare ombra a questa mia libertà
il mio modo di vedere non ha bisogno di prove
so che i sensi sono piacevoli,
ma limitati
e vederci è una questione di tatto
non di occhi…

Ma poi, mostrata la sua picca,
una volta che il silenzio
il silenzio che resta in una stanza
quando le persone se ne sono andate
cieche dietro i loro passi…
ecco la sua voce bambina
gettata nel centro dello spazio
come un bimbo che chiami mamma
dal risveglio, immediato…

La più profonda nostalgia
di quando ci vedevo, come dite voi
non è un tramonto o luce di persiana
ma il volto del mio amore
con abito d’occhi vivi
che mi versavano in viso
mondi e mondi e mondi
con intima naturalezza di sguardo
in visione, in prima visione
col loro silenzioso dolcissimo
movimento che diventa una danza
sui lineamenti della persona
quando avviene il riconoscimento…
E la pelle e la voce e le parole
sono le più dolci pericolose cose…
E le cose generali tutte il mondo
sono trampolini per l’emozione di
essere primavera di esplosioni vive
e mi prese il viso, in questo canto
e mi insegnò per sempre
il diadema dell’abbracciò
mi insegnò la voce del bacio
e mi carezzò
conoscendo ancora
il mio sguardo col motore
prossimo della nostalgia
ed era come se dio
un archeologo della verità
posasse la verità della sua mano
sul mio volto di terra e sete di luce…
ed ora vedevo benissimo
di essere cieco, io
io che lo vedevo non vedere
per l’ufficio crudele delle scale
e piangevo
capendo inoltre cosa poteva
volere inoltre evidentemente dire
la parola piangere
quando l’occhio non ha nessuna altra
cosa da fare…
Continenti di parole inascoltate
sono il mare rotto sono spigoli
ciuffi di spugna eco di risate

E chi come me vede solo col cuore
lo dite uguale per privazione
Invece è due volte diverso

quando l’occhio non ha nessuna altra
cosa da fare…
forse, allora
su superfici di abisso
si impara ad amare.

Gabriele Via © 18/05/2006

Foto - Il poeta Gabriele Via