Ipovedenza e apprendimento

di Federico Bartolomei e Mario Barbuto

Il servizio di consulenza educativa per il bambino ipovedente.

 

Il soggetto ipovedente, per definizione, è una persona portatrice di un deficit visivo irreversibile e non migliorabile con sistemi ottici convenzionali, di entità tale da non consentire lo svolgimento delle comuni attività della vita quotidiana.
In età evolutiva e scolare, la funzione visiva è strettamente correlata all’evoluzione globale del bambino, nelle sue dimensioni percettiva, psicomotoria, neuropsicovisiva tre componenti strettamente integrate tra loro. In base a queste premesse, è evidente che un grave difetto congenito o precoce in qualsiasi ambito funzionale non può essere considerato “settoriale” ma interferisce inevitabilmente con lo sviluppo di altre funzioni e sottofunzioni, coinvolgendo la sfera operativa e la sfera psicologica e limitando, di conseguenza, la partecipazione alla vita sociale.
Il trattamento riabilitativo deve quindi prevedere una sequenza di interventi a livello sanitario, sociale, psicologico e ambientale. Si tratta, in poche parole, di definire un percorso integrato implicante un’intima connessione di strategie finalizzate ad ottimizzare tutte le risorse residue dell’individuo, adeguare le caratteristiche ambientali sia strutturali che sociali, nonché gestire le eventuali ripercussioni psicologiche.
La definizione e quantificazione delle abilità residue di un bambino con handicap visivo richiede il più delle volte, un approccio plurispecialistico-multidisciplinare per la stesura del progetto e del successivo programma riabilitativo; per comprendere meglio la pura limitazione visiva si può generalmente dire che il bambino vedrà poco e male con entrambi gli occhi, sia da lontano che da vicino, anche con l’utilizzo degli occhiali, con un’acutezza visiva pari al massimo al 30% o ad un’ampiezza del campo visivo pari al 60% di quella dei coetanei: avrà quindi grosse difficoltà nell’osservare immagini e scritte di piccole dimensioni oppure nel muoversi ed orientarsi nello spazio.
Gli handicap sopra citati sono legati strettamente alla natura del deficit visivo: possiamo avere alterazioni della visione centrale con conseguente difficoltà nella lettura e nella visione dei dettagli delle immagini oppure alterazioni della visione periferica per cui lo spazio viene percepito in maniera ristretta, come attraverso un tubo, rendono così difficoltosa la mobilità e l’individuazione degli oggetti nello spazio. Affrontare questi problemi da un punto di vista tiflopedagogico-riabilitativo significa attivare una stretta collaborazione tra la famiglia, la scuola, ed i professionisti che si occupano della cura e della riabilitazione della persona.
Delle molteplici e significative conseguenze sulla qualità dello sviluppo globale del bambino che questi difetti possono innescare, ne abbiamo già parlato in precedenza, ma forse qualche considerazione e qualche esempio, tratti dall’esperienza pedagogica, possono risultare ancora più convincenti.
L’apprendimento, l’osservazione, il confronto, l’associazione, il movimento, in sintesi la significatività e la piacevolezza del conoscere e dell’esprimersi e la stima di sé, rischiano di dover fare i conti con le conseguenze del difetto senso-percettivo-visivo.
Non sempre tuttavia, questi rischi sono avvertiti nella loro portata, né il bambino, d’altra parte, ci può aiutare più di tanto, poiché la condizione visiva che vive gli appare “normale”, perché è anche l’unica che conosce e anche perché ha, probabilmente, già adottato comportamenti in qualche modo compensativi del limite visivo. Ma sarà l’impegno scolastico ad offrire nuovi e inevitabili termini di confronto e consapevolezza delle diverse prestazioni possibili. Ne consegue che, a scuola, un bambino con difficoltà nella visione da lontano rischia di vedere male la lavagna, e perciò di imparare male, ma rischia anche di non poter fruire a pieno della valenza educativa di cartelloni o alfabetieri posti in alto sulle pareti dell’aula, o dei video didattici e di non poter interpretare prontamente il linguaggio mimico-gestuale che sostiene la comunicazione orale dell’insegnante e dei compagni. Altrettanto intuibili sono le conseguenze della difficoltà nella visione da vicino: difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel disegno; tutto questo provoca maggior fatica durante l’applicazione e perdita delle opportunità di rinforzo, verifica e gratificazione.
In tutti questi casi il “rendimento scolastico” risente della gravità della minorazione; per raggiungere risultati adeguati alle aspettative scolastiche, l’alunno deve sopportare uno sforzo pedagogico molto più intenso di un compagno normovedente. Un’enorme quantità e qualità d’informazione viene persa. Questa deprivazione può ridurre il patrimonio di esperienze e competenze con gravi rischi sull’apprendimento e può richiedere, per essere compensata, l’attuazione di pazienti percorsi didattici.
In presenza di una grave limitazione del campo visivo anche il semplice compito di individuare e congiungere due punti su un foglio diviene un’impresa che richiede perseveranza e accortezza operativa.
Quando la visione è così parcellare l’intento di ricostruire un contesto fotografico, un’immagine geografica o artistica, obbliga ad un impegnativo lavorio di ordinamento dei frammenti percepiti e, solo a fatica, si delinea una rappresentazione mentale sintetica dell’insieme.
A volte può coesistere un’alterazione della percezione cromatica: un colore si può confondere con un altro, riducendo la capacità di identificazione di un oggetto dallo sfondo; sulla carta geografica fisica, le palline rosse delle città scompaiono tra le pianure verdi, il Po azzurro con i suoi affluenti non si staglia più tra valli e prealpi e alla fine del percorso la foce sulla costa adriatica si confonde in un grigio simile al celeste del mare. La prima esemplificazione alla lavagna dell’analisi logica con il soggetto scritto in verde, il predicato in rosso e l’oggetto in blu, diventa un rebus di grigi risolvibile solo prestando molta attenzione alle spiegazioni orali.
Alcune patologie possono provocare anomalie nell’adattamento alla luce con sintomi quali la fotofobia e l’abbagliamento per cui il bambino non riesce a sopportare un’illuminazione per altri gradevole e, in aula, si ricorre all’utilizzo di tende alle finestre o di posti più lontani dalle finestre; alterazioni della capacità di adattamento al buio possono condurre ad un sintomo chiamato “emeralopia” o ridotta visione al calare della luminosità: in classe gli altri alunni, sembrano precipitare nel buio al ridursi dell’illuminazione ambientale.
Il bambino giunge all’alfabetizzazione attraverso un percorso di esperienze che inizia nei primi mesi di vita e si protrae nel tempo fino all’inizio dell’apprendimento formale. Anche l’attività grafica non spunta dal nulla all’età di sei anni, ma è il risultato di un percorso di sviluppo cognitivo, psicologico e psicomotorio che il bambino avvia ben prima che i segni scritti gli vengano presentati per essere appresi. È fondamentale capire che l’apprendimento non si identifica solo con quello che noi insegniamo, ma si fonda su idee e conoscenze che il bambino si è costruito attraverso le attività di gioco spontaneo, l’interazione con gli altri e l’ambiente. Il percorso d’apprendimento non deve perciò essere standardizzato, ma deve scaturire da quella particolare situazione specifica, scolastica e no, e dalle risposte che di volta in volta emergono.
I sussidi vanno scelti non in base all’età cronologica o alla classe che si frequenta, ma bisogna anche sottolineare l’importanza di una scelta metodologica dettata da quelle che sono le personali potenzialità, capacità, esigenze dell’alunno in quel momento e per quella disciplina.
Importante è riuscire a lavorare col bambino per trovare quelli che possono essere i dispositivi a lui utili adattando, modificando, adeguando una procedura di uso comune e renderla efficace per uno solo.
Nelle varie situazioni di apprendimento è comunque da salvaguardare la valenza emozionale, il senso piacevole di intrattenimento, il gusto del fare, l’investimento gratuito di energie psichiche per uno scopo mirato e ricercato.
Per quanto riguarda gli ausili per ipovedenti, ad eccezion fatta per situazioni gravi, per cui è necessario procedere per gradi all’insegnamento del Braille si utilizzano generalmente strumenti che sono legati all’ingrandimento dei caratteri o all’elaborazione elettronica dell’immagine quindi: libri di testo ingranditi e quaderni a righe marcate e distanziate tra di loro, videoingranditori e software ingrandenti con sintesi vocale per l’utilizzo di Personal Computer. Le trascrizioni dei testi o di dispense in Braille o a caratteri ingranditi, vengono fatti da enti preposti che forniscono alle scuole richiedenti i testi di cui hanno bisogno.
Alcuni dei materiali sono strumenti utilizzabili da tutta la classe; il mappamondo ad es. può essere in rilievo, colorato (anche per ipovedenti e per poter essere utilizzato dal resto della classe), viene letto bene sia con le mani che con gli occhi, ha due legende in basso di indicazione riguardanti i continenti e i mari fatte sia in Braille che in nero proprio per far sì che possa essere strumento di integrazione anche fra gli insegnanti di sostegno e curricolari e non solo fra gli alunni.
Per poter essere utilizzati anche dagli ipovedenti alcuni strumenti vengono dotati di elementi con forte contrasto cromatico tra lo sfondo e lo scritto o la figura che eventualmente è rappresentata.
Vi sono altri materiali in rilievo che fungono da tavole riassuntive di diverse discipline riprodotte tutte al Thermoform (tecnica utilizzata per rendere il disegno che si vuole rappresentare in rilievo).
La conoscenza concreta delle situazioni, degli oggetti, degli strumenti e non soltanto la verbalizzazione delle esperienze che si fanno è indispensabile per i minorati visivi per arrivare ad avere un’immagine mentale della realtà circostante, una reale conoscenza di tutto quello che imparano. Fondamentale è partire, quindi, dall’elemento reale, concreto per arrivare gradualmente alla rappresentazione simbolica, utilizzando tutti i materiali e gli strumenti che ci possono essere utili per rappresentare un oggetto, per spiegare una disciplina e per rendere la partecipazione dell’alunno il più possibile continua e omogenea al resto della classe.
Anche per il disegno ci sono diversi strumenti, alcuni per la rappresentazione bidimensionale dei primi oggetti conosciuti, altri si utilizzano per la riproduzione di figure geometriche (piano in gomma, riga, squadra, compasso, ecc.).
In conclusione riteniamo utile specificare che qualsiasi attività pensata per il bambino deve partire dalla soggettività, altrimenti si rischiano quelli che vengono chiamati accanimenti “qualitativi” e “quantitativi”: qualitativi quando si impongono obiettivi funzionali previsti da un protocollo standard non personalizzato; quantitativi, quando vengono prorogati indefinitamente i tempi di lavoro, nell’illusione di poter raggiungere un obiettivo non calibrato sulle potenzialità del bambino. Tutti i sussidi didattici siano essi per non vedenti che ipovedenti, vanno considerati come strumenti il cui valore dipende dalla capacità degli operatori di saperli indicare e utilizzare nel contesto di un progetto riabilitativo globale.

Bibliografia:

Cannao M.1989, “Ipovisione. I problemi dell’età evolutiva”, in “Saggi”, anno XIV, numero monografico.
Cannao M., 1999. “La mente con gli occhiali”, Milano, Angeli Colombo E., “Disturbi visivi complessi e didattica specializzata”, 1984, Saggi. Delpino E., Gallo G., Gettani A., Pieri P. “Giocando s’impara. L’apprendimento della scrittura nell’ipovisione”. 1999, Istituto David Chiassone – Genova. Grassi N. “Elementi di tiflodidattica. Giornale di ipovisione”. Professional Optometry. Vigneux F.

Foto - Primo piano di un bambino

 

Foto - Bambino con gli occhiali

 

Foto - Primo piano di bambino con occhiali

 

Foto - Strumenti per gli ipovedenti