Uomini, terra e acqua

di Paola Emilia Rubbi

Il lungo filo della storia.

Le oasFoto - Airone Cenerinoi di Vallesanta e di Campotto, ad Argenta, ovvero: circa 850 ettari di natura libera e incontaminata, dove prospera una grande varietà di specie vegetali e animali (molte delle quali rarissime nel panorama nazionale); dove aironi, garzette, cavalieri d’Italia, cormorani e altre specie di uccelli (di cui 145 migratrici) vivono tranquille e spImmagine di un vecchio casino di campagnaesso nidificano; dove puoi camminare per valli, sacche, pialasse, boschi, pinete, canneti e campagne, che ad ogni stagione si vestono di colori diversi, risuonano di richiami di animali diversi, offrono diverse atmosfere.
E dove sembra di udire ancora le voci e i canti degli “scariolanti”, gli uomini che con le loro enormi fatiche, il loro modesto e prezioso lavoro oltre un secolo fa modellarono questo irripetibile ambiente naturale. Perché è stata l’attività umana - connessa alla bonifica - a trasformare in oasi naturalistica di interesse internazionale, quelle che un tempo erano zone paludose, malsane, invivibili.
In questa vasta area - sottolinea Adamo Antonellini, Assessore del Comune di Argenta - l’ambiente naturale e le opere dell’uomo intrecciano elementi che consentono di ripercorrere tutta la storia di questo territorio, evocandone, da un lato, gli ambienti originari e, dall’altro,Immagine di un'oasi paludosa il lungo percorso di crescita culturale e sociale, fornendo un ampio orizzonte tematico, forse unico in Europa, tra natura, storia, cultura, economia, tecnologia, acqua e terra.”
Infatti, la Vallesanta e Campotto sono ciò che resta delle estese paludi di acqua dolce che iniziarono a formarsi dal XII secolo, quando il Po di Primaro, ormai ingombro di sedimenti, non riuscì più a ricevere le acque dei diversi torrenti appenninici che qui affluivano. Esondando, le acque formarono quindi una grande distesa paludosa, che tale rFoto - Tramonto sul canaleestò fino ai primi del ’900. Fu allora che ebbe inizio la “grande avventura” della bonifica che, con la realizzazione di un articolato sistema di “casse di espansione” (850 ettari di enormi catini di terreno in cui viene fatta affluire e immagazzinata l’acqua, quando il fiume Reno non riesce più a riceverla) ha creato le condizioni per lo sviluppo e la sopravvivenza di una natura “autentica”, rigogliosa e ospitale per tutte le specie viventi, realizzando contemporaneamente un sistema di difesa del territorio sia dall’eccesso che dalla carenza d’acqua.
È qui a Saiarino, dunque, che si possono vedere le gigantesche pompe idrovore (costruite oltre un secolo fa ed ancora perfettamente funzionanti) con le quali le acque, immesse nelle casse di espansione durante le piene, vengono poi fatte defluire nel fiume Reno e vengono “rilasciate” per l’irrigazione dei campi.
È il Consorzio della Bonifica Renana a gestire questo complesso sistema idraulico di regolazione delle acque, che ha il suo cuore pulsante a Saiarino e nelle oasi di Campotto e Vallesanta, che costituiscono uno dei pochi lembi residui di un paesaggio un tempo molto più esteso: la Padusa.
Un pugno di chilometri da Bologna, ancora meno da Ferrara e ci si trova in un habitat naturale unico, oggi conservato grazie ad un delicato e vitale equilibrio idraulico, garantito, ancora una volta, dal lavoro umano.
L’interazione millenaria dell’uomo con il territorio, testimoniata “dal vivo” dalle valli, trova poi una puntuale e ricca documentazione nei tre Musei delle Valli, della Bonifica e Civico: siamo in pieno Ecomuseo di Argenta, che a sua volta fa parte del Parco del Delta del Po.
Se, vagabondando per le oasi o fermandosi negli “osservatori” di canne che vi sono stati qua e là costruiti, si possono vedere volare uno svasso maggiore, un cigno selvatico, un germano reale, una moretta tabaccata, un mignattino piombato, o si possono scorgere – nel verde delle acque – le ninfee di mille specie o la genziana acquatica, e – nell’erba dei prati, degli argini e dei canneti – la veronica acquatica, la menta d’acqua, l’euforbia palustre, il giglio giallo…, è nei Centri mussali che si incontrano la tecnica e l’attività umana: gli impianti idrovori, con la loro meccanica intatta; gli antichi forni ad uso della centrale termica; i trasformatori, gli immensi interruttori; il grande plastico che simula un’alluvione con i corsi d’acqua che si ingrossano e le pompe idrovore che lavorano a tutto regime. Foto d’epoca e pannelli illustrativi dipanano il lungo filo della storia intrecciata di uomini, terra e acqua.