Il cittadino onorario Farinelli

di Maria Chiara Mazzi

Accademico filarmonico nel 1730, ottenne la cittadinanza onoraria nel 1732.


Tra i tanti musicisti che hanno soggiornato a Bologna e che, con la loro presenza hanno spesso mosso i viaggiatori e i melomani a giungere e a fermarsi in città per conoscerli, uno sicuramente colpisce la nostra immaginazione, per l’eccezionalità della sua figura e per essere stato universalmente riconosciuto come il più celebre e il più bravo tra i cantanti evirati del Settecento: Carlo Broschi, detto Farinelli.
I cantanti evirati erano cantanti di sesso maschile con voce di contralto (contraltisti) o di soprano (sopranisti) impiegati, in particolare, nella musica sacra. Tuttavia, a partire da fine Seicento e per buona parte del secolo successivo, per le loro doti straordinarie, s’imposero anche in teatro, raggiungendo fama, onori, ricchezze in tutto il continente. Essi possedevano estensione e agilità vocali fuori del comune, oltre ad un timbro purissimo, assolutamente irreale e (per ovvie ragioni) oggi non riproducibile.
Carlo Broschi era nato a Napoli nel 1705, ma il suo legame con Bologna era Raffigurazione di Farinelliiniziato prestissimo in teatro, dove si era esibito già nel 1727. Era poi divenuto Accademico Filarmonico nel 1730 e aveva ottenuto la cittadinanza onoraria nel 1732. La sua bravura aveva, intanto, varcato i confini d’Italia, lasciando ammirati tutti coloro che lo ascoltavano, come narra questa testimonianza: “Il direttore d’orchestra dell’opera si accorse che i quattro musicisti che accompagnavano Farinelli non lo seguivano ed erano tutti a bocca aperta, come inebetiti da un fulmine. Poco dopo confessarono di non riuscire a tenere il suo passo, non soltanto perché si sentivano incapaci di proseguire per la meraviglia ma anche perché sopraffatti dal suo talento”. Giunto alle soglie della vecchiaia, dopo avere ottenuto fama e ricchezze straordinarie, Farinelli era tornato a Bologna, dove alla residenza in città (in Via Santa Margherita) alternava il soggiorno nella villa fuori porta Lame, di cui oggi si conserva una cappellina recentemente restaurata a cura della Fameja Bulgneisa.
Era questa villa, dalla quale come scriveva a fine Settecento il viaggiatore inglese Charles Burney (che nel suo viaggio musicale in Italia si era fermato in città per incontrarvi le personalità più eminenti) “si godeva una bellissima vista su Bologna e sulle collinette che la circondano”, un vero scrigno di tesori d’arte. È sempre il Burney a descrivercela: “Alle pareti della grande sala sono appesi i ritratti di altri personaggi, quasi tutti principi regnanti che sono stati suoi protettori. E in altre sale notai quadri incantevoli di Ximenes, di Murillo e dello Spagnoletto. Possiede un gran numero di clavicembali costruiti in paesi diversi e un curioso orologio inglese a pendolo con figurine che suonano insieme la chitarra, il violino e il violoncello e le cui braccia e dita sono messe in movimento dallo stesso pendolo”.
I beni e l’archivio straordinario di Farinelli andarono dispersi alla sua morte, avvenuta nel 1782, anche se, tuttavia, rimangono a Bologna altre tracce del cantante.
Resta in città forse uno dei più bei ritratti del cantante, così come il suo testamento e l’inventario della sua immensa ricchezza (all’Archivio di Stato), la sua corrispondenza con Metastasio (alla Biblioteca Universitaria di Bologna), alcune musiche autografe (presso il Civico Museo Bibliografico Musicale) e, soprattutto, la sua tomba.
Farinelli infatti, da uomo di spettacolo, aveva dato precise disposizioni riguardo al suo funerale nel suo testamento: “voglio una sepoltura senza pompa, con accompagnamento di poveri in numero di cinquanta, con candela di cera alla mano d’once tre l’una e che ad ognuno di detti poveri se li dia un paulo per ciascheduno dopo avere accompagnato il mio corpo alla Chiesa dei Padri Cappuccini, dove eleggo la mia sepultura”
La Chiesa di Santa Croce era annessa al Convento dei Cappuccini che, con l’arrivo dei francesi, alla fine del Settecento, era stato soppresso, per far posto alla Villa Revedin; tuttavia nel 1810 i resti del musicista furono traslati alla Certosa di Bologna dove tuttora è il suo monumento funerario risalente al 1845.