Non è tutto oro quello che luccica

di Federico Bartolomei

Disparità di trattamento degli atleti olimpionici da parte dei media.

Le paraolimpiadi sono i giochi a cui prendono parte atleti disabili animati dal medesimo spirito e dal medesimo entusiasmo dei normodotati.
Per ovvi motivi, non sono ancora ipotizzabili sfide dirette fra sportivi portatori di handicap e non, però i risultati raggiunti, in diversi casi, non si discostano enormemente dai record ottenuti dai superatleti che siamo abituati a vedere alla televisione; inoltre sono oramai note a tutti le appassionanti e divertenti vicende sportive che hanno visto disabili affrontare e vincere campioni blasonati costretti a gareggiare, s’intende, ad armi pari.Cronometro
Pioniere dell’introduzione dell’attività sportiva nella vita delle persone con handicap fu Sir Ludwig Guttmann, neurochirurgo dell’ospedale di Stoke Mandeville, non lontano da Londra; egli per primo propose programmi di allenamento a giovani reduci delle forze armate britanniche, portatori di lesioni midollari per cause belliche, con l’intento di prevenire le patologie secondarie all’handicap.
L’iniziativa del Dott. Guttmann ebbe molto successo, ed il 28 luglio 1948 si tennero i primi Giochi di Stoke Mandeville per atleti disabili. La prima manifestazione di tipo olimpionico si ebbe però nel 1960, immediatamente dopo le diciassettesime Olimpiadi di Roma.
Oggi le paraolimpiadi sono a tutti gli effetti Olimpiadi come le altre e per decisione del Comitato Olimpico Internazionale devono svolgersi nello stesso Paese in cui hanno luogo le Olimpiadi.
Nelson Bova è un giornalista ormai arcinoto nel mondo del sociale, con i suoi servizi, ormai da quattro anni, si occupa per conto della Rai di disabilità, realizzando per la sede dell’Emilia Romagna la rubrica settimanale Abilhandicap. In occasione dei Giochi Olimpici di Atene 2004 non poteva non essere il nostro inviato dalle paraolimpiadi.
“Questa fantastica esperienza” spiega Nelson “mi ha confermato quanto sia reattivo l’essere umano di fronte alle difficoltà della vita”. Sebbene egli sia nel settore da anni, le imprese e i successi dei disabili sembrano continuare ad incuriosirlo e stupirlo, e non perde occasione per descrivercele con la minuziosità di un cronista e con la sensibilità di un uomo che è andato oltre i luoghi comuni dove spesso la nostra immaginazione si ferma.
“Vedere le gare di nuoto: lì non c’è protesi che possa compensare anche solo visivamente le tue menomazioni, nudo, sei lì ad affrontare una prova.
Vedendo una gara di nuoto ho subito pensato che Atene fosse un posto splendido, pieno di significati e forse il più adatto per ospitare le paraolimpiadi (so che la - o - non ci va, e che si dovrebbe scrivere paralympics Paralimpiadi, ma - scusatemi - io la metto lo stesso perché mi rifiuto di accettare le motivazioni che ci stanno dietro, e cioè che il termine olympics, come anche il simbolo grafico delle olimpiadi, non siano stati autorizzati dai detentori dei diritti per questa manifestazione). Atene rappresenta l’antica Grecia, che con le sue statue è la testimonianza di una storia fatta di sfide millenarie, di conquiste, di progresso, di crescita. Alle statue il tempo ha tolto le mani, o intere braccia, o le gambe, ma ai nostri giorni sono ancora qui; hanno visto e in fondo anche loro combattuto guerre, superato devastazioni, si sono confrontate con l’ottusità dell’essere umano, ma ci sono ancora per dirci che, cMedagliaon la loro perseveranza, hanno superato qualsiasi aspettativa dei loro creatori e tutti gli affronti del tempo.
Questi nuotatori nudi, fisicamente incompleti, al bordo della piscina, pronti ad affrontare l’ennesima sfida, mi hanno immediatamente riportato all’immagine delle statue greche. Due di loro non avevano tre arti su quattro. Ma non solo nuotavano veloci: una volta arrivati al traguardo – il bordo della piscina che quelli senza braccia dovevano toccare sbattendoci la testa - stavano fermi nell’acqua a parlare e a scherzare con il loro allenatore, muovendo ad elica l’unica gamba o l’unico braccio.
Poi l’intervista nella mixed zone con i giornalisti della stampa connazionale, forse l’unico momento di attenzione, sotto i riflettori degli ultimi 4 anni.”
Nelson Bova ci parla di imprese sportive finalmente sotto gli occhi dei riflettori, proprio mentre in Italia cresce la polemica sulla scarsa attenzione dimostrata dalle tv per la manifestazione e sulla disparità di trattamento fra gli atleti olimpionici e quelli paraolimpionici.
“Sull’argomento paraolimpiadi e la stampa italiana potremmo parlare a lungo” spiega “farò un solo esempio emblematico: mentre ero ad Atene mi hanno telefonato diversi amici, estranei al mio lavoro e all’ambiente olimpico. Gli dicevo che ero ad Atene per le paraolimpiadi e in diversi mi hanno risposto: ma le olimpiadi non sono finite in agosto? Nel mio albergo era ospitato anche il personale della tv olandese, che ha allestito vicino alla piscina, all’ultimo piano, lo studio per la trasmissione quotidiana. Vedendo ogni giorno tutte queste persone vestite di arancione mi è venuto in mente di chiamare un amico italiano da anni residente ad Amsterdam, anche lui non dell’ambiente. Mi è bastato dirgli che ero ad Atene, e lui subito mi ha chiesto: Sei lì per le paraolimpiadi? Qui ne parlano tutti i giornali…”
In Italia, forse la notizia di maggior rilievo è stata la rivendicazione della sensibile differenza di compenso economico tra chi vince l’oro olimpico e chi il paraolimpico.
“Si, questo era uno dei tanti argomenti emersi negli incontri e nelle conferenze stampa durante lo svolgimento delle gare, non certo l’unico. Se più soldi devono esserci, meglio allora investirli in preparazione e in facilitazioni agli atleti, alla luce del risultato non certo esaltante del medagliere azzurro: 19 medaglie. Solo pochi anni fa si riusciva a superare anche le 50. Analizzando però il contesto, tutti hanno convenuto che sono migliorati gli altri, non peggiorati i nostri.
In ogni modo si può affermare con ogni probabilità che questa è stata l’edizione che, a livello internazionale, ha avuto la maggiore copertura mediatica dalla nascita delle Paraolimpiadi. Sono passati i tempi, per fortuna, in cui le tv motivavano il rifiuto a trasmetterle per la scabrosità e il sentimento di pena che suscitavano le immagini degli atleti.”
Ma sono ancora altre le sensazioni che ci può trasmettere un’esperienza olimpica in un anno contraddistinto da vicende mondiali che hanno veramente poco a che fare con lo sport e il divertimento.
“Ho toccato con mano la limitazione di libertà determinata dalla paura del terrorismo”.
“Da Seul, 1988, olimpiadi e paraolimpiadi usano le stesse strutture. L’ottima organizzazione messa in piedi per la manifestazione d’agosto dalla Grecia è rimasta tale e quale per le paraolimpiadi, in termini di ambienti e di aree occupate. Anche i sistemi di sicurezza sono rimasti tali e quali, con continui controlli al metal detector, lunghissimi percorsi obbligati e drastiche riduzioni all’accesso e alla percorribilità delle aree. Capitava così che per andare da un stadio all’altro nello stesso complesso, o anche solo all’interno di uno stesso stadio, pochi metri in linea d’aria diventavano viaggi interminabili, con pesanti attrezzature da trasportare sotto il sole o tra anonimi corridoi. Lunghi percorsi giustificati dal sovraffollamento della manifestazione olimpica, un po’ irritanti però per i pochi spettatori delle paraolimpiadi.” Forse le paraolimpiadi sono penalizzate anche per il fatto di non essere contemporanee alle olimpiadi. “Simbolicamente si, a mio parere. Ma dobbiamo tenere conto di altri aspetti non certo secondari. Gareggiare nello stesso periodo comporta tempi di permanenza raddoppiati (e la cosa non è certo fattibile per le scarse risorse dei nostri atleti disabili) se si alternano le gare, e comunque enormi investimenti in strutture per ospitare tutti gli atleti contemporaneamente. Ma il risultato più negativo di questa scelta sarebbe la completa scomparsa mediatica delle paraolimpiadi, oscurate dalle prodezze degli atleti normodotati. Un errore imperdonabile. Se vogliamo dare valore ai gesti simbolici, allora lasciamo le cose come stanno ma accendiamo la fiamma olimpica una sola volta all’inizio delle olimpiadi e spegniamola una sola volta alla fine delle paraolimpiadi. Perché, comunque, la manifestazione è unica e il tedoforo non importa che sia abile o disabile, ma importa che sia un atleta.
E non facciamo più l’errore del nostro Capo dello Stato che ha accolto al Quirinale gli atleti olimpici l’ultimo giorno delle paraolimpiadi.
Ma sono tutte valutazioni personali elaborate al mio rientro in Italia. Durante le gare ho lavorato molto ma mi sono soprattutto divertito. Mi capita spesso di usare il verbo – divertire - quando mi riferisco ad esperienze umanamente arricchenti.”