“Liberare
il sogno”
Corso di formazione
per genitori
di Francesco Stefani
Il coinvolgimento fattivo dei genitori nell’educazione è segno di vitalità del nucleo familiare e di buona accettazione della realtà.
Lo
scorso 21 febbraio si è concluso il corso di formazione per genitori
di bambini non vedenti o ipovedenti e per operatori del settore, proposto
dal Comitato genitori della sezione bolognese dell’Unione Italiana Ciechi
ed organizzato dall’Istituto Francesco Cavazza di Bologna con i fondi
messi a disposizione dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna
nell’ambito del progetto CIFRA, all’interno dei locali offerti
dal quartiere S. Stefano.
Si è trattato di un’iniziativa ambiziosa che ha voluto raccogliere
e dare risposta ad una realtà sempre più emergente nel mondo
della disabilità e cioè che le famiglie in cui è presente
una persona con minorazioni stanno sempre più diventando il perno di
riferimento attorno a cui ruotano tutti gli interventi riabilitativi ed educativi
rivolti al disabile ed hanno pertanto bisogno di essere a loro volta sostenute,
incoraggiate ed anche specificamente formate.
Il corso organizzato secondo questa finalità ha voluto far incontrare
gli esperti che lavorano sul campo, alcuni dei quali veri e propri capitani
di lungo corso
con un bagaglio di conoscenze e di vissuti estremamente rilevante, con i papà
e le mamme che, per necessità, si sono trovati a diventare, talvolta
anche con una certa improvvisazione, esperti di fatto della non-visione.
Gli aspetti che sono stati affrontati possono essere ricondotti a tre filoni
principali:
- la riorganizzazione dei rapporti e delle competenze all’interno della
coppia dal momento in cui si manifesta la minorazione nel bambino (3 incontri);
- le strategie di intervento educativo e riabilitativo sul bambino (3 incontri);
- le istituzioni e le associazioni che costituiscono il riferimento esterno
per le famiglie (4 incontri).
L’aspetto più direttamente legato all’esperienza vissuta
interiormente daigenitori
che si trovano a venir messi in discussione in tutte le loro certezze ed abitudini
acquisite allorquando compare la cecità nel bambino, talvolta all’atto
stesso della nascita, talvolta in momenti successivi, è stato trattato
in maniera specifica da due psicologhe dell’Istituto Scientifico Eugenia
Medea, collegato a La Nostra Famiglia di Bosisio Parini e da Salvatore Lagati,
del Servizio di Consulenza pedagogica di Trento.
Eleonora Maino e Onorina Schiano hanno presentato i risultati di alcune ricerche
appositamente pensate per far luce sull’evoluzione degli stili di comportamento
di una coppia toccata da un evento così rilevante. Hanno aiutato i
genitori presenti a ripercorrere il proprio vissuto, sicuramente crudo e doloroso,
ma anche denso di conquiste arricchenti e gratificanti. Hanno evidenziato
come la certezza della diagnosi iniziale sia elemento di rassicurazione e
di rasserenamento per i genitori, mentre al contrario il permanere di un esito
diagnostico incerto, sospeso tra speranze di guarigione o rassegnazione all’irreversibilità
del danno, costituisca un fattore destabilizzante ed ansiogeno, che preclude
spesso la possibilità di avviare un percorso di riorganizzazione positiva
e produttiva delle dinamiche familiari e dei rapporti interpersonali.
Il messaggio che ne è emerso è che lo scoglio che i genitori
si trovano ad affrontare può essere comunque superato e la vita di
coppia ne può uscire rafforzata, collocandosi ad un livello umanamente
più maturo e consapevole, livello che probabilmente, senza la prova
sostenuta, non sarebbe mai stato altrimenti raggiunto.
Nulla però è da dare per scontato: se non si instaura un dialogo
più profondo ed un più forte e reciproco sostegno all’interno
della coppia, se non si crea un’apertura con l’esterno, con altre
coppie che hanno vissuto o stanno contemporaneamente vivendo la medesima esperienza,
con operatori e referenti istituzionali attendibili e competenti, la coppia
si trova a far affidamento su risorse insufficienti e rischia di non reggere.
Le paure, i sensi di colpa, la percezione di inadeguatezza, la rabbia, il
risentimento, i tentativi di autodifesa possono portare alla negazione del
problema, alla delega totale all’esterno, fino alla rinuncia ad assumersi
qualunque responsabilità ed alla fuga anche fisica dalla famiglia e
dal figlio.
Per la verità, le coppie presenti agli incontri e le testimonianze
riportate hanno confermato che nella gran parte, se non proprio nella totalità
dei casi, vi è una reale possibilità di reggere alla prova e
di oltrepassarla, tenendo comunque presente che, una volta superato il durissimo
impatto iniziale, non ci si può ritenere vaccinati definitivamente.
Si va incontro infatti ad un secondo tipo di rischio, che è quello
dovuto al logoramento, allo stress continuo, all’affaticamento da superlavoro,
che può portare, se non tenuto sotto controllo – e il corso è
stato pensato proprio per questo – ad un lento e progressivo svuotamento
di motivazioni e di energie.
Tra i più efficaci antidoti a questo pericolo vi è l’attività
naturale di prevenzione psicologica che si fa mantenendo buoni rapporti sociali
con le altre famiglie e, in maniera più specifica e programmata, vi
sono le occasioni di ritrovo organizzate per genitori e figli assieme, quali
ad esempio le settimane residenziali a Trento proposte da Salvatore Lagati
e di cui i genitori che vi hanno preso parte hanno fornito testimonianze estremamente
positive e convincenti.
Per quanto riguarda gli incontri incentrati sulle attività rivolte
alla crescita ed alla valorizzazione delle risorse del bambino, hanno preso
la parola numerosi esperti alcuni dei quali operano a livello nazionale: Enzo
Bizzi, Stephan Von Prondzinski, Marina Vriz, Riccardo Chiarelli, Roberto Penzo.
Il messaggio che hanno concordemente comunicato ai genitori ed agli operatori,
pur nella specificità degli interventi, è quello di un sano,
ma fattivo, realismo che porti a rendersi conto con lucidità sia di
quello che viene a mancare nel bambino, sia di quello che rimane in lui disponibile.
Tener conto di quello che viene a mancare in conseguenza della non visione
o della visione insufficiente, caso che comporta a volte qualche rischio ulteriore,
è fondamentale per comprendere quale parte dello sviluppo intellettivo,
motorio e psicologico del bambino venga messo a rischio e quindi di cosa ci
si debba preoccupare e in quali momenti della crescita si debba intervenire
perché la presenza del deficit non penalizzi lo sviluppo della persona.
Allo stesso tempo è fondamentale operare una ricognizione approfondita,
e ancor più approfondita nei casi sempre maggiormente ricorrenti di
pluriminorazioni, delle risorse di cui dispone il bambino, perché attraverso
i canali sensoriali alternativi, tra cui primeggiano l’udito ed il tatto,
possono essere veicolate le stimolazioni e le informazioni che servono per
la costruzione della personalità, sia sotto il profilo cognitivo, che
affettivo, che psico-motorio, che relazionale.
Gli strumenti e le tecniche che sono oggi disponibili per valorizzare ed amplificare
le risorse naturali del bambino sono numerosi, ma c’è spazio
ancora per la creatività degli operatori e dei genitori stessi, che,
qualora si pongano in un atteggiamento positivo e costruttivo, diventano essi
stessi ideatori di manufatti e strategie di intervento efficaci e graditi
ai bambini.
Il coinvolgimento fattivo dei genitori nell’educazione è segno
di vitalità del nucleo familiare e di buona accettazione della realtà
e va distinto da un tipo di accettazione del bambino troppo accondiscendente
e protettivo. In tale caso infatti, in nome di una eccessiva tutela e custodia
del bambino rispetto al mondo esterno, non si coglie la necessità del
figlio di acquisire emancipazione ed autonomia, qualità che diventano
indispensabili nelle fasi dell’adolescenza e della gioventù.
In previsione di tali fasi assume grande importanza il rapporto con il proprio
corpo e la pratica di attività motorie, sportive o semplicemente di
svago, anche mediante il contatto con animali, che possono prevenire numerosi
problemi sia nel rapporto con le altre persone che rispetto alla personale
autostima.
Gli operatori esterni, sia nell’ambito sanitario, che scolastico, che
dell’autonomia personale, diventano, a questo riguardo, i referenti
fondamentali del bambino e delle famiglie, perché sono in grado di
mettere a disposizione conoscenze e prassi tiflologiche elaborate in anni
e anni di studi ed esperienze sul campo, in molti casi svolte all’interno
di istituti qualificati di cui, per inciso, si rischia di perdere, per mancanza
di continuità tra gli operatori, il patrimonio di conoscenze e di vissuti
in essi accumulato e custodito.
Il trasferimento di queste conoscenze sul territorio ed in particolare alle
famiglie, indispensabile per non cadere nell’improvvisazione e nella
casualità, può avvenire solo se viene mantenuta una seria e
qualificata attività di formazione di tecnici ed operatori, ma purtroppo
l’impressione che è emersa dalla testimonianza dei relatori e
che ha avuto riscontro nel vissuto dei genitori, è che ci sia stato
un impoverimento in questo settore professionale e che manchi un adeguato
ricambio alla generazione dei professionisti formatasi all’interno degli
istituti per i ciechi.
Questo tipo di problematiche si salda con quelle trattate nell’ultima
serie di incontri, guidati da rappresentanti delle istituzioni pubbliche e
delle associazioni di categoria: Aldo Costa, Giancarlo Marostica, Enzo Tioli,
Pasquale Marino, Enrica Pietra Lenzi, Walter Baldassari, Mario Barbuto, Egidio
Sosio.
Le iniziative, talvolta coraggiose e faticose, che sono state portate avanti
fin dagli anni ’70 per garantire la pari dignità delle persone
con deficit all’interno della scuola e della società hanno dato
frutti significativi e hanno portato ad una sensibilità generale attenta
alle problematiche dell’handicap che è stata recepita anche a
livello legislativo con atti importanti e di ampio respiro, basti per tutti
la legge 104/92.
Col passare degli anni, è emerso dai diversi interventi dei relatori,
che si è però andata affievolendo la spinta per l’attuazione
di tali leggi e che al momento si respira un clima di scarsa attenzione e
sensibilità per queste problematiche e si ha l’impressione che
la fase di applicazione amministrativa delle disposizioni normative sia carente
e trovi qualche ostacolo all’interno delle Istituzioni stesse.
Si sono rarefatti i progetti e le innovazioni in ambito scolastico, si sono
fatte più forti le esigenze di risparmio concepito in termini esclusivamente
economici, si sono impoverite di significato e valenza operativa alcune strutture
che dovevano occuparsi dell’handicap. Si è evidenziato un certo
scollamento tra le istituzioni, con difficoltà ad integrare le varie
competenze ed a mantenere un dialogo ed un efficace scambio di informazioni;
si producono indagini, ma senza riscontri e ricadute significative; alcuni
dei servizi offerti e teoricamente garantiti, di fatto sono solo parzialmente
fruibili (gli stessi libri in braille); tra le associazioni volontarie si
fanno distinguo che non concorrono certo all’interesse generale.
Nonostante questi rilievi, sono state riportate dai diversi intervenuti considerazioni
positive che rendono credibile la prosecuzione del cammino iniziato: il quadro
legislativo, seppur non ancora completo, è ricco e fonte di garanzia;
alcuni degli Enti preposti, tra cui l’Istituto Francesco Cavazza, stanno
riconvertendo ed aggiornando i servizi resi in funzione delle nuove esigenze;
altri Enti che dispongono di finanziamenti – come la Fondazione che
ha avviato il progetto CIFRA - mantengono un’attenzione per l’area
della disabilità; l’ASL di Bologna sta realizzando un polo per
l’integrazione delle risorse per l’handicap, con finalità
non di accentramento, ma di coordinazione e valorizzazione delle diverse realtà
territoriali; i genitori stessi stanno prendendo consapevolezza del ruolo
che possono e debbono necessariamente svolgere ed hanno ricevuto attenzione
da parte dell’U.I.C., sia a livello locale che nazionale.
Da questi accenni conclusivi derivano alcune linee di azione per il futuro
che possono essere considerate il frutto potenzialmente più ricco di
sviluppi scaturito dal confronto esperti-genitori nell’ambito del corso
di formazione Liberare il sogno:
- la promozione di attività formative per garantire la presenza di
figure professionali adeguatamente preparate alle necessità dei bambini
non-vedenti;
- la creazione di occasioni continuative per le diverse fasce di età
dei bambini, tramite cui svolgere attività fisica, sportiva, di avvicinamento
alla natura ed agli animali;
- la promozione di tutte le iniziative che possono sollecitare ed indurre
a migliorare lo scambio di informazioni, la collaborazione e l’integrazione
tra i diversi soggetti istituzionali ed associativi che operano per i disabili;
- l’attivazione di forme di mutuo sostegno e di autotutela delle famiglie,
anche attraverso il sostegno delle associazioni, rispetto ai casi in cui l’erogazione
dei servizi non avviene come dovrebbe.