LA RETINA ARTIFICIALE

Lo sviluppo delle biotecnologie apre ogni giorno nuovi campi di ricerca. È dagli inizi degli anni ’90 che gruppi di ricercatori, in tutto il mondo, sono impegnati nelle realizzazione di retine artificiali cioè elettroniche.

Una elevata percentuale (oltre il 50 % nel mondo civilizzato) di handicap visivo o cecità consegue a patologie che compromettono la funzionalità della retina.
A tutt’oggi non esistono sussidi medici o chirurgici in grado di ripristinare il tessuto retinico compromesso. Prospettiva ma ancora nulla di realistico proviene dalle cellule staminali.
È così comprensibile come, seppure sporadicamente praticamente, in tutto il mondo gruppi di ricercatori sono impegnati, fin dall’inizio degli anni ’90, nella realizzazione di retine artificiali cioé elettroniche; veri e propri pezzi di ricambio per retine usurate e compromesse.
L’enorme evoluzione delle nanotecnologie rappresenta una concreta incentivazione per tali ricerche.
Permangono allo stato attuale problematiche complesse che risulteranno meglio comprensibili illustrando quali sono le funzioni fisiologiche della retina e quali le strategie seguite per realizzare un supporto elettronico sostitutivo.
La retina è la membrana interna bulbare che ha la caratteristica di trasformare l’impulso fotonico, cioè la luce che giunge dal mondo esterno, in impulso bioelettrico.
Questo processo, indicato come trasduzione si realizza grazie a cellule specializzate dette fotorecettori dotate di pigmento (derivato dalla vitamina A) che, assorbendo i fotoni, attivano canali ionici della membrana cellulare innescandone l’eccitamento. Queste cellule sono estremamente sensibili quando si consideri che un singolo fotone è già in grado di indurre l’attivazione di membrana. L’eccitamento è quindi trasmesso ad un complesso sistema di neuroni (cellule nervose) intraretiniche (cellule bipolari e cellule orizzontali) dove subisce codificazioni che traducono il mondo esterno in punti luminosi a diverso contrasto, colore, orientamento e movimento. Le cellule nervose intermedie sono connesse ad un altro strato di cellule dette ganglionari ottiche che codificando il segnale in modulazione di frequenza attraverso il loro assone e lo inviano al corpo genicolato, prima stazione centrale, che lo smista alle cortecce visive.
Va precisato che ciascun punto della retina comunica con una corrispondente area corticale (V 1), formandosi quindi una sorta di calco retinico (retinotopico) a livello cerebrale e che la retina periferica è abilitata a trasmettere immagini in movimento mentre la retina centrale dà la percezione dei particolari (capacità discriminativa) e dei colori.
La retina artificiale è finalizzata a sostituire integralmente il ruolo dei fotorecettori e parzialmente del sistema cellulare interposto fra fotorecettori e cellule ganglionari ottiche.
In talune patologie ed in particolare nella retinite pigmentosa la lesione di base coinvolge fotorecettori ed epitelio pigmentato e solo tardivamente le cellule nervose più interne.
In tale situazione un dispositivo elettronico capace di captare la luce e di convertirla in stimolo elettrico permette un ripristino della funzione retinica cioè la percezione della luce. Sono questi i concetti che hanno ispirato all’inizio degli anni ’90 ricercatori dell’Università dell’Illinois a Chicago alla impostazione della prima retina artificiale assemblando microfotodiodi fra loro connessi da resistori ed inserendoli in una sorta di tasca realizzata chirurgicamente tra retina nervosa ed epitelio pigmentato. Per dare l’idea del grado di miniaturizzazione precisiamo che in un area di 2 millimetri sono inseriti 3500 diodi. Gli studi successivi condotti anche dalla scuola tedesca (Prof. Eberard Zrenner Tubinga) hanno portato a costruire microfotodiodi capaci di indurre polarizzazioni positive o negative con voltaggi di stimolo e distanze tra elettrodi collimanti con le caratteristiche bioelettriche e con la densità delle cellule retiniche interfacciate. Si è inoltre provveduto a dotare la protesi di superfici porose tali da permetterne un connessione ottimale con le cellule retiniche.
La bio-compatibilità al livello sperimentale risulta assai soddisfacente.
Realmente adottabile quindi al livello clinico la retina artificiale? A riguardo sussistono notevoli riserve concernenti innanzitutto le capacità di sopravvivenza del tessuto retinico nervoso quando venga a mancare il supporto della coriocapillare e del epitelio pigmentato. Un possibile effetto coadiuvante nel migliorare la vitalità neuronale è delineato dall’uso dei fattori di crescita in particolare le neurotrofine quali BDNF.
A livello sperimentale è stata documentata un’azione diretta sulla vitalità dei neuroni retinici di cui è in grado di inibire l’apoptosi e stabilizzarne le sinapsi genicolate. Riserve, inoltre, sul rendimento visivo cioè sull’entità del recupero fin qui verificato. Le percezioni realmente ottenibili sono limitate a sensazioni di luce-ombre. Prospettive decisamente meno allettanti derivano dalle protesi studiate dai ricercatori del Boston Harvard Medical School in collaborazione con il Massachussets Istitute of Tecnology e da un altro team di ricerca coordinato dal Prof. Rolf Eckmiller dell’Università di Bonn che hanno messo a punto protesi concettualmente diverse in quanto sfruttano un apparato esterno all’occhio che converte le immagini di una fotocamera in impulsi laser che vanno ad attivare un chip interno all’occhio situato sulla faccia interna della retina. Il chip a mezzo di appositi elettrodi trasferisce l’impulso alle cellule ganglionali.

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