Viaggiatori musicali a Bologna:
Charles Burney
Molte
sono le attrattive che attirano in Italia, verso la fine del Settecento, gli
intellettuali europei: natura e cultura sono oggetto di “curiosità”
e tra i paesaggi e la riscoperta di importanti vestigia del passato, tappa
obbligata per i viaggiatori è Bologna grande centro di elaborazione
e produzione musicale.
Maria Chiara Mazzi
Nell’Italia di
fine Settecento, tra i viaggiatori curiosi delle bellezze della natura e della
cultura, si aggiravano anche musicisti e musicofili, che volevano ascoltare
i complessi vocali e strumentali: tra questi l’inglese Charles Burney,
che arriva tra il 1770 e il 1771, lascia un diario puntualissimo dei luoghi
visitati.
Burney visita i grandi musicisti, entra nei teatri, ascolta musica nelle chiese,
nei salotti, nelle strade, e rimane a Bologna, grande centro di elaborazione
e produzione musicale, dal 21 al 30 agosto, motivando così la sua sosta:
il mio scopo principale era di incontrarmi col dotto Padre Martini e con
il celebre signor Farinelli, il primo considerato in tutta Europa come il
più profondo teorico, l’altro ritenuto il più grande interprete
del nostro tempo, o forse di tutti i tempi e di tutti i paesi.
Padre Martini lascia su Burney una grande impressione e così, pur non
tralasciando di ricordarne i meriti di studioso, si sofferma sull’uomo
che unisce la purezza di vita alla semplicità di modi, un’innata
gaiezza, dolcezza e un grande senso di umanità. Posso dire di non avere
mai provato una così grande simpatia per nessuno come per quest’uomo,
dopo una così breve conoscenza; dopo due ore di conversazione non sentivo
quasi più soggezione di fronte a lui, come se fosse un vecchio amico
o un fratello diletto. Una visione del frate che, apparentemente irraggiungibile,
si mostra, invece, come ogni persona veramente grande, alla mano e gentile
anche con gli sconosciuti.
Su Farinelli invece Burney si dilunga molto di più, ripercorrendone
la vita di artista ed esprimendogli direttamente la sua ammirazione: In
Inghilterra molti ricordano tuttora così bene le sue esecuzioni da
non voler più ascoltare nessun altro cantante: che in tutto il regno
non si era ancora spenta l’eco della sua fama e che ero certo che essa
sarebbe stata tramandata fino alla più lontana posterità.
Un terzo, inatteso, incontro attende però Burney: quello con i Mozart
(padre e figlio), che in quei giorni si trovavano a Bologna in casa Pallavicini,
l’uno musicista intelligente e vivace, l’altro ragazzo eccezionale
dalla straordinaria prontezza.
L’Inglese ascolta con curiosità i musicisti di strada: fui
accolto con un duetto assai ben eseguito da un violino e da un mandolino;
poi un complesso di girovaghi suonò assai bene parecchie sinfonie e
altri brani a quattro parti,
ma è molto critico verso la musica di chiesa: in San Michele in
Bosco (21 agosto) l’organo che stava suonando era scordato, pessimo
di voce e mal suonato; in San Bartolomeo (il 24): Cantarono parecchi
castrati, ma non mi piacquero né la musica né l’esecuzione
perché mancavano alla composizione i tre requisiti posti dal Buranello
(vaghezza, chiarezza e buona modulazione) e l’esecuzione era sciatta
e scorretta; in Sant’Agostino (il 28): l’orchestra era
numerosa ma la musica si rivelava poco di gusto e originalità e scarsa
dottrina. Il canto poi men che mediocre, contribuiva a rendere la musica anche
più noiosa.
È invece soddisfatto il 30, in San Giovanni in Monte, per la festa
dell’Accademia Filarmonica, dove erano presenti tutti i critici di Bologna
e delle città vicine, e la chiesa era straordinariamente affollata.
E, infine, chiude questa tappa a Bologna con un omaggio alla città
che lo ha ospitato, dove la varietà dello stile e il valore delle musiche
erano tali da fare onore alla società stessa di Bologna, che in ogni
tempo è stata feconda di ingegni e ha prodotto un gran numero di uomini
di talento in tutte le arti.