turpi
Le parolacce a tavola
Contributo di Donato Taddei in privato, 30\06\2015, h. 20.15.
----- Original Message -----
From: Donato Taddei
To: alicecasa@yahoogroups.com
Sent: Tuesday, June 30, 2015 12:59 PM
Subject: fuori tema, le parolacce a tavola
tratto da www.parolacce.org/
STORIE, CURIOSITÀ, NOTIZIE, RICERCHE, ANALISI (PRATICAMENTE DI TUTTO) SUL TURPILOQUIO. BLOG DI VITO
TARTAMELLA
Nnell'anno di nutrire il pianeta mi sembra capiti a proposito, in ogni caso mi ha divertito.
in realtà gli articoli sono due, uno per le portate, l'altro per i vini.
Eventualmente buon ridere.
***
Cazzetti (cazzarielli), grattaculi e tette di vergine: le parolacce a tavola
Posted on 10 maggio 2015 by vito tartamella
Si può parlare di cibo e parolacce? Con la febbre dell?Expo, la domanda sorge spontanea. In
effetti, un legame fra alimenti e volgarità c?è: per descrivere una donna attraente, la definiamo
una ?bella gnocca?, e in portoghese comer (mangiare) significa anche scopare. Del resto, fu Freud a
scoprire che la nostra prima fonte di piacere (fin da neonati) è la bocca, attraverso il succhiare.
In più, circa il 10% dei nomi del sesso deriva da metafore di cibi e vegetali (fica, finocchio,
banana, fava, patata, pisello, etc), come raccontavo qui: l?aspetto degli alimenti, infatti, evoca
quello dei genitali.
Ma è possibile anche il processo contrario? Ovvero: esistono cibi chiamati con nomi scurrili? Mi
sono messo alla ricerca di vere ?ricette immorali?, per confezionare un menu tutto all?insegna
delle parolacce.
L?ingresso del ristorante ?La parolaccia? a Roma.
Sul Web circolano diversi menu goliardici (soprattutto per i matrimoni) che elencano piatti
come ?sveltine alla barbona?, ?ripassata di tettine alla pomiciona?, ?smaneggiata di chiappe alla
veneziana?: ma sono pietanze del tutto inventate, giusto per strappare una risata.
Nemmeno al celebre ristorante ?Da Cencio La parolaccia? di Roma ci sono piatti volgari: questo
locale è chiamato così dal 1951, perché durante i pasti i camerieri intonano canzoni popolari
sboccate, intrattenendo i clienti. Ma il menu è a base di comuni piatti della tradizione romana,
dall?amatriciana all?abbacchio.
Solo in un film del 1981, ?Fracchia la belva umana?, il regista Neri Parenti reinventò
fantasiosamente questo locale ? ribattezzandolo trattoria ?Da Sergio e Bruno ? Gli incivili? ? nel
quale si offriva, oltre a una serie di insulti ai clienti, anche un menu sboccato, a base
di ?saltinculo alla mignotta, piselloni alla mandrillo e fagioli alla scureggiona? (vedi spezzone
qui sotto). Anche questi, però, sono piatti inesistenti.
La ricerca si è rivelata più difficile del previsto. Ma alla fine, insistendo, sono riuscito
ad assemblare un intero menu volgare fatto di cibi realmente esistenti, nati dalle tradizioni
culinarie (ops!) locali, soprattutto del Lazio. Di queste sboccatissime pietanze, però, dubito
che ne troverete traccia all?Expo. I piatti che leggerete evocano soprattutto parti del corpo (zone
erogene): mangiarli significa fare una specie di rito afrodisiaco cannibale. Un modo per pregustare
(o sostituire simbolicamente) un banchetto erotico.
Nel prossimo post, troverete anche un?adeguata carta dei vini da abbinare? Buon appetito!
ANTIPASTI
Cazzimperio con sedano, rape e peperoni
Cazzimperio: è una salsa a crudo fatta con olio d?oliva, sale e pepe, in cui si possono intingere
ortaggi crudi (sedano, carote, carciofi). Insomma, il celebre pinzimonio: ma che c?entra l?organo
sessuale maschile? In realtà nulla: è solo un?assonanza, dato che il termine deriva da cazza
(mestolo), che peraltro è una delle possibili etimologie del termine cazzo. Lo stesso ragionamento
vale per un piatto di verze e maiale della tradizione lombarda, la cazzuola (cassoeula): anche in
questo caso il termine evoca il mestolo.
PRIMI PIATTI
Spaghetti alla puttanesca.
Spaghetti alla puttanesca: è un piatto napoletano, detto anche ?aulive e cchjapparielle? (olive e
capperi). Gli spaghetti sono preparati con un sugo a base di pomodoro, olio d?oliva, aglio, olive
nere di Gaeta, capperi e origano. Esiste anche una variante laziale con l?aggiunta di acciughe
sotto sale. Sull?origine del nome, tante congetture e nessuna certezza: vista l?estrema semplicità
e povertà del piatto, forse era davvero diffuso nei bordelli.
Bigoli
Bigoli: da baco, vermicello. I bigoli sono una pasta fresca lunga e sottile, a base di farina
integrale. Il termine, nel Nord Italia, designa anche il membro virile (ed è usato come sinonimo di
?persona sciocca?). Simili ai bigoli sono anche i ?pici? toscani, ma non derivano da ?picio?
(piccolo, membro virile), bensì dal fatto che la farina è appiccicosa essendo composta da farina,
uova e acqua.
Cazzetti o cazzarielli d?angelo: è una pasta di forma fallica. Il loro nome ricalca (in termini
osceni) i capelli d?angelo, spaghetti finissimi. Forse in origine i cazzetti avevano una forma
vagamente fallica, fino a quando qualcuno ha pensato di renderli più espliciti, riproducendo in
modo più preciso l?organo maschile (completo di zebedei). Difficile ricostruire la provenienza:
molti siti li descrivono come originari di Roma. Forse si sono diffusi come souvenir per turisti
stranieri goliardici.
Fichette tricolori.
Fichette tricolori: sono nate sicuramente dopo i cazzetti, come operazione di marketing
complementare (potremmo dire per ?par condicio?). La pasta riproduce, nei limiti possibili
dell?impasto, l?anatomia della vulva.
SECONDI PIATTI
palle_del_nonno
Palle del nonno: è un salame di maiale, originario della zona di Norcia. Deve il suo goliardico
nome alla forma dell?insaccato: ricorda i testicoli cadenti degli anziani.
Coglioni di mulo.
Coglioni di mulo: questo insaccato (un salame di maiale con un cilindro compatto di lardo) è
originario della zona di Campotosto (Abruzzo), e il nome ha un?origine simile alla precedente: la
forma ricorda i grossi testicoli di un mulo. E? noto anche come ?mortadella di Campotosto? e ha
oltre 500 anni di storia.
Culatello di zibello e burrata.
Culatello di Zibello: è un salume Doc della zona di Parma. E? fatto con la parte migliore del lombo
di maiale. Il suo nome è un diminutivo di ?culo?, anche se in realtà questo salume è ricavato
dai muscoli posteriori ed interni della coscia del suino, rifilati fino ad ottenere la classica
forma a ?pera?.
CONTORNI
grattaculi
Grattaculi: sono i tanni, spighette che nascono sopra le piante delle zucchine. Di queste piante
vengono presi i tanni più teneri, formati da foglie, rametti cavi e steli cui sono ancora attaccati
fiori in boccio e zucchine di varie dimensioni. Hanno ha un sapore deciso e amaro, esaltato dalla
cottura con olio ed aglio. Sono diffusi nel Lazio e ribattezzati con l?appellativo di grattaculi
per evocare il fastidio che possono dare al deretano di chi si china a raccoglierli.
Donato: Sbagliato, di chi si accovaccia a concimarli.
Tette di vergine (minni di virgini): sono un dolce tradizionale di Sambuca di Sicilia (Agrigento),
fatto di pasta frolla e con un ripieno di crema di latte,zuccata, scaglie di cioccolato e cannella.
Le minni ? strano a dirsi ? sono nate nei conventi delle suore di clausura: non hanno intenti
erotici, perché con tutta probabilità ricordano il martirio di Sant?Agata, siciliana uccisa nel
251. Non volendo rinnegare la fede cristiana, Agata fu imprigionata e le fu strappato il seno con
le tenaglie, tanto che spesso è raffigurata coi i seni recisi deposti su un piatto.
FRUTTA
Una pesca ?poppa di Venere?.
Poppa di Venere: è una varietà antica di pesca, d?origine italiana. Il frutto è grosso e
tondeggiante e appuntito sul fondo: proprio per questo ricorda un capezzolo. Il frutto ha polpa
bianca con venature rosse al nocciolo è molto succos e profumatissima. Matura nella prima
quindicina di settembre e si conserva solo per breve tempo.
E ora è il turno delle bevande: il pranzo sboccato continua qui. Cin cin!
Nero di troia e bernarda: la lista dei vini osè
Posted on 10 maggio 2015 by vito tartamella
Come accompagnare un menu fatto di portate volgari (l?ho raccontato qui), se non con una cantina
adeguata?
Il mondo dei vini (e degli alcolici in generale) riserva notevoli sorprese agli appassionati di
parolacce e di goliardia: l?alcol libera i freni inibitori, e un nome osceno apre le porte
dell?erotismo ed è beneaugurante. D?altronde, da un vino ci si aspetta che sia inebriante, e quindi
lo aiuta avere un nome evocativo. E infine, dato che il vino rende più sinceri (in vino veritas),
si abbina bene alle parolacce, che sono un linguaggio spontaneo e diretto.
Ma anche il marketing ci mette lo zampino: con 44 milioni di ettolitri di vino prodotti nel 2014,
l?Italia è il secondo produttore al mondo, ed è sempre più diffusa l?esigenza di avere un?etichetta
che attiri l?attenzione e sia facilmente memorizzabile.
Ecco perché i nomi ?piccanti? dati alle bevande non sono frutto del caso o di incidenti, com?è
stato invece per la birra Struntz Stronzo: la bevanda, prodotta in Danimarca in diverse varietà, a
quanto pare è nata perché i proprietari avevano sentito la parola italiana, ne amavano il suono ma
non ne sapevano il significato.
Ma torniamo in Italia e addentriamoci nella cantina più osé del mondo, dove il primato
incontrastato va ai toscani. Sia perché sono fra i maggiori produttori di vino, e sia per lo
spirito sanguigno che li contraddistingue. Prosit!
VINI ROSSI
e-divino
Soffocone di Vincigliata (Toscana, vol. 14%; uve: 90% Sangiovese, 7% Canaiolo, 3% Colorino; alcol:
14%). Soffocone è un termine dialettale: significa fellatio, rapporto orale (da una donna a un
uomo). Prodotto dall?azienda di Bibi Graetz, artista norvegese, perché la sua tenuta vinicola,
vicino a Fiesole, è una località dove spesso si appartano le coppiette. Concetto ribadito anche
nell?etichetta, che mostra una donna inginocchiata. La scelta ha causato qualche problema negli
Stati Uniti, dove le autorità hanno imposto al produttore di cambiare l?etichetta.
bernarda
Bernarda (Piemonte; vol. 13%; uve: bonarda e barbera): il nome del vino, prodotto da Christian
Trinchero, è nato fondendo i nomi dei due vitigni (barbera e bonarda) in un nome dal voluto doppio
senso: la grafica dell?etichetta, del resto, non lascia dubbi in proposito.
Rosso Bastardo (Umbria, vol. 13,5%; uve: Sangiovese, Merlot, Cabernet, Umbro surmaturo). Prodotto
dalla cantina Cesarini Sartori, deve il suo nome non al fatto di essere un vino spurio, ma dalle
località in cui si colitvano i suoi vitigni. Infatti c?è da un paese umbro che si
chiama Bastardo: è una frazione di Giano dell?Umbria che ha preso il nome da un?antica stazione di
posta lungo l?antica Via Flaminia, l'?Osteria del bastardo?.
Bricco dell?uccellone (Piemonte, vol. 15,5%; uve: Barbera): prodotto dall?azienda Braida, che
spiega così l?origine del nome: ?Si chiama così perché una volta, nella casa accanto, abitava una
vecchia signora sempre vestita di nero, che era stata soprannominata l?uselun (l?uccellone)?. Sarà,
ma il doppio senso è evidente, tanto che diversi sommelier lo definiscono scherzosamente ?il vino
più desiderato dalle donne?. Del resto, l?azienda Braida ha una vena ironica, visto che ha
battezzato un?altra varietà di barbera ?La monella? (?per il suo carattere frizzante ed
esuberante?).
Scopaio: (Toscana; vol. 13,5%; uve: Cabernet Sauvignon, Syrah). Il nome evoca lo scopare, ma in
realtà nasce anch?esso come riferimento geografico: la località Lo Scopaio a Castagneto Carducci
(Livorno). Il vino è prodotto da varie aziende, fra cui Roggio Molina e da La Cipriana,
Merlo della TopaNera (Toscana, vol. 14%; uve: Merlot): il vino è prodotto a Montecarlo (non il
principato di Monaco, ma una frazione in provincia di Lucca) dall?azienda di Gino Fuso Carmigiani.
Stavolta la geografia non c?entra: il nome è un voluto omaggio goliardico al sesso femminile.
Nero di Troia: è un vitigno autoctono della Puglia, e dà il nome a vini prodotti da diverse
etichette. Il suo nome può essere collegato con la città pugliese di Troia, oppure con la leggenda
dello sbarco sulle rive del fiume Ofanto dell?eroe greco Diomede, reduce dalla guerra di Troia, che
portò con sè alcuni vitigni della propria terra. In effetti, gli studi sui vitigni hanno confermato
la provenienza dall?Adriatico orientale. Dunque, si tratta solo di un?assonanza con la parola troia
(con la t minuscola). La sua uva ha una buccia spessa particolarmente ricca di polifenoli e dal
moderato potenziale zuccherino; dà origine a vini con profumi floreali (sentori di viola
impreziositi da sfumature speziate).
Donato: confermo che la prima volta che ho varcato il confine italico a Chiasso ero in compagnia di
un foggiano che, avendo paura della multa alla dogana decise di scolarsi preventivamente una
bottiglia di detto nettare e me ne offrì qualche bicchiere.
Ero alticcio quando sono arrivati i doganieri svizzeri, tutto più semplice e divertente.
Passerina: è un vitigno diffuso nelle Marche, in Abruzzo, in Emilia Romagna e nel Lazio. Il suo
nome deriva dalle piccole dimensioni degli acini e dal fatto che i passeri hanno una particolare
predilezione per le sue uve, caratterizzate da una polpa gustosa. Ma la passera evoca ben altro, e
diversi produttori hanno giocato sul doppio senso, come ha fatto la cantina Lepore nella pubblicità
della Passera delle vigne (contestata per il suo sessismo).
Ficaia (Toscana, vol. 12,5%; uve: Pinot Bianco e Viogner): chi poteva produrre questo vino, se non
la fattoria Uccelliera? La ficaia, in toscano, è l?albero del fico, o un campo coltivato a fichi.
Ma il doppio senso appare evidente (e difficilmente frutto del caso?).
Cojòn de gato e teta de vaca: sì, il significato è proprio quello che avete capito. I vini sono
prodotti da un?azienda vinicola spagnola, il cui nome è tutto un programma: ?Vinos divertidos?. In
realtà, la goliardia c?entra fino a un certo punto, perché i nomi sono quelli di due vitigni
spagnoli autoctoni, che sono chiamati proprio ?coglione di gatto? e ?tetta di vacca?.
De puta madre: l?espressione significa letteralmente ?Di madre puttana?. In spagnolo è usata come
rafforzativo, equivalente al nostro ?Della Madonna?: questo vino, prodotto da François Lurton, è
stato così chiamato per il suo gusto forte e dolce: ricavato da uve verdejo della regione di
Castilla e Leòn, ha una gradazione di 15,5%.
Le vin de merde: ci vuole coraggio, per un viticoltore francese, a chiamare così i propri
vini. Jean-Marc Speziale l?ha avuto, e i fatti gli hanno dato ragione: dal 2007, quando ha fondato
la sua azienda, ha avuto un notevole successo, anche per merito del nome. Che è nato per
provocazione: Speziale voleva attirare l?attenzione sui vini del Languedoc, che non godevano di
buona fama pur essendo buoni. Così decise di chiamarli come li definivano gli altri: ?vini di
merda?. Sull?etichetta, per rimarcare il concetto, è raffigurata una mosca e il motto ?Le pire
cache le meilleur? (Il peggiore nasconde il migliore). Nato come vino rosso, oggi il ?vin de merde?
è anche bianco e rosè.
Torna all'indice