spada
La spada di Damocle digitale che pende sulla nostra storia.
Art. inviato in privato da F. Melis, 24\02\2015, h. 15.18.
Da Repubblica
www.repubblica.it/tecnologia/2015/02/23/ne
ws/obsolenscenza_digitale_i_bit_muoiono_in_fretta_cosa_rimarr_di_noi_in_futuro_-107998282/?ref=HRLV-9
Obsolescenza digitale, la veloce morte dei bit: cosa resterà di noi?
L'ultimo allarme è stato lanciato da Vint Cerf, vicepresidente di Google: software e supporti
digitali non hanno vita eterna e così i nostri documenti. Tra qualche secolo sarà impossibile
recuperarli e, per risolvere il problema, non ci resta che "travasare" da un supporto all'altro
tutti i nostri file. Proprio come i vecchi amanuensi
di PINO BRUNO
Obsolescenza digitale, la veloce morte dei bit: cosa resterà di noi?QUALCHE GIORNO fa ho trovato in
un cassetto un vecchio Cd-Rom di Encarta, l'enciclopedia multimediale di Microsoft. Ho provato a
farlo girare sul pc ma non ci sono riuscito. "Vecchio" di vent'anni, mica 100, quando il web ancora
balbettava e Wikipedia era di là da venire. Certo, smanettando qui e lì e usando emulatori di
Windows desueti potrei anche farcela, ma non è questo il punto. Il punto è l'obsolescenza digitale,
ovvero bit rot, data degradation, data decay, data rot, software rot. Sono tutte definizioni
colloquiali di un fenomeno che può essere fisico, tecnologico e temporale e porta alle stesse
conseguenze: i supporti e i software per i dati invecchiano precocemente.
L'ultimo allarme lo ha lanciato qualche giorno fa il vicepresidente di Google, Vint Cerf, che
all'incontro annuale dell'American Association for the Advancement of Science ha parlato del
rischio di "generazione dimenticata". Cioè l'era digitale potrebbe non lasciare tracce ai posteri,
perché tra qualche secolo documenti e immagini del nostro tempo potrebbero essere illeggibili. A
causa del deterioramento del software e dei supporti. Poco importa che si tratti di floppy disk (a
proposito, chi se li ricorda?), cd, dvd, chiavette usb, schede sd, hard disk, unità a stato solido
o cloud.
E così potremo continuare a sfogliare gli incunaboli in biblioteca, ma tra qualche decennio forse
non saremo in grado di leggere gli eBook comprati oggi, giocare con vecchi videogame, vedere le
foto e i video di famiglia se non si troverà una soluzione a questo paradosso tecnologico. Vint
Cerf non si è limitato a sollevare il problema, che è ben noto a tutti gli addetti ai lavori.
Scienziati, informatici, istituzioni culturali, musei e biblioteche lavorano per evitare che il
buco nero dell'obsolescenza ingoi la memoria del sapere contemporaneo.
Qualche tempo fa la direttrice della British Library, Lynne Brindley ha ricordato l'esperienza del
progetto Domesday avviato nel 1986 dalla Bbc per catalogare la storia del Regno Unito. Furono usati
videodischi da 12 pollici, che già quattro anni dopo erano superati, tanto da costringere i tecnici
a salvarli su nuovi supporti usando l'unico player sopravvissuto. Che dire poi dei carteggi e della
corrispondenza, oggi affidati alle mail e ai social network? Come faranno gli storici a consultarli?
Non è problema che riguardi soltanto la Cultura con la C maiuscola. Anche noi singoli utenti ormai
conserviamo tutto in formato digitale. Archiviamo tutto sui supporti digitali, certi di metterli al
sicuro dallo scorrere del tempo. Sarà davvero così?
Un paio di anni fa a Firenze, durante la conferenza "Trusted Digital Repositories and Trusted
Professionals" organizzata dalla Fondazione Rinascimento Digitale, il prof. Paolo Galluzzi ha
ricordato che "un floppy disk da 5 pollici usato nei primi pc aveva una vita garantita non
superiore ai due anni e i cd-rom e i dvd riscrivibili non vivono oltre cinque anni, in quanto hanno
una parte di componenti che si deteriorano nel tempo. I cd-rom e i dvd con musica e film acquistati
nei negozi resistono invece almeno vent'anni perché le incisioni sono meno profonde".
Insomma, supporti ottici, magnetici, dischi fissi e unità a stato solido si degradano a causa di
ossidazione, sbalzi di temperatura, influenze magnetiche, cariche elettrostatiche e tanti altri
fattori. Quanto al cloud, chi ci garantisce la sopravvivenza delle aziende che ci custodiscono i
dati nelle nuvole? Insomma, dobbiamo correre senza sosta per travasare i dati da un supporto
all'altro, con software sempre aggiornati, come facevano molti secoli fa gli amanuensi.
Dobbiamo davvero riprendere a stampare tutto per non arrenderci all'ineluttabilità del "secolo
dimenticato", come sembra suggerirci il vicepresidente di Google? C'è una spada di Damocle digitale
che pende sulla nostra storia
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