donne
Islam e femminismo; linkiesta.it: Cosa dice il Manifesto delle donne dell?ISIS
Art. inviato in privato da Donato Taddei, 09\02\2015, h. 22.08.
in questi tempi oscurantisti di guerre di religione e scontro di civiltà, basate in primo luogo
sulla propaganda massmediatica, questo documento di un gruppo di donne militanti dello stato
islamico Isil, ripreso dal quotidiano telematico l'inkiesta.it da un think tank britannico, delinea
bene il rapporto tra islam ed emancipazione femminile dal punto di vista della propaganda isamista.
Donato Taddei
Cosa dice il Manifesto delle donne dell?ISIS
Spiega il ruolo della donna, ne prescrive i comportamenti e racconta le condizioni di vita in Siria
Andrea Coccia
Il manifesto delle donne dell'ISIS
Nei giorni scorsi la Quilliam Foundation, un think tank britannico di base a Londra che agisce
contro gli estremismi in tutto il mondo, ha curato e diffuso la traduzione dall'arabo di un
documento che si intitola Women in the Islamic State e che parla diffusamente delle condizioni di
vita delle donne nei territori governati dallo Stato Islamico. Il manifesto, redatto da un gruppo
di donne combattenti dell'ISIS che si chiama brigata Al-Khanssaa, pur essendo chiaramente un
documento di propaganda, offre un punto di vista molto interessante sulla vita delle donne nello
Stato Islamico, ma anche sulla percezione critica dell'Occidente da parte dell'ISIS.
Il documento, di circa 40 pagine, è diviso in tre parti, che la stessa Quilliam Foundation
nell'introduzione definisce in questo modo:
La prima porzione è una lunga confutazione della cultura occidentale, facendo i conti in
particolare con i temi del femminismo, dell'educazione e della scienza. La seconda parte è basata
sulla testimonianza diretta dell'autrice (o delle autrici) della vita quotidiana nei territori ora
controllati dallo Stato Islamico, prima nel territorio della città di Mosul e, in seconda battuta,
di quello di Raqqa, in Siria. La terza sezione è una discussione che mira a comparare la vita delle
donne che vivono nei territori dell'ISIS in Siria e in Iraq con quello delle donne che vivono nella
penisola arabica, in particolare in Arabia Saudita.
Il documento non è diretto alle donne musulmane in Occidente, bensì a quelle che vivono nel mondo
arabo, soprattutto in Arabia Saudita e nel Golfo. Quilliam Foundation spiega infatti che
l'obiettivo del manifesto è chiaro: recrutare,attraverso un documento scritto espressamente in
arabo, sostenitrici tra le donne arabe. Tra l'altro, secondo Quilliam Foundation il documento «non
sarebbe stato tradotto in inglese proprio perché sarebbe risultato poco efficace ? forse
addirittura contointuitivo ? nel perseguire fini propagandistici in un pubblico occidentale».
Il principio da cui parte il manifesto è che le donne musulmane debbano emulare la vita e i
comportamenti delle figure femminili più importanti dell'Islam, ovvero Maria (la madre di Cristo,
che secondo l'Islam è l'ultimo profeta prima di Maometto), Asiya (madre di Mosé), Khadija (prima
moglie di Maometto) e a Fa?ima (figlia di Maometto), imitandone la purezza e la dedizione all'uomo.
«Non c'è responsabilità più grande per la donna», si legge nel documento, «che quella di essere
moglie».
Sorprendentemente a quanto ci si potrebbe aspettare, il documento indica gli uomini come principale
causa del fatto che le donne islamiche vengano troppo spesso meno al proprio ruolo:
Il problema oggi è che le donne non stanno più svolgendo il proprio ruolo [...] per una ragione
principale: alle donne non viene presentata una vera immagine dell'uomo, visto il numero sempre
maggior di uomini senza palle che non si prendono le proprie responsabilità.
Proseguendo l'analisi del documento si trovano anche altri punti che possono sorprendere. Sempre
nella prima parte del documento, per esempio, non solo si sostiene che «l'Islam dà all'uomo il
compito di dirigere, mentre alle donne concede l'onore dell'eseguire», ma si arriva ad affermare
che le cose non vanno molto diversamente qui da noi: «Così è come l'Umanità ha sempre funzionato, e
così è come funziona ancora oggi anche negli stati "liberali" e nelle società "libere"».
Il documento ? siamo ancora nella prima parte, quella relativa alla confutazione del modo di vivere
occidentale ? prosegue affermando un'altra cosa che forse qualcuno non si aspetterebbe: «La donna
non può compiere il proprio ruolo se è analfabeta e ignorante. Per questo l'Islam non ordina in
nessun modo che sia vietato alle donne studiare e farsi una cultura».
Decisamente interessante e curioso è come vengano interpretati da questo documento i sussidi in
favore delle donne in Occidente, aiuti che vengono intesi come prova evidente del fatto che i
governi occidentali si contraddicano, sostenendo e promuovendo l'emancipazione delle donne, ma,
nello stesso tempo, sostenendo economicamente chi di loro voglia tornare «a stare a casa e a badare
ai propri figli».
Il manifesto della brigata Al-Khanssaa individua quattro pensieri "diabolici" che avrebbero
conquistato le menti femminili minando e distorcendo il loro ruolo nella società: la critica alla
sedentarietà che le porta a non occuparsi della casa, il lavoro non domestico, la conoscenza del
mondo piuttosto che quella della Sharia e, da ultimo, la moda e l'esasperazione estetica,
«presentata dal Diavolo», dice il documento, «nei negozi di moda e nei saloni di bellezza».
Sul lato educativo la posizione del documento non sorprende molto: pur affermando che la donna non
deve essere analfabeta e ignorante, ribasce l'inutilità di una scolarizzazione prolungata, che
viene vista piuttosto come una perdita di tempo, come un rinvio di un possibile matrimonio e come
pericolo. «Infatti», si legge nel documento, «non c'è alcun bisogno che loro [le donne] corrano di
qua e di là per laurearsi o altro, soltanto per poter cercare di provare che la propria
intelligenza è maggiore di quella dell'uomo».
Ma le donne possono lavorare secondo l'ISIS? In generale il consiglio è quello di restare a casa,
per accudire e crescere i figli insegnando loro le norme della religione, eppure qualche eccezione
viene concessa. In particolare sono tre i casi in qui alla donna è permesso servire la comunità e
non la propria famiglia: il primo è lo Jihad, ovvero la guerra contro gli infedeli, ma solo nel
caso in cui il proprio paese è in pericolo e non ci siano abbastanza uomini per compattere e per
proteggere il territorio. Il secondo, e più comune, è per studiare la "scienza della religione",
come è chiamata dal documento, ovvero la Sharia. Il terzo motivo è l'unico che c'entra
effettivamente con il lavoro: ovvero il caso in cui la donna faccia il medico o faccia l'insegnante.
Sul concetto di "scienza" il documento è molto chiaro nel suo oscurantismo: «La maggior parte delle
scienze sono inutili per i musulmani, sono una perdita di tempo, nonché una perdita di umanità.
[...] Sì, abbiamo detto "stare nelle vostre case" ma non significa che vogliamo sostenere
l'ignoranza, l'arretratezza o l'analfabetismo. Vogliamo solo sostenere la distinzione tra il lavoro
? quello che porta le donne a lasciare la casa ? e lo studio, come attività che è stata loro
ordinata».
Una parte che è stata citata molto spesso di questo manifesto è il capitolo intitolato "Suggestion
for a curriculum for Muslim women", di cui è citato in particolare il pasos relativo al piano
ideale per l'ISIS per quanto riguarda l'educazione delle donne e che va dall'età di sette all'età
di quindici anni:
Dai sette ai nove anni devono seguire tre tipi di corsi: fiqh [la giurisprudenza islamica, ndr] e
religione, lingua araba coranica (scritta e letta) e scienza (contabilità e scienze naturali).
Dai dieci ai dodici anni proseguiranno con gli studi religiosi, specialmente con il fiqh, in
particolare quello dedicato alle donne, al matrimonio e al divorzio e il loro funzionamento. In più
impareranno a cucire, a fare a maglia e a cucinare.
Dai tredici ai quattordici deono focalizzarsi sulla Sharia, così come sulle doti manuali
(specialmente quelle necessarie per crescere i figli) e occuparsi meno di scienze, le cui basi
dovrebbero già aver studiato. In più studieranno la storia dell'Islam, la vita del Profeta e dei
suoi seguaci.
Molti commentatori hanno concentrato le propri critiche sulla posizione del documento relativa al
matrimonio, che sarebbe "prescritto" all'età di nove anni. In realtà, a quanto si legge dal
documento tradotto dalla Quilliam Foundation, la frase, pur menzionando l'età minima posta a nove
anni, suona in maniera leggermente diversa, perché dice che «è considerato legittimo che una
ragazza sia data in sposa all'età di nove anni», ma aggiunge anche che «la maggior parte delle
ragazze pure si sposano tra i sedici e i diciasette anni, quando sono anxcora giovani e attive».
C'è un ultimo punto che è interessante leggere, è quello dedicato al lavoro femminile, o almeno,
ai pochi casi in cui secondo l'ISIS (ricordiamo, non secondo l'Islam) alle donne viene concesso di
farlo lontane da casa. Questi sono i punti che le autrici di questa manifesto identificano come
fondamentali:
1. Il lavoro deve essere appropriato alla donna e alle sue capacità e non deve durare più di quanto
lei sia in grado di sopportare e non deve essere oltre le sue capacità.
2. Non deve impegnarla per più di tre gironi a settimana, e non deve durare troppo a lungo durante
il giorno, così da non obbligarla a lasciare per molto tempo la casa.
3. Deve tenere conto delle sue necessità domestiche: della malattia dei figli, dei viaggi del
marito. Deve insomma avere delle vacanze.
4. Le debbono essere garantiti due anni di maternità, almeno, per accudire i propri figli. [...]
5. Deve esserci un posto adatto sul luogo di lavoro [un nido, ndr] dove poter lasciare i propri
figli fino a che non arrivino all'età scolare.
La parte in cui è più forte la funzione di propaganda è la seconda, quella in cui racconta la
situazione in Siria e in Iraq, in particolare nelle città di Ninive, Raqqa e Mosul:
Sappiamo bene che a Ninive, così come a Mosul e in tutte le altre province sunnite dell'Iraq c'era
molta povertà, e questo era dovuto all'appropriazione indebita delle risorse da parte delle
autorità sciite che hanno governato queste regioni nel passato [...]. Ora, lo Stato Islamico sta
facendo ogni sforzo per combattere la povertà e realizzare la giustizia sociale, come direbbe un
economista.
Secondo il documento, nelle zone sottoposte all'autorità dello Stato Islamico, la situazione di
estrema povertà sarebbe migliorata grazie alla zakat, la carità ? che è uno dei cinque pilastri
dell'Islam ? e che viene distribuita sotto il controllo delle autorità soprattutto alle donne in
difficoltà, dice il documento. Alle donne in difficoltà, poi, sempre secondo il documento di
propaganda, sarebbe stata concessa la sanità gratuita in tutto il territorio governato dall'ISIS.
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