giulio
Il papà vicino di banco del suo ragazzo autistico
Corriere della Sera - 3 giugno 2014, martedì

PAOLO DI STEFANO.
La frase più frequente del figlio Giulio, 15 anni: "Sono felice". Il padre, Vincenzo D'Aucelli, 56 
anni, informatore scientifico per 31, dopo una laurea
in Farmacia, si è laureato di nuovo e ha abbandonato il lavoro per poter assistere il figlio 
autistico anche durante le ore scolastiche. Ci vuole una bella
volontà per ritornare sui banchi di scuola a 56 anni. Ma il caso di Vincenzo D'Aucelli è unico. 
Perché ha deciso di tornare a scuola per aiutare suo figlio
Giulio, che di anni ne ha 15, vive a Bitonto (Bari) con i suoi genitori e soffre di autismo "ad 
alto funzionamento". Il signor Vincenzo, informatore scientifico
per 31 anni dopo una laurea in Farmacia, in settembre, dopo aver conseguito una seconda laurea (in 
Scienze della formazione), ha abbandonato il lavoro
per poter assistere il figlio anche durante le ore scolastiche. E' stata Enrica D'Acciò, della 
Gazzetta del Mezzogiorno , a raccogliere la sua testimonianza,
perché Vincenzo vuole comunicare la sua esperienza e quella di Giulio, vuole far sapere che a un 
bambino autistico non basta quel che oggi mette a disposizione
la scuola, serve un'assistenza continua, a tempo pieno.
"Intorno ai due anni, Giulio ha cominciato a parlare, anzi a lallare, poi ha smesso: notavamo dei 
comportamenti strani, si isolava nel gioco, era troppo
tranquillo e aveva problemi di sonno. Tanti piccoli segni...". Il disturbo autistico viene 
diagnosticato subito, quel che i medici non capiscono è che
non c'è nessun ritardo mentale: "Imparava le cose, anche se rimaneva la difficoltà nella parola e 
nell'inserimento sociale...". Giulio fa le elementari
con gli insegnanti di sostegno e gli psicologi: "Molto bravi, ma sulla didattica lasciavano a 
desiderare, stavano in classe poche ore al giorno e ogni
anno cambiavano, non potevano capire che i bambini autistici sono diversi l'uno dall'altro: spesso 
Giulio saltava le lezioni e quando faceva dei capricci
o entrava in ansia, la scuola ci chiedeva di andare a prenderlo e noi dovevamo correre".
Se Giulio impara a scrivere lo deve a papà Vincenzo, che all'inizio lavora con lui intuitivamente: 
"Per farlo scrivere gli tenevo le braccia sulle spalle,
perché aveva la tendenza a sfuggire e ad alzarsi, ma tenendolo abbracciato mi accorgevo che si 
sentiva protetto. Poi a poco a poco gli bastava sentire
la mano e infine solo un dito: era la tecnica del contenimento, che non sapevo neanche che 
esistesse". Adesso Giulio ha un cespuglio scuro di capelli sulla
testa, ha un viso rotondo e simpatico, è alto molto più di suo padre e pesa 80 chili, ha terminato 
il primo anno all'Istituto tecnico commerciale "Vitale
Giordano". Potrebbe sembrare un miracolo, ma non lo è. "Volevamo che continuasse a studiare e ci 
siamo detti che potevamo vivere anche con il solo stipendio
di mia moglie, che insegna in una materna. Di solito i ragazzi autistici all'età di Giulio si 
ritirano e rimangono in casa, ma io sentivo che con me a
fianco mio figlio poteva farcela".
Gli altri due fratelli, Beppe, 24 anni, ingegnere, e Ciccio, studente di lingue orientali a Lecce, 
sono ormai lontani da casa. "Con la mia nuova laurea,
ho chiesto al preside della scuola se potevo essere io l'insegnante di sostegno di mio figlio, mi 
ha risposto di sì. Sapevo che nessuno poteva aiutare
Giulio meglio di me. I docenti sono stati molto comprensivi, disponibilissimi ad accoglierci". 
Fatto sta che adesso papà Vincenzo passa l'intera giornata
con Giulio sui banchi di scuola: si sorprende, ma neanche tanto, a scoprire che suo figlio ha 9 in 
matematica e ottimi voti anche nelle altre materie.
Si sorprende, tanto, quando viene a sapere che se Giulio salta un giorno di scuola, i suoi compagni 
lo cercano.
Il ragazzone va in gita scolastica con gli altri (e con suo padre), fa i compiti a casa e fa i 
compiti in classe seguendo il programma paritario. Ogni
tanto entra in affanno e chiede a papà di stringergli una mano, forte, più forte, per sentirsi 
sicuro. E Vincenzo c'è. "L'altro giorno mi sono ritrovato
in ginocchio davanti a lui, che doveva affrontare un'interrogazione di francese e ha cominciato ad 
agitarsi, bisogna solo calmarlo, stargli vicino. Gli
insegnanti e i ragazzi sono grandiosi: capiscono, si sono abituati ai suoi gridolini e ai suoi 
commenti, Giulio li bacia e li abbraccia in continuazione,
e io sono diventato il tutor anche dei suoi compagni. Solo chi non lo conosce ha paura, ed è 
comprensibile, perché è grande e grosso. In casa lo chiamiamo
il rompiballe, perché a volte grida e strepita come un bimbo di 5 anni. E' dura, avrei preferito 
continuare a fare l'informatore scientifico, ma noi vogliamo
che Giulio viva una vita normale". Non solo scuola: il pomeriggio la piscina, oppure la palestra, 
il cavallo, il pianoforte. Sempre con papà Vincenzo.
"Sono attività che gli servono a scaricare la sua enorme energia fisica". La domenica, il cinema, 
qualche volta una pizza la sera. Una vita (quasi) normale.
La frase più frequente sulla bocca di Giulio: "Sono felice".
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