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Steve Jobs e il primo Mac, 30 anni fa
Art. inviato in privato da Donato Taddei, 24\01\2014, h. 17.23.

ERA IL 24 GENNAIO 1984
La storia e le intuizioni del visionario fondatore di Apple che, emozionato, estrasse da una borsa 
il nostro futuro
MILANO - Prendi un ragazzino di oggi, uno di quelli che con le mani strette attorno al suo iPhone 
si sente padrone del mondo, e prova a spiegargli che trent’anni fa niente di quello di cui non 
potrebbe più fare a meno esisteva. Niente Facebook, WhatsApp, video di Youtube e telefonate su 
Skype. Raccontagli che non bastava premere un polpastrello sullo schermo per venire scaraventati in 
una realtà non solo perfettamente coerente con quella circostante ma anche capace di renderla più 
semplice, accessibile, interconnessa. E prova a spiegargli che la vera rivoluzione fatta dagli 
antenati della sua piccola finestra sul mondo non è stata la capacità di elaborazione dei dati o la 
connessione a Internet ma l’interfaccia grafica utente. Raccontagli che tutto è cominciato un po’ 
prima di trent’anni fa, quando un certo Alan Key, scienziato del Connecticut, ha chiesto alla sua 
squadra di ingegneri di lavorare a un personal computer comprensibile a persone di tutte le età e 
formazione, anche ai bambini. Key lavorava nell’avveniristico laboratorio Xerox Park dell’omonima 
società e alla fine degli anni ‘70 a osservare e ammirare il suo lavoro c’era un certo Steve Jobs.
30 anni di Mac: dalla nicchia all'informatica di massa
Non era ancora l’uomo in jeans e maglioncino nero in grado di far pendere dalle sue labbra 
consumatori (e portafogli) di mezzo mondo. Era un quasi venticinquenne affamato e folle, come nel 
2005 raccontò agli studenti di Stanford citando la rivista The Whole Earth Catalog. Quel motto, 
«stay hungry, stay foolish», Jobs lo ha fatto suo, lo ho contestualizzato, gli ha dato forza e 
passione e lo ha cucito attorno alla sua storia. Con l’intuizione di Key e della sua squadra ha 
fatto lo stesso. Ha visto le potenzialità di quella rappresentazione grafica di una scrivania sullo 
schermo con tanto di cartelle per raccogliere i documenti e di quel puntatore, il mouse, con cui 
selezionare il materiale. E le ha fatte sue, le ha portate nella Apple fondata nel 1976 con il 
geniale Steve Wozniak, che all’epoca era in procinto di abbandonare la nave. Cinque anni dopo, il 
25 gennaio del 1984, Jobs ha tolto il velo al primo Macintosh. Anzi, lo ha estratto da una borsa, 
per essere precisi. Esattamente trent’anni fa lo spunto intravisto allo Xerox Park si è trasformato 
nel computer che oggi sappiamo aver scritto una pagina importante della storia dell’informatica.
Ci sono due video che raccontano quel momento in modi diametralmente opposti: da una parte lo spot 
pubblicitario firmato da Ridley Scott e andato in onda durante il Super Bowl del 22 gennaio 1984. 
Aggressivo e costoso, svelava già l’ingordigia di una società che oggi vale più di 100 miliardi di 
dollari. Dall’altra la presentazione del Macintosh. Il momento in cui Jobs ha tirato fuori la 
scatoletta bianca dalla borsa, l’ha accesa, ha tirato lentamente fuori dal taschino della giacca un 
floppy disk, lo ha inserito nella macchina e ha fatto partire la presentazione. Già, il taschino 
della giacca. La divisa da cannibalizzatore del mercato era di là da venire e il giovane Jobs si 
era presentato in giacca, camicia e farfallino. Emozionato, più che famelico. Commosso, 
addirittura, quando la platea ha riservato lunghi e forti applausi alla sua creatura. Una creatura 
voluta fortemente. Quasi un figlio, che per uno scherzo beffardo del destino si è sviluppato in 
casa Apple parallelamente a un progetto chiamato come sua figlia Lisa, la figlia inizialmente non 
riconosciuta. Con il primo Mac Jobs non ha avuto dubbi: era lui il padre.
Cos’aveva di tanto speciale quella scatoletta bianca? La grafica, l’accessibilità. Immagini chiare 
e gradevoli al posto di stringhe di testo. Gesti, come sovrapporre una cartella a un’altra, che al 
ragazzino con l’iPhone in mano faranno poco più dell’effetto di un episodio dei Flintstone, di 
quelli in cui Fred e Barney muovono i piedi velocemente per far spostare la loro “automobile”. Lui, 
il ragazzino, ormai pensa in touch ed è abituato a macchine dalle prestazioni e dalle forme 
avveniristiche come il super cilindro Mac Pro lanciato da Apple in giugno.

C’è invece chi ha vissuto quelle novità come una piccola conquista personale. E ricorderà anche 
perché non è stato il computer della Mela a entrare in tutte le abitazioni. Il sogno, realizzato, 
di portare un pc su ogni scrivania e uno in ogni casa era di Bill Gates, il fondatore di Microsoft. 
Il primo Macintosh, uno schermo da 9 pollici con 128Kb di Ram e cartellino da 2.500 dollari (di 
allora, il doppio circa oggi), è stata una rivoluzione informatica. Microsoft Windows, sistema 
operativo a bordo dei computer Ibm, è stata una rivoluzione commerciale iniziata esattamente nello 
stesso periodo, e ispirandosi a Cupertino. Da allora le due aziende sono sempre state collegate da 
un filo rosso, tra cessioni di licenze, con i Mac arresisi alla necessità di avere versioni sempre 
aggiornate del pacchetto Office, e strategie intersecate. Forse non tutti ricordano, ad esempio, 
che anche Apple tentò la via della distribuzione del solo software. E sicuramente non tutti sanno 
che uno, anzi un altro, dei dettami di Key di cui Jobs aveva preso attentamente nota era proprio la 
lavorazione congiunta di hardware e software.

colorato iMac. La firma era di Jonathan Ive. Quel Jonathan Ive che ci ha fatto perdere la testa per 
iPod e iPhone. Era il 1998 e l’approccio era lo stesso del ‘94: un prodotto semplice da utilizzare 
e destinato al grande pubblico. Jobs era ancora in giacca e camicia, senza il farfallino però.

Gli anni duemila, fra Mac OS X e la stretta di mano con Intel annunciata finalmente con un 
maglioncino nero, sono quelli in cui il ragazzino inizia a ritrovarsi. Arriva iTunes, negozio di 
musica digitale dal quale sono stati acquistati 25 miliardi di brani. Adesso ci sono Spotify e 
concorrenti, ma questa è un’altra storia: il primo capitolo della fruizione legale delle canzoni in 
Rete lo ha scritto Apple. Ancora una volta Jobs stava facendo tesoro dell’insegnamento di Key, 
mantenendo le redini di hardware e piattaforma di distribuzione, binomio sulle ali del quale ha 
preso il volo anche l’iPhone e a cui Microsoft si è dovuto arrendere nel campo mobile con 
l’acquisizione di Nokia. Il mondo del ragazzino, quello fatto di colpi di polpastrelli a raffica, è 
iniziato nel 2007. Il 9 gennaio di quell’anno Jobs ha mostrato al mondo il primo smartphone 
marchiato Apple. Solo lo scorso anno ne ha venduti 150 milioni. Non solo, lo stesso giorno Apple ha 
smesso di chiamarsi Apple Computer propendendo per un generico Apple Inc, più aderente alla sua 
missione sempre meno legata ai pc. Gli auguri, caro Mac, te li facciamo oggi, ma sei vecchio (già) 
da tempo.
24 gennaio 2014

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