clona
Si possono riportare in vita i Neandertal?
Art. inviato in privato da F. Melis, 02\07\2013, h. 12.36.

un interessante, anche eticamente, articolo scientifico.

dal sito della "National Geographic"
www.nationalgeographic.it/scienza/2013/03/13/news/si_possono_riportare_in_vita_i_neandertal_-1550869/

Un giorno gli studiosi saranno in grado di clonare i nostri cugini
estinti. Ma forse non è la cosa giusta da fare
di Virginia Hughes

Per ora, il genoma dei Neandertal è soltanto una stringa astratta,
composta da miliardi di tasselli di DNA e archiviata in una banca dati
informatica. Ma naturalmente la nostra immaginazione si è già scatenata:
gli scienziati potranno mai usare questo materiale genetico per dare
vita a un Neandertal in carne e ossa?
In un futuro non troppo lontano, secondo gli esperti, i progressi nel
campo dell'ingegneria genetica potrebbe portare a un simile traguardo.
Ma se questa resurrezione debba effettivamente accadere, questo è un
altro discorso.
Fin dalla nascita nel 1996 della pecora Dolly, il primo mammifero
clonato al mondo, gli scienziati hanno notevolmente ampliato e
migliorato le tecniche di clonazione. Tra le varie specie, sono stati
clonati cani, gatti, ratti, maiali e mucche. Nel 2003, per la prima
volta, dei ricercatori spagnoli sono riusciti a riportare in vita, anche
se solo per pochi minuti, una specie estinta di stambecco spagnolo, lo
stambecco dei Pirenei (Capra pyrenaica pyrenaica).
Tutti questi esempi si basano su una tecnica chiamata trasferimento
nucleare. Questa tecnica prevede il trasferimento di un nucleo - dove si
trova il DNA - di una cellula (fresca o congelata) della specie che
si vuole clonare in una cellula uovo di una specie affine privata del
nucleo. Questo ibrido viene poi impiantato nell'utero di una madre
surrogata per la gestazione et voilà: il clone viene alla luce.
Ma per ora non ci sono cellule di Neandertal intatte. Il DNA
neandertaliano è stato infatti ricostruito mettendo assieme i frammenti
faticosamente estratti da ossa antiche anche 40 mila anni. Come
potrebbe, quindi, essere possibile la clonazione?
Nel libro Regenesis, uscito nel 2012, il genetista dell’Università di
Harvard George Church propone alcune possibili tecniche di clonazione di
specie estinte di cui è stato sequenziato il genoma. Partendo da una
cellula sana di una specie affine - nel caso dei Neandertal, per
esempio, si potrebbe usare una cellula staminale di un uomo moderno -
grazie ai nuovi trucchi dell’ingegneria genetica, i ricercatori
potrebbero apportare delle parziali modifiche al DNA della cellula umana
in modo che corrisponda esattamente al genoma neandertaliano.
Più facile a dirsi che a farsi, visto che esistono milioni di differenze
tra i due genomi. Church comunque si sofferma su una nuova tecnica
chiamata CRISPR che rende possibile modificare diversi siti del genoma
in una volta sola. Un articolo che descrive questa tecnica è stato
pubblicato sulla rivista Science nel mese di gennaio. Con questa
pubblicazione spiega Church, “L’ingegneria genetica delle cellule di
mammifero ha appena fatto un grande passo avanti”.
E anche se le tecniche non sono ancora abbastanza sofisticate e neppure
economiche, Church ritiene l’idea della clonazione plausibile. “Il
processo per arrivare ad un intero organismo partendo da poche cellule
ingegnerizzate è stato ben definito nei topi, per cui non c’è alcuna
ragione evidente per cui non possa riuscire anche per altri mammiferi”.

Questioni etiche
Se una cellula umana fosse realmente neandertalizzata dovrebbe venire
impiantata nell’utero di una madre surrogata, fosse questa una donna o
una scimpanzé, per poi divenire un feto. Questo passaggio potrebbe
essere però estremamente impegnativo. “Sappiamo per esperienza che nella
clonazione il tasso di fallimento è molto alto”, spiega James Noonan,
genetista dell'Università di Yale.
Nel caso dello stambecco dei Pirenei, per esempio, gli scienziati
spagnoli crearono 439 ovuli contenenti i nuclei della specie estinta, ma
solo 57 diventarono embrioni. Di questi 5 sono sopravvissuti all'intera
gravidanza e solo uno è nato. Numeri del genere probabilmente
rappresenterebbero un peso emotivo e fisico troppo grave per le madri
surrogate. “La cosa più probabile sarebbe poi quella di sviluppare
mutazioni gravi o addirittura letali, creando un sacco di
proto-Neandertal morti”, dice Noonan.
Anche se il clone dovesse sopravvivere, i dilemmi etici sollevati dalla
nascita di un Neandertal sarebbero numerosi e complicati. In un certo
senso, gli uomini di Neandertal erano simili a noi esseri umani moderni.
Usavano strumenti e creavano oggetti artistici, visto che probabilmente
possedevano la capacità mentale del linguaggio e del pensiero astratto.
Per il resto, però, erano molto diversi. Si estinsero prima della
rivoluzione agricola, e quindi potrebbero avere delle difficoltà con la
dieta moderna, ricca di cereali e latticini. Il loro aspetto fisico,
basso e tarchiato, con la testa grande e muscoli possenti forti,
potrebbero anche farli notare un po’ troppo.
“Posso immaginare quanto difficile sarebbe crescere come un bambino
Neandertal in un gruppo di non-Neandertal”, dice Trenton Holliday,
antropologo dell'Università di Tulane. Per esempio, se il bambino di
Neandertal fosse molto più forte dei bambini “moderni”, potrebbe venire
escluso dalle squadre sportive. Oppure se fosse disabile o
intellettualmente dotato, potrebbe finire isolato in programmi educativi
speciali.
Church è d'accordo, queste questioni etiche sono importanti e devono
essere considerate in un qualsiasi progetto di clonazione. “Per tutte le
specie, si vuole massimizzare la possibilità di nascere e di vivere una
vita sana fisicamente e socialmente”.

Qual è il punto allora?
Alcuni scienziati si chiedono poi se via sia un qualche valido motivo
scientifico per riportare in vita un Neandertal.
“Si può anche far crescere un genoma di Neandertal in una donna moderna,
ma poi l'ambiente educativo, gli stimoli cognitivi e tutto il resto di
un bambino nato nel nostro tempo sarebbero totalmente diversi da quelli
del Paleolitico”, spiega Carles Lalueza-Fox, ricercatore presso
l'Istituto di Biologia Evoluzionistica di Barcellona.
Invece di clonare un individuo neandertaliano completo, alcuni
scienziati sostengono che sarebbe più utile, ed eticamente accettabile,
concentrarsi solo su alcune cellule. Questo approccio potrebbe far
scoprire delle differenze biologiche tra uomini di Neandertal ed esseri
umani moderni che permettebbero agli antropologi di decifrare i diversi
destini evolutivi delle due specie. Un confronto cellulare potrebbe
anche portare a nuove scoperte sulle malattie moderne. “Se dieci anni fa
mi avessero detto che avremmo potuto ricavare qualcosa di utile per la
nostra salute dal genoma neandertaliano, non ci avrei mai creduto”, ha
detto John Hawks, antropologo dell'Università del Wisconsin.
Ma il sequenziamento del DNA neandertaliano ha cambiato ogni prospettiva
passata.
Nel 2010, dopo aver setacciato le ossa neandertaliane scoperte in una
grotta croata a caccia di qualche frammento di DNA antico, gli
scienziati hanno pubblicato la prima bozza del genoma del nostro antico
cugino. Questo primo passo ha rivoluzionato l’antropologia rivelando,
tra l’altro, che questi ominidi si incrociarono con i nostri antenati.
Le condizioni climatiche in cui vissero i Neandertal, la dieta e le
malattie a cui vennero esposti non furono le stesse dei nostri antenati,
per cui hanno lasciato dei segni diversi nel loro DNA. Eppure gli uomini
di Neandertal sono molto più simili agli esseri umani moderni rispetto
agli animali che vengono comunemente usati per studiare le malattie,
come i moscerini della frutta e roditori. "Ci sono dei problemi che
affliggono gli esseri umani moderni, per i quali è molto plausibile che
la biologia dei Neandertal ci possa realmente aiutare”, dice Hawks. “La
nostra conoscenza del processo evolutivo potrebbe indirizzarci verso
possibili trattamenti”.
Uno studio del 2011, per esempio, ha descritto alcune varianti genetiche
del sistema immunitario presenti nel sistema immunitario degli uomini
moderni che invece non ci sono nel genoma neadertaliano. Per saperne di
più sulle conseguenze biologiche di queste differenze genetiche, Noonan
dice che “si potrebbe prendere una cellula del sistema immunitario umano
e renderla più simile a quella di un Neandertal, per poi vedere se abbia
o meno la stessa capacità di risposta agli agenti patogeni”.
Hawks è d'accordo. Egli fa notare, infatti, che gli uomini moderni, al
contrario dei Neadertal, sono portatori di mutazioni genetiche legate a
malattie autoimmunitarie come la celiachia, una patologia
gastrointestinale che deriva da una reazione immunitaria al glutine.
Secondo Hawks un confronto tra le cellule di Neandertal e umane potrebbe
aiutare i ricercatori a curare questi disturbi moderni.
“Stiamo studiando un'antica popolazione che aveva ossa spesse e muscoli
forti. Se si potesse trovare una tecnica per modificare la biologia
umana in modo da renderla più simile a quella dei Neandertal, si
potrebbero forse curare l'osteoporosi e l’atrofia muscolare”.
Per ora la tecnologia per lo studio della biologia dei Neandertal rimane
fuori portata. Ma molti esperti sostengono che sia solo una questione di
tempo. “Scommetto che ci arriveremo fra 30 anni”, dice Hawks.
(13 marzo 2013)
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