mosche
C'è un mondo da scoprire copiando mosche e libellule
La Repubblica del 09-06-2013

Supporre che l'occhio, con tutti i suoi inimitabili meccanismi, possa essersi formato tramite la 
selezione naturale sembra, lo confesso, assurdo al massimo grado.

Lo chiamano l'organo di Dio. È infatti l'elemento degli esseri viventi più difficile da spiegare 
con le leggi dell'evoluzione. Forse, allora, si può sostenere che gli scienziati oggi giochino a 
"fare Dio" quando ricreano parti degli occhi in laboratorio partendo dalle cellule staminali, 
impiantano elettrodi nella retina per ripristinarne le funzioni compromesse o assemblino dal nulla 
quel capolavoro di ottica e ingegneria che è l'occhio composto degli insetti. E se, fino a ieri, 
un'immagine che si imprimeva nella nostra vista poteva essere considerata prova sufficiente di 
verità, oggi è possibile interagire con un "fantasma" in tre dimensioni chiamato ologramma e creato 
da una sorgente laser. O credere di trovarsi di fronte a una trasparenza laddove gli scienziati 
hanno in realtà messo a punto uno dei primi "mantelli dell'invisibilità".
Oggetti da fantascienza in sperimentazione da una manciata di anni.
Gli occhiali di Google, in fondo, non hanno inventato nulla di nuovo. L'idea di montare una 
telecamera su un paio di lenti per inviare le immagini alla retina è il principio base di alcuni 
prototipi del cosiddetto occhio artificiale. Il modello Argus, realizzato dall'azienda biotech 
californiana Second Sight, a fine febbraio è stato autorizzato per il mercato americano. Ma dal 
2011 a oggi è stato sperimentato anche da una ventina di pazienti in Europa. «Questi strumenti 
possono essere usati quando la retina non funziona più, ma il nervo ottico che trasmette l'impulso 
elettrico al cervello è ancora intatto» spiega Fabio Benfenati, ricercatore dell'Istituto italiano 
di tecnologia e professore all'università di Genova. Le ma-lattie che possono essere affrontate con 
l'occhio artificiale sono al momento la retinite pigmentosa (origine genetica, colpisce in età 
giovanile) e la degenerazione maculare (progressivo deterioramento della retina tipico invece degli 
anziani).
Al prezzo di centocinquantamila dollari, Argus permette di tornare a distinguere luci forti, linee 
molto nette, in alcuni casi oggetti in movimento. Una telecamera montata su un paio di occhiali 
trasmette le immagini a un computer portatile, da tenere sempre con sé. Dal calcolatore, i segnali 
vengono inviati al chip inserito nella parte profonda della retina,stimolando il nervo ottico 
diretto al cervello. Ma mentre in un singolo occhio umano i recettori degli impulsi luminosi (coni 
e bastoncelli) superano il centinaio di milioni, i tecnici di Argus non sono riusciti a realizzarne 
più di sessanta. Inserire un chip di silicio in un organo delicato come la retina resta poi 
un'impresa. «All'Istituto italiano di tecnologia abbiamo tentato una strada diversa» spiega 
Benfenati. «Al posto del silicio utilizziamo un polimero organico. È un materiale a base di 
carbonio che è stato messo a punto per i pannelli fotovoltaici. Ma permette di risolvere molti 
problemi anche per quanto rig uarda le retine artificiali».
Il polimero P3HT, assemblato da Guglielmo Lanzani del Centro per le nanoscienze e la tecnologia 
all'Istituto Italiano di Tecnologia e al Politecnico di Milano, assorbe luce e genera correnti 
elettriche. «Nei primi test in laboratorio - spiega Benfenati - abbiamo preso il nostro polimero e 
abbiamo lasciato che dei neuroni vi crescessero sopra. Il materiale, colpito dalla luce, riusciva 
in effetti a stimolare elettronicamente i neuroni. Analogamente, quando sul polimero si è 
appoggiata una retina con degenerazione dei fotorecettori, la stimolazione luminosa era di nuovo in 
grado di attivare i circuiti retinici. A quel punto siamo partiti con i test sui ratti, che stanno 
dando i primi risultati positivi. Solo dopo molte altre prove si potrà pensare di impiantare il 
dispositivo nell'occhio umano».
E se l'occhio umano, formato da un'unica lente, può sembrare complicato, immaginiamo un organo 
composto da venti o addirittura trentamila lenti, come quello di cui è dotato la libellula. 
L'occhio composto degli insetti è un mosaico di complessità che l'uomo da alcuni anni osserva e 
(ancora goffamente) imita. Il numero massimo di ommatidi (ciascuna delle minuscole lenti esagonali) 
raggiunto finora in laboratorio è di poche centinaia. Tutti gli elementi devono essere allineati al 
micrometro per evitare che le aberrazioni distruggano l'immagine di insieme.
Due gruppi di ricerca hanno appena messo a punto un occhio artificiale di questo tipo. Grazie alle 
sue dimensioni ridottissime, questa meraviglia della tecnologia potrà un giorno essere usata per 
osservare il corpo umano dall'interno (se montata su sonde) o per dare a robot volanti la stessa 
agilità che hanno le mosche quando sfuggono ai predatori o agli uomini infastiditi. Il Politecnico 
di Losanna in Svizzera (lo studio è stato pubblicato il 4 giugno suProceedings of the National 
Academy of Sciences) e un consorzio di università americane e cinesi (ricerca apparsa su Nature lo 
scorso 2 maggio) hanno realizzato due prototipi abbastanza simili dell'organo artificiale. Un campo 
visivo amplissimo, vicino ai 180 gradi, capacità di correggere le aberrazioni e rapidità estrema 
nell'integrare le immagini laterali a ogni minimo movimento della testa sono le caratteristiche 
degli occhi degli insetti. Che l'uomo ha per ora riprodotto solo in minima parte, e su dimensioni 
centina ia di volte più grandi rispetto agli organi miniaturizzati di mosche e libellule.

di Elena Dusi
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