tasse
Anche Apple elude le tasse.
Il Sole 24 ore online del 22\05\2013.

Bufera su Apple. Nel mirino le cassaforti nei paradisi fiscali: tasse
non pagate per 44 miliardi di dollari
di Marco Valsania

New York – L'ultima innovazione di Apple non riguarda l'iPhone o l'iPad.
Apple ha scoperto le società apolidi: non hanno sede fiscale da nessuna
parte, quindi il loro reddito non è tassato da alcuno stato al mondo. E'
in questo modo che la società di Cupertino avrebbe, del tutto
legalmente, evitato di dover pagare imposte su 44 miliardi di dollari di
profitti. E, quando si contano gli utili su cui ha versato tasse
estremamente basse, il totale salirebbe ad almeno 74 miliardi in quattro
anni.

Il "meccanismo" è stato messo in luce da un rapporto del Senato
americano, più precisamente della sua Sottocommisione permanente
d'inchiesta. Che ieri ha chiamato il chief exeucutive dell'azienda, Tim
Cook a renderne conto in aula. Un meccanismo che conta su vuoti
nell'incrocio tra la legislazione americana e irlandese: le divisioni
internazionali di Apple, alle quali fanno capo le attività in Europa,
Medio Oriente, India, Africa e Asia, hanno sede a Cork in Irlanda. Ma
per Dublino sono effettivamente "controllate a gestite" dal quartier
generale negli Stati Uniti, quindi ai loro fini non vanno tassate
localmente. Peccato però che per gli Stati Uniti il loro reddito sia
generato all'estero, quindi la tassazione americana può essere differita
fintanto che i capitali restano fuori dai confini.

Risultato: la colossale divisione Apple Operations International dal
2009 al 2012 ha intascato 30 miliardi ma non ha dichiarato alcun
dimicilio fiscale e in cinque anni non ha mai neppure presentato una
dichiarazione dei redditi. Una seconda divisione, la Apple Sales
International, avrebbe pagato un'aliquota effettiva pari allo 0,5 per
cento. Gli inquirenti del Congresso hanno parlato apertamente di un
ricorso ad "alchemia" fiscale e ad "aziende fantasma" da parte di Apple.

Cook, coadiuvato dal direttore finanziario Peter Oppenheimer, si è
difeso a spada tratta durante la lunga audizione, dominata dalle
aggressive domande dei senatori Carl Levin, democratico, e John McCain,
repubblicano. Levin ha denuciato che "Apple ha sfruttato un'assurdità
che non abbiamo visto altre aziende utilizzare". Ma il chief executive
di Apple ha contrattaccato chiedendo piuttosto una riforma del sistema
fiscale per le aziende che permatta di rimpatriare capitali senza pagare
un'aliquota considerata punitive e pari oggi al 35 per cento. Cook ha
proposto un'aliquota inferiore al 10% per rimpatriare profitti e essere
competitivi con altri paesi.

L'amministratore delegato ha anche assicurato che Apple ha sempre pagato
tutte le imposte dovute negli Stati Uniti, sei miliardi sdi imposte sul
reddito nel 2012. Anzi ha affermato di ritenere che Apple sia il
principale contribuente aziendale all'erario americano: ha calcolato di
essere responsabile del versamento di un dollaro ogni 40 di gettito
fiscale della Corporate America.

Senza contare le migliaia di posti di lavoro che ha creato sostenendo
l'economia del Paese. La divisione irlandese, a suo avviso, è
semplicemente un modo per gestire efficacemente contanti già tassati
altrove.

Le mosse fiscali di Apple hanno destato scalpore, ma non sono isolate.
Nella polemica su riforma fiscale e elusione delle tasse altre aziende
hi-tech americane sono finite di recente nel mirino del Congresso, tra
queste la Hewlett-Packard e la Microsoft. La prima è stata criticata per
aver rimpatriato surretiziamente profitti, facendoli passare per
prestiti esentasse delle controllate alla casa madre. La seconda per il
trasferimento "di comodo" offshore di redditizie proprietà intellettuale.
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