stadio
Andrea nonvedente allo stadio con la radiolina della Roma calcio.
inviato in privato da Andrea Papini, 08\03\2013, h. 11.07

da il romanista 6 MARTEDÌ 5 MARZO 2013
Con gli occhi del cuore
L’INIZIATIVA
MAURO MACEDONIO
«Andre’, c’era il rigore? E il fuorigioco?». Lo
chiedono a lui, che pure non vede nulla, se quel
fischio dell’arbitro fosse giusto o meno. E’ perché
Andrea ha la radiolina, che gli dice in tempo
reale cos’è successo. Loro sono gli amici che
lo circondano e, per questo motivo, lo chiamano
il “Moviola”. Ed è come se fosse lui a “vedere”
per loro. Questo lo fa sorridere. E un po’ lo
inorgoglisce. Sorride, Andrea Papini, anche
con gli occhi. Che ti penetrano dentro più di
quanto riescano a fare gli sguardi, così spesso
assenti, di tanti altri. Sorride, e scherza, con
chiunque gli capiti a tiro. Quando passa il varco
della Tribuna Tevere, quello riservato a invalidi
e disabili, dove abbiamo appuntamento,
gli si fanno incontro un paio di steward che lo
conoscono bene e da tempo. «Sei Antonio!» fa
lui a uno di loro, che gli si para davanti. «Ti riconosco
dall’odore». Così come riconosce gli
altri dalle strette di mano. Lo aspettano, anche
stasera, per consegnargli la radiolina con cui
seguire la partita. «Gli auricolari sono nuovi -
gli dice uno dello staff, con la pettorina arancione.
– Solo per te!». Andrea Papini, così fa di
cognome, arriva, come sempre, accompagnato
da Dino, che oggi compie 65 anni e offre il
caffè a tutti, lì al bar sotto la tribuna, dove Andrea
comincia a raccontarmi la sua storia. Della
sua vista, che ha perso nell’81, in un incidente
stradale, quando aveva diciannove anni, ma
che ha “riacquistato” un paio d’anni anni dopo,
quando è nata la sua passione per la Roma.
Mi racconta dell’incidente, in una bella mattina
di primavera. Era il giorno di Pasqua e lui,
che stava facendo il militare nei Vigili del fuoco,
decise quel giorno, con un amico, di andare
al mare, qui vicino, sul litorale laziale. «Avevamo
con noi una di quelle grosse radio che si
usavano a quel tempo, quelle con il mangianastri,
come si chiamavano allora. A un certo
punto, la radio finì in mezzo ai sedili e, per spostarla,
non mi accorsi di una curva. Fu un botto
frontale. Non esistevano ancora le cinture di
sicurezza e finii con il viso, e gli occhiali, contro
il volante. Le schegge dei vetri mi entrarono
negli occhi. Uno l’ho perso del tutto, e oggi
ho una protesi, mentre nell’altro ho avuto il distacco
della retina e, praticamente, sono invalido
civile come cieco assoluto».
Una reazione, quella di Andrea, che è nato
a Firenze, per via della madre toscana, ma si è
trasferito a Roma quando aveva solo 23 giorni,
che l’ha visto tuffarsi da subito nel lavoro. Nella
vita, infatti, fa l’informatico, agli inizi come
programmatore analista, oggi come helpdesk
di una grande azienda. «L’anno dopo – racconta
– ero a lavorare a Milano. Era la stagione
‘82/83, quella del secondo scudetto. E per me,
in quella città del Nord, una rivalsa mi venne
proprio dall’essere tifoso della Roma. Da allora,
la seguo sempre». Andrea è sposato e ha
quattro figli, due maschi e due femmine: Giuditta,
che ha quasi 20 anni, Jacopo, che ne ha
17, e poi Rebecca, 8, e Stefano Karol, 6. «Il suo
secondo nome è quello di papa Wojtila. È perché
sono credente e praticante». Una fede forte,
la sua, come quella, senza apparire blasfemi,
che prova per la Roma. «Per lui è davvero
una ragione di vita» mi spiega Dino, suo ex collega
di lavoro, che gli è accanto come amico da
quasi trent’anni. Ma se Andrea oggi è qui, con
la radiolina fornitagli dalla Roma, di battaglie
ne ha dovute sostenere comunque tante.
«Quando dicevo che volevo andare allo stadio,
mi rispondevano “ma a che ti serve, se non vedi
nulla?”. Non capivano che per me è importante
anche sentire il profumo dell’erba quando
viene annaffiata prima della partita. E comunque,
respirare quell’aria insieme agli altri.
Quei cori, per me, tridimensionali. Sentire lo
stadio che gioisce o impreca. Perché anch’io,
quando serve, le dico, le parolacce. Come tutti
».
Continua la sua storia. «Fu Umberto Esposito
(ex figura storica nell’amministrazione
della As Roma, ndr) a rappresentare la mia vicenda
a Franco Sensi, nel 2000, l’anno in cui
avremmo poi vinto il terzo scudetto. E fu allora
che il presidente, che si era preso a cuore il
caso, dal suo carnet privato, mi regalò – e l’avrebbe
fatto ogni anno, fino a quando è vissuto
- due abbonamenti per la Tribuna Monte Mario,
uno per me e uno per il mio accompagno.
Dopo la morte di Sensi, e senza più Esposito in
società, non li ho più avuti. Fino a quando, con
la nuova proprietà, si è tornati ad occuparsi della
questione. La verità è che, per cavilli burocratici,
i ciechi non erano ancora equiparati ai
disabili al 100%, come prevede la legge. Da
quando, invece, la norma è cambiata, possiamo
avere anche noi due abbonamenti ridotti».
Durante la partita, è lì accanto a me, che mi
riporta il commento della radio. «Finalmente,
posso di nuovo sentirla in diretta, come ai tempi
in cui le radio private potevano trasmetterla
» esclama. Già, la diretta. C’era stato infatti
un problema, di natura tecnica, in Roma-Juventus.
Il segnale che arrivava da Teleradiostereo
non era in sincrono con quanto accadeva
in campo. La spiegazione è semplice: l’emittente
trasmette con i classici quattro secondi
di ritardo che consentono, a chi segue la partita
in televisione, di sostituire l’audio originale,
quello dei telecronisti di Sky o Mediaset, con
quello radiofonico. E per uno strano scherzo
del destino (due cavetti invertiti), il segnale che
arrivava all’orecchio di Andrea era addirittura
più ritardato. «Ho sentito il racconto del gol di
Totti quando lo stadio era già esploso da un po’.
In Tribuna Tevere con Andrea Papini,tifoso non vedente:«La partita la ascolto con la
	radiolina fornita dalla Roma,ma è dal mio posto che la respiro.Il gol di Totti? L’ho visto!»
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