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Verso la retina artificiale grazie a un polimero
Le Scienze del 23-03-2013

Verso la retina artificiale grazie a un polimero

Un polimero conduttore è in grado di ripristinare la sensibilità alla luce in retine di ratti 
ciechi. Lo ha dimostrato una ricerca dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, che apre la 
strada alla sperimentazione di protesi visive nei casi in cui i tessuti della retina siano solo 
parzialmente danneggiati da malattie come la retinite pigmentosa o la degenerazione maculare senile 
(red)

Un nuovo polimero realizzato da Fabio Benfenati e colleghi, del Dipartimento di neuroscienze e 
tecnologie cerebrali dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, è in grado di ripristinare la 
sensibilità alla luce nella retina di ratti ciechi. Il risultato, pubblicato su “Nature Photonics”, 
apre le porte alla realizzazione di retine artificiali affidabili ed efficaci, ed è frutto di 
numerosi progressi compiuti nel campo delle biotecnologie, in particolare nella possibilità di 
collegare componenti elettronici basati su composti organici con substrati biologici.

Nell’ultimo decennio si è sviluppato un filone di ricerca interessante, che ha come obiettivo 
l'innovazione delle interfacce tra elettrodi e tessuti neuronali. Numerosi scienziati in tutto il 
mondo hanno affrontato diversi problemi che riguardano la biocompatibilità di differenti materiali 
e la loro flessibilità meccanica, due fattori fondamentali per poter realizzare protesi definitive 
o che comunque debbano durare per un tempo molto lungo. Tuttavia, la possibilità di stimolare i 
tessuti biologici con un segnale non elettrico ma luminoso ha ricevuto poca attenzione. Fanno 
eccezione le tecniche optogenetiche, usate per sondare il funzionamento di circuiti neuronali 
controllandone l'espressione genica con segnali luminosi. Queste tecniche hanno compiuto enormi 
progressi negli ultimi tempi.

© Tetra Images/CorbisNel campo della ricerca sulla retina artificiale, il problema è ricondotto 
allo studio di strati sottili di materiale in grado di generare un segnale elettrico in risposta a 
una radiazione luminosa controllata dallo sperimentatore. Questo segnale elettrico devo poi essere 
in grado di generare una depolarizzazione della membrana neuronale, processo che a sua volta 
innesca la trasmissione del segnale tra gli stessi neuroni. A questo scopo, risultano molto adatti 
i polimeri conduttori, già sperimentati come interfacce per cellule in molte applicazioni, tra cui 
strutture di sostegno cellulare, biosensori e microdispositivi per il rilascio controllato di 
farmaci.

In quest’ultima ricerca Benfanati e colleghi hanno considerato in particolare l’uso di 
un’interfaccia organica costituita da un singolo polimero denominato P3HT (poli-3-esiltiofene). In 
una prima fase dello studio, hanno caratterizzato le variazioni di equilibrio elettrico 
all'interfaccia tra P3HT e un elettrolita, ovvero una sostanza in grado di dissociarsi in ioni una 
volta in soluzione, verificando che il polimero avesse le caratteristiche adatte per un modello 
sperimentale ancora più vicino alla realtà biologica. Questo modello sperimentale è stato studiato 
in una seconda fase ed era composto da cellule di ippocampo di ratto, fatte crescere in coltura 
sulla superficie del polimero.

I risultati positivi in termini di risposta agli stimoli luminosi, insieme alle buone 
caratteristiche di biocompatibilità osservate in altri studi, hanno incoraggiato i ricercatori a 
condurre una terza fase sperimentale, in cui è stata registrata la capacità del polimero 
ripristinare la sensibiltà alla luce in retine espiantate da ratti albini ciechi, ai quali 
precedentemente era stata indotta una degenerazione nello strato dei fotorecettori.

Il risultato apre la strada potenzialmente alla progettazione di protesi visive, utili quando il 
danno tissutale è solo parziale, come nel caso di malattie come la retinite pigmentosa o la 
degenerazione maculare senile, che colpiscono l'epitelio pigmentato ma preservano gli strati più 
interni della retina.
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