Essere/diventare genitori con…. Puo aiutare? Come?
Il mio bimbo ha un problema. Chi mi aiuterà?
“Svilupperà altre capacità. Le persone che non ci vedono hanno una sensibilità particolare”, “Avevo a scuola un professore cieco…non so come facesse ma riusciva a individuare chi non stava attento”, “Potrebbe diventare come Bocelli”, “Non è più come una volta, oggi l’elettronica consente ai non vedenti di fare praticamente tutto”. …. Sono frasi come queste che si dicono per aiutare inizialmente genitori con un bimbo che non ci vede o ci vede molto poco.
E dopo? Il cerchio di familiari, amici, conoscenti può aiutare i genitori con un figlio disabile visivo? E come? Ma, ancora prima, questi genitori vogliono essere aiutati?
Paradossalmente il vero problema iniziale è rappresentato proprio dalla disponibilità degli stessi genitori a farsi aiutare.
Infatti, se è vero che, finita la prima fase, fortemente emotiva, della scoperta della disabilità visiva, il cerchio dei “potenziali aiutanti” si riduce notevolmente, facendo emergere le persone su cui veramente si può contare, è altrettanto vero che molto spesso i genitori, almeno inizialmente, tendono a isolarsi, a rifiutare l’aiuto e, non di rado, a ridurre i contatti sociali.
Rivela una mamma: “gli amici ci chiamavano per uscire ma noi ci vergognavamo della nostra situazione e quindi rifiutavamo l’invito”. Un papà confessa: “mi davano fastidio i bambini dei miei amici o dei miei parenti perché quei bambini, a cui pure ero affezionato, potevano guardare i cartoni in tv o correre senza paura di andare a sbattere, mentre mia figlia non si staccava da me”. Un’altra mamma: “all’inizio non andavo al parco con la bambina perché tutti ci guardavano e ci additavano”.
Non a caso molti genitori di bambini non vedenti o ipovedenti raccontano di essersi sentiti a proprio agio solo quando hanno cominciato a frequentare istituti o centri dedicati alla disabilità visiva e rivelano di avere ricevuto il primo aiuto tangibile, di sentirsi compresi solo da esperti del settore o da altri genitori con i medesimi problemi.
Quindi, per ricevere aiuto si deve essere disponibili a farsi aiutare e ciò, in base alla nostra esperienza, avviene quando si raggiungono gli stati della consapevolezza e dell’accettazione.
Quando i genitori scoprono la disabilità visiva del proprio figlio è come trovarsi improvvisamente in un sentiero inesplorato, completamente diverso dai terreni comodi e conosciuti, percorsi fino a quel momento. Un territorio nuovo in cui un padre, una madre, si ritrovano con il proprio bambino, senza sapere dove andare, in preda all’ansia per il futuro, all’incertezza su quello che accadrà e, non di rado, con ospedalizzazioni stressanti e incertezze sulle cure o sulle strategie mediche da seguire.
Solo quando si sarà percorso questo sentiero inesplorato, magari incontrando persone che hanno già calcato quella strada, solo allora si capirà che quel sentiero, contorto e faticoso, comunque porta da qualche parte e solo allora, quei genitori saranno consapevoli e pronti a accettare, non avranno paura a aprirsi agli altri, al mondo, a farsi aiutare.
Un’accettazione non passiva, non rassegnata; un’accettazione che significa progetti, voglia di rimboccarsi le maniche e di impegnarsi in un percorso difficile, a volte non agevole, ma ricco di emozioni e di piccole/grandi soddisfazioni.
La precondizione necessaria per l’aiuto è, quindi, la disponibilità dei genitori a farsi aiutare, disponibilità che si raggiunge solo quando si sarà accettata la condizione della disabilità. Tempi e modalità sono ovviamente differenti, dipendendo da aspetti soggettivi (ogni persona reagisce in modo diverso agli eventi) e anche dalle condizioni oggettive (causa della disabilità, pluridisabilità, ecc.)
Ma essere disposti a farsi aiutare non basta. La consapevolezza di aver bisogno di una mano è una condizione necessaria ma non sufficiente!
Come posso chiedere aiuto?
Spesso un’educazione e una società che privilegiano il far da se’, la forza dell’individualismo rendono difficile chiedere aiuto. L’invito che facciamo ai genitori di bimbi disabili è molto chiaro: non abbiate paura di chiedere aiuto, trovate il coraggio di chiedere senza aspettare che gli altri si facciano avanti. E chiedete non solo per situazioni importanti (una malattia, importanti impegni di lavoro, ecc) ma anche per andare ogni tanto fuori per un cinema o una cena da soli!
Come mi relaziono con chi ci vuole dare una mano?
Riepilogando: una volta raggiunta la consapevolezza della necessità e opportunità di farsi aiutare occorre trovare il coraggio di chiedere ma c’è ancora un aspetto importante da sottolineare.
Infatti anche le persone più vicine, più sensibili, più altruiste, trovano inevitabilmente difficoltà iniziali ad aiutare il bimbo e i suoi genitori. Anche queste persone si trovano di fronte a un sentiero inesplorato, di fronte ad ansie e paure di sbagliare, siano essi nonni, fratelli, amici o insegnanti.
Ai genitori di un bimbo disabile visivo spetta, quindi, un altro compito: aiutare a essere aiutati!
I nostri genitori dovranno avere consapevolezza di avere un bambino speciale, un bambino unico e dovranno trasmettere questa specialità, questa unicità a coloro che si relazionano con loro e con il proprio bimbo.
In fondo chi conosce il bimbo non vedente o ipovedente meglio dei genitori? chi ha provato, per esperienza diretta, le reazioni uniche del proprio figlio di fronte agli eventi della vita? Purtroppo la classica esperienza della nonna o della zia che fa così comodo con i bimbi normodotati ha ben scarsa rilevanza con un piccolo disabile visivo. E allora spetta ai genitori aprirsi agli altri e gestire una sorta di apprendistato nei confronti del cerchio di persone pronte e disponibili all’aiuto.
Fratelli e sorelle
Cosa succede ai fratelli o alle sorelle di un bimbo disabile?
Una mamma di una bimba non vedente dalla nascita ricorda ”eravamo tornati a casa dall’ospedale con mia figlia, solo da pochi giorni. Mio figlio maggiore, all’epoca dodicenne, venne da me e da mio marito, con le lacrime agli occhi, e ci disse di non preoccuparci per lui ma di seguire la sorellina, tanto lui era grande e se la sarebbe cavata”.
Quanto grande era stato il trauma di quel ragazzino, fino a quel momento unico centro di attenzione dei genitori? Quanto sarebbe cambiata la sua vita? Quanto sarebbe stato importante per la sorella?
Una mamma che ha avuto prima una bimba ipovedente e successivamente un figlio vedente, ricorda quasi il senso di sollievo che si prova ad occuparsi dei piccoli problemi del secondo figlio in rapporto a quelli, complicati e carichi di emotività, della bimba.
Insomma, quando in una famiglia c’è un bimbo non vedente o ipovedente tutto cambia e non solo, come sembrerebbe ovvio, per il bimbo disabile e per i suoi genitori ma anche per i fratelli e le sorelle normovedenti, i quali implicitamente sanno che la priorità in famiglia sono il fratello o la sorella disabile.
Un primo suggerimento che scaturisce dall’esperienza di chi ci è passato è il seguente: il fratello o la sorella di un bimbo con disabilità visiva hanno necessità di attenzioni particolari poiché, in modi ovviamente diversi da caso a caso, compartecipano della disabilità del fratello e del “trauma” che vive la famiglia.
Ci sono differenze se i fratelli nascono prima o dopo il bimbo disabile?
Esistono differenze nelle problematiche che possono insorgere tra fratelli nati prima del bimbo disabile o nati dopo.
In genere, nel caso di fratelli e sorelle maggiori, il trauma può manifestarsi anche dopo molto anni, a volte con una semplice accentuazione e un prolungamento dei tipici disagi adolescenziali o, in altri casi, con caratterizzazioni di maggiore gravità.
In alcuni casi i problemi evidenziati sono stati risolti con l’aiuto di esperti, in altri grazie alla consapevolezza e all’affetto dei genitori. In ogni modo ciò che ci preme evidenziare è che queste situazioni accadono, si sono verificati e quindi, occorre che i genitori, facciano molta attenzione ai segnali dei figli, anche normovedenti.
E’ comunque da segnalare che i migliori neuropsichiatri conoscono bene l’argomento e, quando vengono chiamati a occuparsi del bimbo disabile visivo, si fanno carico anche dei fratelli normovedenti.
E se il fratello o la sorella che ci vedono nascono dopo il bimbo con problemi visivi? L’esperienza ci porta ad affermare che il rischio è da individuare nelle eccessive aspettative che i genitori possono riporre nel figlio normodotato, quasi a voler compensare le minori aspettative che si riservano al figlio disabile o, all’inverso, in un’inferiore attenzione nel figlio normodotato in quanto il suo percorso di crescita sembra meno difficoltoso.
E a proposito dei rapporti tra fratelli e sorelle vedenti e non vedenti?
Queste sono le raccomandazioni e i punti di attenzione che riteniamo giusto segnalare ma, ora vogliamo parlare anche degli aspetti più belli del rapporto tra fratelli e sorelle vedenti e non vedenti.
Ci piace riferire del ragazzo cieco che considera un “eroe” il fratello maggiore, della complicità che si crea tra fratelli, della profondità di valori che scaturiscono in questi rapporti, del senso di protezione del fratello maggiore per la sorellina non vedente, della sana conflittualità che fa crescere.
Ci piace riferire di genitori che sono consapevoli della necessità di trovare spazi per momenti comuni e spazi per coltivare un rapporto diretto sia con il figlio disabile sia con il figlio normodotato; genitori in grado di fare, a volte, un passo indietro lasciando che i propri figli si relazionino direttamente fra di loro.
Vai alla Presentazione di Fernando Torrente
Vai all'Introduzione di Roberta Caldin
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