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Introduzione

     Vengono presentati in questo spazio, dei materiali “preziosi”.

Sono gli scritti che i genitori che afferiscono all’Istituto “F. Cavazza” hanno fatto nascere dalle riflessioni e dalle discussioni che abbiamo sviluppato insieme per alcuni anni. Sono “preziosi” perché hanno aumentato il patrimonio di conoscenze e di competenze di ciascuno e, nel contempo, hanno assicurato la co-costruzione di un sapere comunitario che ci ha fatto co-evolvere come “comunità di apprendimento”: per essere chiari, siamo diventati “più grandi” singolarmente e collettivamente.    

Sono materiali “delicati”, perché scavano nei vissuti, nelle percezioni, nei sentimenti di ciascuno e del gruppo stesso e, nel contempo, scrutano le dimensioni esistenziali di coloro che, a casa, circondano il nostro mondo: i/le nostri/e figli/e, i/le nostri/e partners,  la nostra famiglia allargata, i nostri conoscenti, gli insegnanti e il mondo della scuola. 

L’attenzione e l’impegno che abbiamo messo nell’affrontare questioni difficili e spinose ci hanno insegnato il rispetto per la “narrazione” di ciascuno e ci hanno portato ad “apprendere” da ciascuno e dal gruppo intero.

Ecco: in questi materiali non c’è solo la socializzazione delle esperienze e delle narrazioni, ma c’è la prospettiva dell’imparare insieme. E questo vale non solo per i genitori che compongono il gruppo, ma soprattutto per coloro che sono ritenuti degli “esperti”.

Infatti, in una prospettiva co-evolutiva di reciprocità, il lavoro con i genitori riguarda l’imparare: noi – indicati come esperti, in realtà, facilitatori - impariamo qualcosa che non possiamo apprendere in nessun altro modo se non nel rapporto diretto con i genitori; alcuni vissuti di fronteggiamento di situazioni complesse, molteplici strategie creative contenitive, alcune dimensioni di sofferenza/lacerazione o di immensa gioia/speranza possono essere percepiti solo dopo aver ascoltato attivamente la voce dei genitori e aver camminato, a lungo, assieme a loro.        

Ed è grazie al lavoro con i genitori che noi, facilitatori/esperti, possiamo imparare e/a cambiare.         

Noi cresciamo con coloro che incontriamo nel lavoro educativo, accompagnandoli e facendo-ci accompagnare, con vicinanza e rispetto, per scoprire che insieme possiamo migliorare ed evolvere e che ciascuno, in questo percorso, può dare e ricevere sollecitando alla complementarietà delle dinamiche relazionali, alla sperimentazione di nuovi compiti evolutivi.

Si tratta di dimensioni della cura educativa che superano le coordinate spazio-temporali nell’accoglienza e apertura all’altro, che recuperano le direzioni di crescita comune, nelle quali costruire  spazi co-evolutivi che trasformino i limiti in soglie, i vincoli in risorse, le disabilità in potenzialità e aperture nelle quali narrare e ascoltare le storie di vita di ciascuno e, da queste, imparare.

Pensare all’accoglienza/accompagnamento dei genitori – anche tra genitori - significa muoversi con rispetto, nella direzione dell'interesse per l'altro, senza invasioni gratuite, anche quando si tratta di accedere al dolore altrui. Anche questo apprendimento, che può partire da un limite – un deficit fisico sperimentato sulla propria pelle o su quella del figlio, che viene comunicato ad altri, che apprendono - può divenire altro, può divenire una soglia che apre a nuove opportunità, che lascia presagire scenari non prefigurati, aggiungendo a questo lavoro intimistico, circoscritto, una dimensione politica, che esige un intervento sul singolo e sul contesto, nel quale anche il contesto impara e diviene competente.       

Dobbiamo imparare ad apprendere da chi si rivolge a noi “esperti”, trasformando i limiti in soglie: scrive Canevaro che bisogna essere molto competenti per chiedere aiuto a chi si presenta come bisognoso di aiuto e per farci indicare da lui qual è la strada per arrivare a leggere bene, con lui, il suo bisogno; e per scoprire, anche, i bisogni della nostra professionalità, i limiti e le soglie del nostro pensare, del nostro sapere, del nostro agire.

Il compito principale dell’incontro con i genitori, da parte del facilitatore/esperto, sta nel riportare a dimensioni ampie l’attenzione per i figli disabili, ricordando che essi sono, innanzitutto, figli, sostenendo un cambiamento dell'organizzazione familiare, affinché la variabile disabilità non sia l’unico colore della vita.

La responsabilità nell’incontro e nella risposta che offriamo – nell’intervento educativo - si fonda e si rinnova del pensiero e dell'azione dell’altro che incontriamo, il quale attribuisce senso a ciò che fa e a ciò che ha: da questo noi possiamo apprendere anche il senso del nostro lavoro che si situa nella prossimità con l’altro, senza pre-giudizio.

Scrive Vito Mancuso  - che, come genitore, ha conosciuto le situazioni di disabilità -   citando la lettera di una madre e della figlia disabile che necessita di cure costanti: “E' il legame testimoniato dalla lettera di questa madre, un legame più forte della natura, a fare di sua figlia un essere umano con la stessa dignità ontologica di chiunque altro. Non sono le capacità della figlia, ma ciò che la madre vive per lei. […] E' l'amore dei genitori a costituire il fondamento della pari dignità ontologica: […] l'amore dei genitori, che è un elemento innegabilmente soggettivo, è altresì massimamente riconosciuto e accettato da tutti, è un argomento sentito come indiscutibilmente umano, sorgivamente umano, negare il quale significherebbe negare quella dimensione difficilmente definibile ma profondamente reale che è la stessa che ci spinge all'amicizia, al sentimento, all'esperienza estetica, a tutto ciò che costituisce quanto chiamiamo mondo dell'uomo”[1]

E’ il ruolo educativo genitoriale, dunque, che può direzionare la riflessione e l’agire dei professionisti, attraversando quella delega paradossale che esige che coloro che necessitano dell'intervento educativo debbano poi essere restituiti a se stessi e ai loro figli.  

Sono molto riconoscente ai genitori dell’Istituto “F. Cavazza” che ho incontrato nel mio cammino professionale ed esistenziale: la loro vicinanza, l’entusiasmo, la passione, l’intensa competenza parentale mi hanno insegnato molto più di tanti “perfetti” libri di pedagogia: è solo grazie alla loro tenacia e determinazione che possiamo leggere, qui, le straordinarie pagine che oggi vengono presentate e che speriamo di veder presto anche pubblicate.

A tutte le mamme e i papà incontrate/i negli spazi dell’Istituto “F.Cavazza”, condividendo anche qualche buon dolce e qualche ottima pizzetta, il mio grazie più sincero e affettuoso: non abbiamo concluso un  percorso, ma aperto nuove strade da esplorare.

Ed è all’inizio di questi inediti sentieri che ci incontreremo nuovamente.

Roberta Caldin

Roberta Caldin – Docente di Pedagogia Speciale – Vicepresidente della Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione – Direttore del Master in “Didattica e Psicopedagogia dei Disturbi Specifici di Apprendimento” – Dipartimento di “Scienze dell’Educazione” – Università di Bologna   roberta.caldin@unibo.it

Bologna, 15 giugno 2013


Nota 1 Mancuso V., Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio, Mondadori, Milano, 2008, pp. 23-24



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