La poetica della transitorietà

di Loretta Secchi

La via dell’impermanenza nella poetica del mondo fluttuante.


Da sei anni il Museo tattile Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza collabora con il Centro di ricerca National Institute of Special Education (NISE) di Yokosuka, in Giappone, per uno studio sulle modalità di traduzione tridimensionale della pittura nipponica, a partire dall’interpretazione plastica della stampa giapponese del XVIII e XIX secolo che, nota in Europa anche grazie al successo avuto presso i grandi maestri dell’Impressionismo francese, affascina da sempre per grazia, lievità e profondità di pensiero. Grazie a questa ricerca congiunta, di recente il Museo Tattile ha progettato e realizzato le traduzioni tridimensionali, di cui in seguito ha acquisito copia, della celebre stampa nota al pubblico con il titolo di “Grande Onda”, opera di Katsushika Hokusai e dell’altra stampa policroma intitolata “Okita”, opera di Kitagawa Utamaro, altrettanto significativa del genere Ukiyo-e, che tradotto significa rappresentazione del mondo fluttuante. Questa dimensione estetica ha toccato profondamente l’Occidente, per quell’idea orientale di transitorietà, affine anche alla nostra cultura, in cui si profila il presagio, comune all’umano, dell’inesorabile impermanenza delle cose. La poetica della transitorietà si diffuse in Giappone nel tardo periodo Edo, in un clima di rilettura culturale di antichi principi filosofici e mistici, e portò l’Ottocento nipponico a reinterpretare i fondamenti filosofici buddisti del Mondo fluttuante. Il genere Ukiyo-e fece la sua comparsa nella stampa giapponese già verso la fine del Seicento, ma il vocabolo ha origini molto antiche: inizialmente implicava una significazione buddista negativa, secondo la quale la vita (yo) sulla terra sarebbe tediosa (uki) e soprattutto transitoria, impermanente e destabilizzante in tutti i suoi aspetti fisici, in contrasto con la via della salvezza, possibile solo in un percorso interiore teso alla liberazione dal desiderio del piacere fine a se stesso. Questa visione austera si addolcì progressivamente in un’epoca più permissiva, estetizzante e per alcuni aspetti edonistica, quale fu l’epoca Edo (1615-1867). Il vocabolo uki venne indicato da un differente ideogramma di origine cinese, a rappresentare il significato di “fluttuante”. Con questa nuova significazione Ukiyo divenne un’esortazione a vivere, quindi ad assaporare il più possibile l’esistenza nella sua transitorietà, immergendosi gioiosamente nel suo flusso per accettarne consapevolmente l’instabilità. La celebrazione dell’esperienza del piacere, mai privata di un’etica in cui forma e sostanza tendono a corrispondere, è però un’inevitabile presa di coscienza della finitezza umana e malgrado non si veni solo di malinconia, ha in sé la delicata poesia e la lieve tristezza dell’inizio e della fine delle cose. Anche per questo l’Ukiyo-e, composto da tre grandi categorie - il paesaggio inteso come trascrizione dell’universalitàdella natura, il mondo della bellezza

femminile (bijin-ga) e la appresentazione degli attori del teatro Kabuki, divenne una forma interiorizzata dagli artisti, favorita dai mecenati e destinata ad un pubblico relativamente vasto, di estrazione borghese, prospero e incline al mondano, ma mai dimentico del sentimento di nostalgia e presagio di fine che accompagna sempre ogni passione.Le due stampe tradotte per il NISE sono due capolavori nel loro genere: la prima è comunemente chiamata “Grande Onda”, ma il titolo originario, Kanagawa oki nami ura, tradotto significa Dietro le onde sul mare di Kanagawa. In questa opera il M.onte Fuji compare sullo sfondo, visto dal largo della costa di Kanagawa, essendo una rappresentazione della montagna sacra, venerata in Giappone, tratta dal ciclo di Trentasei vedute del Monte Fuji, mentre nei primi piani si erge la grande onda anomala verso la quale, inesorabilmente, sono attirate tre imbarcazioni. La seconda stampa, “Okita”, rappresenta una fanciulla vista di tre quarti, con la delicata nuca scoperta, mentre si guarda in uno specchio ovale che ne riflette il bellissimo volto. La grafica rientra nella categoria bijinga ed è opera mirabile del principale artista dedito alle raffigurazioni di Beltà femminili, Kitagawa Utamaro. Si tratta di ritratti dai lineamenti standardizzati, poiché ricondotti ad una stilizzazione la cui ragione dimora nell’idealizzazione dei valori estetici del femminile. In questo “canone” rientrano principi al contempo di grazia e solennità, sintetizzati nelle rappresentazioni di donne realmente esistite ma sottratte, nella loro bellezza, alla pura contingenza del reale. Infatti sin dai tempi antichi, in Giappone non si affermò alcun interesse nell’esprimere specificatamente le diversità individuali dei volti, similmente a ciò che avvenne nella cultura occidentale, per lungo tempo, in età arcaica e medievale. L’Ukiyo-e ha rivestito e tuttora mantiene una funzione storica importante, perché comunica le diverse forme di interiorizzazione ed espressione della finitezza, ma per quanto legato a precise realtà epocali non perde mai l’inclinazione al sogno e alla speranza. La ricerca condotta in questi anni, a fianco di studiosi provenienti da una cultura tanto lontana e tanto profonda come è quella giapponese, ci ha permesso di comprendere le similitudini e le insopprimibili distanze che pure hanno ragione e valore, e che quella cultura ha sottilmente sintetizzato nella poetica dell’Iki, l’arte della misura, della distanza e della vicinanza nell’incontro tra cose e animi, in tutte le estensioni di senso possibili. A questo mondo tanto delicato quanto ferreo è oggi possibile accostarsi anche presso il Museo Tattile “Anteros”, sfiorando al tatto lo specchio di “Okita”, per immergersi nel suo volto riflesso, o saggiando con le dita la forza della “Grande Onda”, metafora di distruzione e costruzione, di natura indomabile, di energia da amare e assecondare nel ritmo interiore della sua potenza.

Foto - La “Grande Onda e Il monte Fuji.” Periodo Edo, 1831. Museo Nazionale di Tokyo

Foto - Fase di realizzazione in creta della traduzione tridimensionale dell’opera

Foto - Copia in gesso esposta presso il Museo Tattile “Anteros” di Bologna

Foto - Allievo non vedente guida la propria insegnante di sostegno nella lettura tattile della “Grande Onda”