L’ hanno Vista Così

Le città raccontano la loro storia attraverso i palazzi, le chiese, i monumenti. Per un osservatore attento, esse sono come un grande libro aperto. Nè mancano i libri che sulle città raccolgono giudizi di personaggi autorevoli che in esse hanno sostato.
Paola Rubbi ha “interrogato” alcuni di questi personaggi che su Bologna e i bolognesi hanno avuto occasione di esprimersi.

Paola Rubbi

Ho parlato di Bologna con amici d’altri tempi. Amo tanto la mia città che, probabilmente, sono portata a sopravalutarne i pregi, a scusarne le debolezze e gli errori, a mitigarne le eventuali colpe. Per questo ho voluto chieder ad autorevoli personaggi del passato che, viaggiando, hanno sostato a Bologna, qualche flash sulla città, sui suoi costumi, sulla sua gente. Sono giudizi firmati che - come un occhio di bue teatrale - illuminano realtà del capoluogo emiliano antiche di secoli, aiutandoci in qualche modo a capire cosa c’è nel nostro DNA di bolognesi.
Quando Michel Eyquem De Montaigne - grande scrittore francese autore della famosissima opera Essais - nel 1580 fu a Bologna, la descrisse così: … è una città tutta adorna di portici belli e larghi e di un grande numero di sontuosi palazzi.
Vi si vive, come a Padova e nelle città attorno, in ottime condizioni; ma questa città è un pò meno pacifica per le antiche divisioni esistenti fra le fazioni, delle quali una propende per i francesi, l’altra per gli spagnoli che vi sono in grande numero. In piazza vi è una bellissima fontana. Noi vedemmo a Bologna una torre quadrata,antica, costruita in guisa da pendere tutta da un lato e da minacciare, ad ogni momento, la rovina. Noi vi vedemmo ancora l’Università (l’Archiginnasio), che è il più bell’edificio che io abbia visto per tale uso.

La Garisenda colpì anche Charles Dickens. Il celebre narratore inglese autore, fra l’altro, di David Copperfield nel 1844 visitò Bologna e scrisse: La città ha un non so che di grave e di dotto, ed è immersa in una penombra così piacevole che basterebbero queste due cose a farcela ricordare fra un gran numero di città, anche se essa non venisse maggiormente impressa, nella memoria del viaggiatore, dalle due torri pendenti di mattoni (ciascuna delle quali è di per sé bastantemente sgraziata, a dir il vero) che sono inclinate per traverso come se si inchinassero rigidamente l’una all’altra, e che terminano in un modo veramente straordinario la prospettiva di alcune delle vie più strette.
Il padre di Goethe (Johann Caspar, che fu consigliere imperiale) durante il suo viaggio in Italia, fermandosi a Bologna, nel 1740, osserva che la città “ tiene il nome della grassa con giustizia, perché si può star a tavola con la bocca ben ingrassata; e di tavole nella mia osteria ve n’erano due, una preparata alla francese o italiana, e l’altra alla tedesca.

Passano i secoli, ma la buona tavola petroniana continua a… lasciare il segno! Nel 1914, lo scrittore e storico tedesco Otto Von Taube annota A Bologna feci la conoscenza delle compagnie dei buongustai (…) parlano, per quanto riesco a capire quando discutono in italiano, solo di tre cose: di buona cucina, delle gioie dell’amore e del piacere della musica (…).
E ora il cibo bolognese. Quale vino può uguagliare il lambrusco, dolce, scuro e spumeggiante? In quanti modi diversi e variati si prepara la pasta a Bologna! Gustavo, assieme alla carne, sottili fette gialle di zucca al forno. Questa era Bologna la grassa.

Stendhal (ossia Henry Bayle celeberrimo romanziere francese autore fra l’altro de Il rosso e il nero) durante il suo soggiorno in Italia nel 1816, annota che Bologna è fra le città quella in cui l’ipocrisia è più difficile (…). La conversazione, la libertà delle opinioni è qui grande, come a Londra; con questa differenza, però, che là il tono è filosofico e pesante, qui spigliato e frizzante. E molte cose dette alla libera a Bologna scandalizzerebbero la buona società di Portland Place.
La mania delle citazioni latine è ancora grande; mentre la lingua non ha passato l’Appennino (…).

Ma c’è qualche altra cosa che colpisce Stendhal: Bologna è una città di 60.000 anime (siamo sempre nel 1816 – 17; NdA), una città di spirito, dove le donne sono prudes, e dove si ride, dato che esse valutano un uomo in meno di tre minuti.
Infatti, le donne parlano con candore dell’amore e del tipo di bellezza che preferiscono (...). Non vi è forse in tutta Bologna una donna di spirito che non abbia amato in un modo originale (…).
A Bologna l’amore e il giuoco sono le passioni alla moda, la musica e la pittura uno svago; la politica, sotto Napoleone, l’ambizione, un rifugio per gli amanti sfortunati (…).
Ho trovato fra le donne di Bologna due o tre tipi di bellezza e di talento di cui non avevo idea.

Insomma, anche per il grande scrittore francese, come per i goliardi del XX secolo: Viva Bologna città delle belle donne!