Impianto di lipociti
nella retinite pigmentosa

Le basi fisiopatologiche della riabilitazione visiva

Renato Meduri

Direttore della Cattedra di Ottica Fisiopatologica Università degli Studi di Bologna

Per la cura della retinite pigmentosa si è ricorso, fino ad un recente passato, a numerosi tentativi terapeutici, includenti mezzi sia medici (somministrazione di vasodilatatori, anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, emoreologici, ossigeno iperbarico, ozono, vitamine, minerali, ormoni, L-dopa, agopuntura, ultrasuoni, elettrostimolazione, ecc.), sia chirurgici (impianto sottosclerale di tessuti placentari, di parti di muscoli extraoculari, ecc.), per la maggior parte tesi a migliorare l’apporto ematico e il metabolismo retinici: nessuno si è però rivelato di efficacia consistente.
Risultati molto diversi sono stati ottenuti dall’oftalmologo cubano Palaez che, con l’intento di migliorare l’apporto ematico corioretinico, ha eseguito l’intervento di impianto sottosclerale di lipociti orbitar peduncolati su circa 1600 occhi con RP dal 1993 ad oggi, ottenendo stabilizzazione della malattia nel 70% dei casi, ampliamento del campo visivo nel 25% e assenza di effetti apprezzabili nel 5%: tale successo può essere probabilmente spiegato con le considerazioni che seguiranno.
Essendo la RP una malattia genetica, la terapia ideale consisterebbe nella sostituzione del gene alterato con quello normale, ma tale soluzione risulta ancora irrealizzabile; allo stato attuale è però possibile condizionare i programmi cellulari genetici a mezzo di fattori esogeni: i fattori di crescita.
Il fattore di crescita fibroblastico (FGF) è stato scoperto, come si intuisce dal nome, per la capacità di indurre la proliferazione di cellule fibroblastiche. Dalla prima purificazione della molecola da tessuto cerebrale bovino, si osservò che vi erano due tipi di FGF, molto simili nelle proprietà biochimiche e biologiche: FGF basico e FGF acidico.
Entrambi gli FGF sono potenti induttori della sintesi di DNA, inoltre, si è dimostrato, in vitro, che l’effetto mitogeno di tali molecole su normali cellule diploidi di mammiferi ritarda significativamente la loro senescenza.
L’espressione di FGF basico è molto ampia e riguarda sia cellule di tessuti adulti che fetali, nonché linee cellulari tumorali. Più precisamente influenza la proliferazione della maggior parte di cellule di derivazione mesodermica e neuro-ectodermica.
Al contrario l’espressione di FGF acidico è ristretta a cellule del sistema nervoso centrale e periferico e a cellule endoteliali.
Ulteriori studi hanno messo in evidenza l’attività neurotrofica di tali fattori (una proteina è considerata neurotrofica qualora permetta la sopravvivenza di cellule nervose in coltura).
Una caratteristica fondamentale che interessa entrambe le forme di FGF è l’assoluta mancanza del caratteristico segnale secretorio nella porzione aminoterminale della catena amino-acidica. Tali molecole infatti non sarebbero secrete in condizioni normali ma verrebbero rilasciate in condizioni di danno cellulare.
Per quanto concerne l’occhio, il fattore di crescita fibroblastico basico esplica effetto di sopravvivenza per i fibroblasti, i fotorecettori (in particolare i bastoncelli), le cellule bipolari, le cellule amacrine, le gliali di Mueller e gli astrociti.
Nella retinite pigmentosa del topo è stata dimostrata una carenza numerica dei recettori di bFGF nelle cellule dell’epitelio pigmentato. In questo modello l’iniezione intravitreale di bFGF ritarda o previene la degenerazione dei fotorecettori. Lo stesso effetto del bFGF è stato osservato in ratti transgenici con mutazione del gene della rodopsina, responsabile del 25-30% dei casi di RP nell’uomo.
Il bFGF possiede però un’azione limitata nello spazio e nel tempo, cosicché una reale efficacia del trattamento può essere ottenuta solo con una somministrazione topica continua.
Secondo tali presupposti, l’impianto di un peduncolo vascolarizzato di lipociti orbitari nel piano sottosclerale trova giustificazione nella considerazione che detti lipociti, soprattutto quando posti in ambiente eterotopico, liberano bFGF in maniera continuata o comunque correlata al deficit metabolico tissutale.

Tecnica chirurgica
Adottiamo la tecnica di Palaez con lievi modifiche concernenti l’ampiezza dello sportello sclerale e soprattutto una più completa rimozione delle fibre sclerali profonde.
1. Incisione della congiuntiva per 9 mm sul quadrante temporale inferiore. Si identifica e apre la capsula di Tenone, quindi si scolla il suo foglietto viscerale rendendo reale lo spazio soprasclerotico. Evidenziati i muscoli retti esterno ed inferiore, si passa al di sotto di questi un filo di seta di 3 – 0 per trazione.
2. Sclerotomia. Localizzata l’inserzione del muscolo obliquo inferiore, l’emergenza dei vasi vorticosi e il tessuto adiposo vascolare orbitario sottostante al piccolo obliquo, si realizza uno sportello sclerale tra i muscoli retti (esterno ed inferiore), 3 mm dietro alla loro inserzione sclerale. La sclerotomia avrà un’estensione di 6x6 mm. La sclera è incisa a tutto spessore così da visualizzare la colorazione scura della coroide e della lamina fusca. È importante che la superficie esterna coroidale sia libera da tralci sclerali.
3. Peduncolo adiposo. Si isola dal grasso orbitario che emerge di norma al di sotto del ventre del muscolo obliquo inferiore, un peduncolo adiposo vascolarizzato di grandezza tale da permettere una completa copertura della superficie uveale esposta. È importante che la vascolarizzazione del lembo sia ampiamente rappresentata e che il peduncolo stesso sia sufficientemente lungo da non creare trazione.
Si sutura il portello sclerale con Vicryl 7/0, avendo cura che i fili di sutura ancorino il lembo fibro-adiposo. Al fine di evitare compressione del peduncolo, è opportuno creare nel punto del suo ingresso sotto il portello sclerale un ostio che lo contenga.
Si sutura quindi l’incisione congiuntivale.

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