reclusi
Rifugiati nella Rete, anche l?Italia ha i suoi hikikomori
Donato Taddei in privato, 13\04\2015, h. 14.17.

Tratto dallo speciale domenicale de l'inkiesta.it dedicato alla rete e alle sue problematiche.
linkiesta.moxiemail.net/nl/z5scss/wascx0?_t=4b5a562e
In Giappone sono più di un milione. In Italia si parla di 240mila under 16, e sono in continuo 
aumento
Lidia Baratta
Controllare il profilo Facebook in piena notte, rinunciare a un aperitivo per restare a chattare. 
Anche Internet, come l?alcol o la droga, può creare dipendenza. Le uscite fuori casa diminuiscono 
fino a sparire, le ore davanti a uno schermo aumentano. In Giappone, dove ne hanno contati più di 
un milione, gli adolescenti ritirati sociali che sostituiscono i rapporti diretti con quelli 
mediati da Internet si chiamano ?hikikomori?. Da noi dati certi non ne esistono. Le ultime 
rilevazioni parlano di 240mila under 16, ma gli esperti dicono che anche in Italia gli autoreclusi 
dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento.
La finestra di una chat è molto più sicura e controllabile di un bar in centro all?ora 
dell?aperitivo. Puoi decidere quando aprirla, selezionare cosa mostrare di te ed essere brillante 
al momento giusto, senza essere colto impreparato. La casa diventa un bunker. E il computer 
connesso è l?unica porta verso il mondo esterno per comunicare senza esporsi troppo.
«Stiamo registrando una crescita delle persone che si rivolgono a noi», spiega Valentina Di 
Liberto, sociologa e presidente della Cooperativa Hikikomori di Milano. «Soprattutto perché c?è una 
maggiore consapevolezza delle dipendenze da Internet, in particolar modo da parte degli insegnanti».
L?autoreclusione parte dalla scuola, vissuta spesso come un allontanamento forzato dal mondo del 
Web. Suonata la campanella, non c?è altra attività che il ritiro in camera davanti a uno schermo. 
«Prima ci si ritira dalla scuola, poi dalla scena sociale», spiega Matteo Lancini, psicologo e 
psicoterapeuta presidente della cooperativa sociale Minotauro, specializzata nei disturbi 
adolescenziali. Anche qui, negli ultimi anni, le cure di adolescenti ritirati sociali e dipendenti 
dalla Rete sono in continuo aumento. «Di solito l?abbandono scolastico avviene nel biennio delle 
superiori, ma negli ultimi tempi viene anticipato anche alle medie», precisa Lancini. Si comincia 
con mal di pancia e mal di testa, per poi scoprire che sono solo sintomi fisici per sfuggire da un 
ambiente scolastico vissuto come un incubo. E in Italia il tasso di abbandono scolastico è ben 
sopra la media europea: tra il 2011 e il 2014, 167mila ragazzi hanno rinunciato al diploma.
Ritiro sociale e dipendenza da Internet sono spesso interconnessi e si sostengono reciprocamente. 
Dove sorge la dipendenza, aumenta il ritiro sociale. Ddove c?è il ritiro sociale, aumenta l?uso 
della Rete come valvola di sfogo. Anche se, come Lancini precisa nel suo libro Adolescenti 
Navigati, «non tutti i ritirati sociali riescono ad accedere alle esperienze offerte dalla rete».
Un campanello d?allarme è il restare connessi in Rete durante la notte. «Questi ragazzi», spiega 
Valentina Di Liberto, «spesso invertono il ritmo circadiano, restando svegli la notte e dormendo il 
giorno, cominciando via via a evitare le relazioni reali, lo sport o altre attività all?aperto». 
Reclusi nelle loro stanze, frequentano il resto della casa quando tutti dormono. Per procurarsi del 
cibo, o solo delle sigarette. Poi tornano nell?incubatrice virtuale, dove tutto è più semplice e 
confortevole. «Non c?è un confronto diretto, non c?è un impatto emotivo né i giudizi, spesso 
spietati, dei compagni di classe», spiega Di Liberto. Tutto in Rete sembra sotto controllo. «Ci si 
può scollegare quando si vuole, decidere con chi connettersi, gestire la comunicazione. C?è una 
forte sensazione di controllo che non c?è invece nella vita reale».
Le modalità di dipendenza dalla Rete sono diverse, in realtà. C?è chi mantiene le relazioni solo 
online, chi usa i videogiochi senza alcun contatto, chi naviga solitario alla ricerca di 
informazioni. Qualcuno degli hikikomori, raccontano gli esperti, arriva a rispondere solo se viene 
chiamato con il nickname che usa in Rete e non con il vero nome. C?è chi si rinchiude per mesi, chi 
per anni.
Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare il disturbo di Hikikomori, evidenziando 
anche alcune analogie tra i ragazzi giapponesi e i cosiddetti ?mammoni italiani?. «Una delle 
caratteristiche degli hikikomori è lo stretto rapporto con una madre iperprotettiva», spiega 
Valentina Di Liberto. L?iperprotezione può rendere il figlio narcisista e fragile allo stesso 
tempo. Se la realtà non coincide con la sua idea di perfezione, c?è il rischio del rifiuto e del 
ritiro.
Spesso si parte da una sensazione di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo, che porta anche 
a creare identità diverse da se stessi in Rete. «Su Internet si diventa aggressivi o trasgressivi, 
al contrario di quello che si è nella realtà», racconta Valentina Di Liberto, «incanalando le 
emozioni represse che non si usano nella vita reale. Si costruiscono personaggi che hanno anche 
connotati fisici diversi da quelli della realtà».Ragazzi tanto silenziosi nel mondo reale, quanto 
disinibiti in quello virtuale. Come Lucia, 13 anni, che viene scoperta dalla nonna davanti al suo 
portatile mentre fotografa e posta in Rete l?unica parte secondo lei accettabile del suo corpo. O 
come Stefano, pacato e timido dal vivo, che diventa violento quando entra nel personaggio di un 
videogioco.
Ma se la Rete «diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare», spiega Lancini nel suo libro, 
«significa innanzitutto che l?adolescente sta cercando di non cedere a un dolore che, per qualità e 
intensità potrebbe risultare inaccessibile». E in questo caso, rispetto a chi si aliena anche dalla 
Rete, Internet è un?àncora di salvezza. La Rete non è la causa del ritiro dalla realtà, ma un 
tentativo estremo di restare agganciati al mondo esterno, dice Lancini. Non a caso, c?è chi, 
navigatore solitario senza contatti, comincia a guarire proprio aprendo un profilo su Facebook.«I 
rischi più grandi da cui si salva un ragazzo immerso nella Rete e ritirato socialmente possono 
essere dunque il suicidio e il break down psicotico, ovvero la perdita della speranza di riuscire a 
costruirsi un?identità e un ruolo sociale presentabili al mondo esterno».
E spesso proprio dalla Rete comincia la cura per i ritirati sociali. Che per definizione non 
vogliono incontrare nessuno, tantomeno uno psicologo stipendiato dai genitori. Non esiste un 
approccio univoco. Alla cooperativa Hikikomori di Milano si fanno sedute di psicoterapia 
individuale o di gruppo. E il Comune ha finanziato anche un laboratorio di consulenza gratuita per 
la dipendenza da internet e dai videogiochi. Anche la cooperativa Minotauro ha un consultorio 
gratuito per chi non può permettersi sedute di psicoterapia per i propri figli adolescenti in 
crisi.La dipendenza da internet, spiega Lancini, non viene trattata con un approccio di 
disintossicazione, sottraendo smartphone, router e pc. Si parte spesso dai genitori, per arrivare 
ai figli anche dopo molti mesi. E il primo contatto, anche con lo psicologo, molto spesso avviene 
in chat.
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