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Quel santo benemerito di Steve Jobs
Art. commentato di Francesco Melis su uictech, 02\12\2014, h. 12.37.

Quel Santo Benemerito di Steve Jobs...
Gli altarini di Apple cominciano a scoprirsi anche nelle aule dei
tribunali e non solo...
Gli adoratori di Steve Jobs ed Apple comunque potranno fare qualcosa:
anch'essi avranno la possibilità di contribuire a pagare le multe
miliardarie che i tribunali stanno irrogando ad Apple, (per esempio
sotto forma di aumento sostanziale del prezzo del prossimo iPhone, che
al momento è veramente irrisorio).
Se qualcuno degli adoratori di Steve Jobs ed Apple, inoltre, avesse
delle prove che non è vero niente quello che si dice nell'articolo, per
il bene di Apple, farebbe bene a comunicarlo subito ai magistrati che la
stanno inquisendo.
F.

Da "Repubblica" del 2 dicembre 2014
www.repubblica.it/tecnologia/2014/12/02/news/jobs_i_l_genio_della_apple_tradito_dalle_sue_email-101909406/?ref=HRER2-2

Jobs, il genio della Apple tradito dalle sue email
A tre anni dalla morte, le cause contro Cupertino ruotano attorno al
fondatore. Nelle sue parole la prova della guerra agli avversari senza
esclusione di colpi.
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

NEW YORK - E' l'arcangelo Lucifero della Rete, il personaggio più
ammirato, emulato, venerato nella Silicon Valley. Ma anche il
protagonista di una caduta agli inferi. Dalla sua morte in poi, il
revisionismo storico su Steve Jobs avanza implacabile. Vi ha contribuito
lui stesso autorizzando il proprio biografo ufficiale Walter Isaacson a
scavare nel lato oscuro della sua personalità: per esempio il tardivo
riconoscimento della figlia naturale, dopo un lungo e indegno rifiuto. A
Broadway è andata perfino in scena un'opera di teatro-denuncia, sullo
schiavismo degli operai cinesi della Foxxcon, la fabbrica degli orrori
dove si assemblano iPhone e iPad, che Jobs si rifiutò sempre di
visitare. Ora l'opera di demolizione della sua figura prosegue, nei
patri tribunali.
Dove le cause contro Apple continuano a ruotare attorno alla figura del
fondatore, tre anni dopo la sua morte.
"Presente più che mai nelle aule dei tribunali, e non per il bene di
Apple", commenta il New York Times. Una di queste cause, già persa da
Apple, è stata raccontata su Repubblica: il processo per intesa
oligopolistica ai danni dei dipendenti di Jobs. Fu lui a coinvolgere gli
altri Padroni della Rete, a cominciare da Eric Schmidt di Google, in un
patto scellerato di non aggressione: tu non rubi gli ingegneri a me, io
non li rubo a te. Un modo per evitare la competizione per i talenti, e
di conseguenza tenere bassi i loro stipendi (per rubarsi i migliori
ingegni le aziende devono offrire aumenti). Anche in quell'occasione, a
inchiodare Jobs fu lo stesso Jobs. In particolare un'email del 2006 in
cui scriveva a Schmidt: "Mi dicono che la tua divisione di software per
smartphone sta reclutando fra i miei che lavorano nella sezione iPod. Se
è vero, ti chiedo di smetterla". Di lì a poco, alle minacce seguirono le
profferte: ne nacque un patto di non-concorrenza sul mercato del lavoro
che fu esteso ad altri giganti dell'economia digitale. Questa vicenda
avrà un ulteriore rimbalzo giudiziario in aprile: i risarcimenti già
concordati fra Apple e i legali di migliaia di ingegneri sono stati
giudicati non abbastanza punitivi dal tribunale di San Jose, California,
che quindi li ha annullati.
Ora si apre un nuovo processo, che ha inizio oggi a Oakland (sulla riva
orientale della Baia di San Francisco). Stavolta al centro
dell'attenzione c'è l'iPod, nelle prime versioni. Anche quell'oggetto,
come molti prodotti lanciati da Jobs, fu veramente geniale. Esistevano
già prima gli apparecchi per scaricare musica e ascoltarla, gli
apparecchi mp3 che comprimono la musica in formato digitale. Ma l'i-Pod
fu una rivoluzione, anzitutto estetica: come in altri campi, Jobs ebbe
l'intuizione che le tecnologie potevano diventare oggetti di culto.
L'altra innovazione decisiva fu l'abbinamento dell'iPod con iTunes, il
gigantesco negozio digitale per comprare musica, poi anche audiolibri,
libri, film. E la semplicità dell'acquisto, coi micro- pagamenti da 99
centesimi a brano. Ma proprio in quell'abbinamento si celava un sopruso.
Le prime generazioni di iPod impedivano di accedere ad altri negozi
digitali. Apple ti impediva di fare la spesa altrove. Questa dei
"sistemi chiusi" fu un'ossessione di Jobs a lungo. Nel caso specifico,
un'ossessione perseguibile come reato: ai sensi della legge antitrust. E
ancora una volta è lo stesso Jobs ad avere disseminato le prove di reato.
Sempre sotto forma di email: che mandava ai suoi collaboratori,
intimandoli di "garantire che, quando Music Match (un concorrente di
iTunes) lancia il suo negozio online, non sia accessibile dall'iPod".
C'è un terzo caso, anche quello finito in tribunale. Si tratta
dell'intesa oligopolistica fra Apple e i maggiori editori americani,
condannati per avere manipolato i prezzi dei libri al rialzo,
danneggiando i consumatori. È ancora una frase di Jobs la prova del
reato: "Sì, il cliente pagherà di più, ma è proprio quello che vogliamo
". In quest'ultimo caso, Jobs non solo pronunciò l'affermazione
galeotta, ma fu lui a citarla nelle lunghe interviste concesse a
Isaacson per la biografia autorizzata. A conferma che Jobs, oltre a
essere un genio, aveva un ego smisurato: sprovvisto di sensi di colpa e
anche di senso del pericolo. Non si rendeva conto che leggi e regole,
prima o poi, potevano applicarsi anche a lui.
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