DIDATTICA

Genesi e struttura delle forme tattili

L'attività percettiva è governata da leggi che sono specifiche per ogni organo di senso. L'individuo, nell'esplorazione della realtà circostante, fonde dati percettivi provenienti dalla funzione ottica con quelli provenienti dalla funzione aptica, poiché entrambi sono necessari per una percezione, il più completa ed esatta possibile, del mondo vicino e lontano. Molti sono gli studiosi che hanno affrontato il problema del rapporto tra i vari campi percettivi e le loro leggi; alcuni sono del parere che l'ottica, in forza del suo carattere di globalità e di ampiezza spaziale di percezione, sia superiore dell'aptica che presenta proprio i caratteri contrari; cioè la frammentarietà e la ristrettezza di orizzonte. Ammessa perciò la superiorità dell'ottica sull'aptica, è facile affermare che le leggi dell'una governano anche il mondo dell'altra. In tal modo si viene ad escludere che l'aptica abbia una sua autonomia rispetto al senso della vista.

Una delle cause che porta ad asserire ciò, è la presenza di modelli verbali comuni a più campi percettivi; questo verrebbe a comprovare una certa interdipendenza tra di essi. Anche il Révész ha trattato questo argomento e, a suo avviso, il mondo aptico è assolutamente indipendente dagli altri, come pure gli altri tra di loro; sia nelle leggi che nei principi che le governano. Ciò non toglie che in due o più funzioni sensoriali diverse, si possano avere alcune leggi simili, ma questo non è sufficiente per ammetterne la complementarietà.

Qualsiasi tipo di percezione sensoriale è in rapporto con lo spazio circostante. La percezione dello spazio visivo è profondamente diversa da quella dello spazio aptico. Lo spazio visivo è, per il soggetto fermo in un punto, pieno di immagini; nella stessa situazione, lo spazio puramente aptico è vuoto. Infatti, in posizione di assoluta immobilità, magari prolungata nel tempo, lo spazio diviene pressoché impercettibile.

In questa situazione, non si ha quasi la sensazione di sè e di fuori di sè. Qualora il corpo si metta in movimento, si ha la percezione di una massa di spazio che non è ancora strutturata, ma che comincia a differenziarsi dal corpo stesso, di cui il soggetto prende coscienza, attraverso la percezione di uno spazio al di fuori di sè. Si viene a determinare, così, la percezione dell'io corporeo.

Ma solo quando il soggetto prende in mano un oggetto, percepisce sè come essere in contrapposizione ad esso. Lo spazio attorno a lui e all'oggetto si può suddividere in spazio vicino e lontano, ma mentre la percezione dello spazio vicino è possibile a tutti, vedenti e non, quella dello spazio lontano si manifesta prevalentemente nei vedenti e nei ciechi divenuti tali a tarda età; questi, attraverso la visualizzazione interiore, suppliscono alla mancanza del dato percettivo visivo immediato. In tal modo, però, non si ha la percezione dello spazio aptico, ma la trasposizione dello spazio visivo su quello aptico.

 

Esame dei principi dell'aptomorfica

Ciò che si presenta all'organo sensoriale visivo e a quello tattile è lo stesso insieme di oggetti, che però vengono percepiti attraverso un procedimento completamente opposto, poiché, mentre la percezione visiva è immediata, globale e solo in un secondo tempo, eventualmente, per l'esame approfondito di qualche particolare, può soffermarsi analiticamente sulle singole parti componenti la struttura, la percezione aptica si sviluppa partendo dall'analisi delle strutture delle singole parti per risalire poi, attraverso un'attività di sintesi, alla struttura unitaria dell'oggetto.

Nella percezione aptica, quindi, si ha una elaborazione cosciente degli elementi semplici percepiti, sommandoli tra di loro per ottenere un tutto strutturale. Nella percezione ottica, invece, si ha un'entità di forma immediata, senza bisogno di strutturazione cosciente. Perciò, il senso visivo è volto prevalentemente alla percezione delle forme, mentre quello aptico al riconoscimento della struttura degli oggetti.

La percezione aptica e l'identificazione delle forme sono regolate da alcuni principi. Prendendo contatto con un oggetto, in assenza della vista, la mano non si limiterà a toccarlo, ma cercherà di apprendere la maggior quantità possibile di dati per la conoscenza dello stesso. Questo attuerà, secondo Révész, il principio "stereoplastico" che consiste appunto nel movimento di afferrare e chiudere nella mano che esamina, l'oggetto stesso. Così facendo il soggetto apprende una serie di dati riguardanti la materialità dell'oggetto, come volume, durezza e l'impressione plastica di resistenza, tralasciando, per il momento, il problema della forma.

Lo studio primario dell'aspetto plastico dell'oggetto è di fondamentale importanza nel campo dell'aptica, ma lo è molto meno in quello visivo, dove solo raramente, e per casi particolari, si ricorre a questo mezzo di esplorazione. Ma per avere un'idea esatta della forma di un qualunque oggetto attraverso la funzione aptica, è necessario esaminarlo tramite una serie di atti tattili successivi, indirizzati alle singole parti.

Questa attività non viene svolta da tutta la mano, ma solo da una piccola parte di essa, che consiste nelle due dita: pollice e indice. Queste sono particolarmente sensibilizzate alla percezione e all'analisi formale. La coordinazione degli elementi e la connessione delle forme sono il frutto di un'azione tattile consecutiva necessariamente connessa al principio della progressione. Anche nel processo di riproduzione si può notare come spesso i ciechi seguano un procedimento a fasi successive.

Strettamente legato al principio della percezione successiva, in quanto il più delle volte suo coagente nell'opera di riconoscimento tattile, è il principio cinematico. E' possibile avere qualche volta, percezioni successive, senza movimento dell'organo tattile, in quanto è l'oggetto a muoversi mentre la mano resta ferma, generalmente, però, il movimento è condizione fondamentale perché, dalla serie successiva degli atti tattili, si origini l'idea di forma.

L'attività cinestetica è estremamente importante per un non vedente, in quanto, per mezzo suo, può riconoscere gli oggetti, percepire le forme ed anche orientarsi nello spazio a lui circostante. Dopo che un soggetto ha esaminato un oggetto apticamente, considerando quindi, innanzi tutto, l'aspetto strutturale delle singole parti, è necessario trovare le relazioni tra le varie strutture interne e tra queste e il tutto.

Nella sfera visiva, la percezione delle relazioni spaziali è immediata. In quella aptica ciò non avviene, perché manca la possibilità di una percezione unitaria della forma. Per poter avere, perciò, un'idea delle proporzioni esistenti in un oggetto, tra le varie strutture intermedie, è necessario usare un sistema di comparazione: di misurazione metrica.

Questo è possibile in virtù delle funzioni statiche e dinamiche della mano che si trova così in grado di confrontare non solo quantità spaziali, cosa possibile anche alla funzione visiva, ma anche grandezze.La misurazione delle grandezze avviene attraverso l'attività tattile e cinestetica. Questo è molto importante, in quanto il soggetto che non vede non si limita alla misurazione tattile di più grande o di più piccolo, ma la usa anche per valutare la simmetria, la proporzione e, a volte, per l'identificazione della forma.

Qualcosa di simile alla misurazione metrica del campo aptico avviene, anche se in casi molto particolari, nel campo ottico. In questi casi è l'organo visivo che, attraverso un'attività cinestetica, cerca di stabilire delle comparazioni o di attuare delle misurazioni di grandezze tra gli oggetti osservati. Non sempre si ha un apporto cosciente e volontario del soggetto nella sua presa di contatto con l'oggetto. In questo caso il soggetto assume un atteggiamento ricettivo e le impressioni che si vengono così a formare in lui sono liberamente determinate dall'oggetto stesso.

L'atteggiamento intenzionale, invece, è originato da una partecipazione attiva dell'intelletto e della volontà che agiscono per sostituire all'impressione immediata una approfondita conoscenza strutturale e formale degli oggetti osservati apticamente o visivamente. Questi due atteggiamenti, ricettivo e intenzionale, sono presenti sia nella sfera visiva sia in quella aptica. Ma mentre nella prima le differenze nei risultati ottenuti dai due atteggiamenti sono pressoché inesistenti, nella seconda, attraverso l'atteggiamento ricettivo, si ha lo sviluppo di forme aptiche pure; attraverso l'atteggiamento intenzionale si tende al riconoscimento differenziato e strutturato dell'oggetto.

Lo sviluppo delle impressioni aptiche pure nell'atteggiamento ricettivo è dovuto al fatto che la percezione formale non è condizionata da altre componenti conoscitive, per avere le quali, sarebbe necessario il diretto intervento della volontà. Ciò porterebbe, di conseguenza, ad un'accurata analisi strutturale, trascurando la percezione della forma.

La forma aptica pura può essere globale o frammentaria, schematica o priva di struttura, se si paragona alla percezione visiva. Rimanendo nel campo dell'aptica, tale tipo di percezione formale è la più pertinente all'ambito proprio da cui è originata.

Nell'atteggiamento intenzionale, invece, viene ad assumere un ruolo di primo piano l'analisi strutturale, dando così minor rilievo alla percezione della forma. Perciò, l'atteggiamento ricettivo passivo ha molta importanza nella esplorazione tattile. L'atteggiamento intenzionale mette in risalto un aspetto della conoscenza molto diverso dal precedente, tendendo a dare un'immagine strutturalmente esatta dell'oggetto esaminato.

Ciò avviene attraverso una serie di processi tattili separati, atti a formare un'immagine rispondente all'aspetto reale delle singole parti osservate. In un'azione successiva, si coordineranno, attraverso un atto di sintesi, i vari prodotti di queste analisi parziali, ottenendo così l'idea della forma complessiva dell'oggetto.

Tale elaborazione sintetica è, perciò, molto importante per il non vedente, perché non solo gli permette la conoscenza esatta dei singoli oggetti con cui viene a contatto, ma gli consente anche, allargando il campo dell'azione dall'oggetto singolo allo spazio circostante, di entrare in possesso di una conoscenza approfondita e strutturata dello stesso.

Nella percezione visiva, oggetti dello stesso tipo di forma, ma con differenze nelle proporzioni e nelle grandezze, vengono percepiti come diversi. Nella percezione aptica, si nota una generale tendenza alla semplificazione e schematizzazione della forma presentata. Ciò non toglie che essa possa venire integrata con dettagli atti a favorirne il riconoscimento. Questi non divengono necessariamente parte integrante dell'immagine schematica: molte volte rimangono elementi aptici separati dal resto dell'immagine, come un'entità a parte.

E', perciò, importante, per il Révész, che ha esposto questa teoria sulla semplificazione e schematizzazione delle immagini aptiche nei non vedenti, tener conto di questo processo nell'offrire un oggetto all'esame di un cieco. Si dovrà, perciò, sempre a suo avviso, iniziare da una analisi strutturale con cui mettere, innanzi tutto, in evidenza le forme geometriche semplici che compongono l'oggetto.

Ciò porta alla formazione di immagini tipo semplici, a cui sono riconducibili i vari oggetti osservati. Già in precedenza si è parlato dell'analisi strutturale dell'oggetto come procedimento atto a raggiungere l'identificazione dello stesso. Essa presenta però, un altro aspetto altrettanto importante in quanto favorisce la percezione aptica della forma. Con tale procedimento, infatti, si prendono in considerazione, dapprima, le strutture intermedie componenti l'oggetto, le qualità specifiche dei singoli elementi, i rapporti esistenti tra le varie parti, fino a che l'oggetto o una sua parte, si differenzia strutturalmente.

In genere questa conoscenza approfondita viene preceduta da un'osservazione tattile globale, diretta al riconoscimento dell'oggetto tramite il rinvio all'immagine tipo. Strettamente connessa all'analisi strutturale, ma ugualmente differenziata nel suo processo, è la sintesi costruttiva. Questa è estremamente importante qualora non sia possibile costruire la forma unitaria dell'oggetto attraverso le sole percezioni aptiche. Il processo costruttivo inizia parallelamente all'analisi strutturale. La serie di dati così percepiti viene organizzata e dovrebbe dare, come prodotto conclusivo, la conoscenza della sagoma globale di un oggetto e la conoscenza dettagliata ed esatta della sua struttura, sia nelle varie componenti, sia nel suo complesso. Si dovrebbe così ottenere la schematizzazione unitaria dell'oggetto esaminato.

Questo, secondo Révész, non avviene sempre ma quasi solamente di fronte a forme semplici oppure ben conosciute. A suo avviso, perciò l’assommarsi "di vari elementi concreti e astratti, sensoriali e conoscitivi, non è sufficiente per fonderli in un'unità omogenea". (nota 1)

Egli afferma quindi la quasi totale impossibilità del soggetto non vedente di riconoscere oggetti di forma complessa e la impossibilità assoluta di riconoscere, dall'esame di una sola parte, il tutto.

L'impossibilità da parte del cieco di strutturare concettualmente e comprendere, quindi, nel suo aspetto unitario, una forma complessa è per lui esemplificata dal fatto che la riproduzione completa di un oggetto, da parte di un cieco dalla nascita, non è altro che la ricostruzione delle singole parti che vengono poi unite le une alle altre.

Mediante questo procedimento, però, il soggetto perde completamente di vista il contorno come unità. Da ciò il suddetto autore deduce che la percezione aptica non può offrire niente di più di una impressione unificata della forma, molto approssimativa. Finora si è insistito soprattutto nel sottolineare come, attraverso il senso aptico, si possa giungere al riconoscimento della struttura e si è tralasciato un altro aspetto che, però, ha una sua importanza notevole: la percezione autonoma della forma. Se non si ammettesse questa facoltà nel senso aptico non sarebbe possibile spiegare come i ciechi assoluti dalla nascita o divenuti tali dopo pochi anni di vita siano in grado di riconoscere gli oggetti e di orientarsi nel mondo degli oggetti. Ad essi, infatti, manca completamente la possibilità di immagini visive e quindi di visualizzare l'esperienza tattile.

Questa percezione autonoma della forma riveste un'importanza fondamentale per chi non vede, perché da essa si possono trarre gli unici dati formali che si possano organizzare.

Si vengono così ad avere due percezioni di forma: forma visiva e forma tattile, qualitativamente differenti e governate da leggi diverse e reciprocamente autonome. Ciò non toglie, però, che le leggi della sfera aptica abbiano validità anche al di là della stessa e viceversa. Infatti alcune leggi sono applicabili indifferentemente all'uno o all'altro campo; altre, invece, sono diametralmente opposte. La percezione visiva dà simultaneamente la percezione della forma e, conseguentemente, l'idea di proporzione delle singole parti tra di loro e con il tutto.

Anche nella percezione aptica è possibile avere l'idea delle proporzioni anche se, forse, in maniera un po' più ristretta. Altri, invece, come Friednam, affermano che i ciechi possono prendere coscienza delle proporzioni solo attraverso la misurazione; ma, se così fosse, non ci sarebbe una vera percezione di forma. Naturalmente più l'oggetto aptico è complesso, più la conoscenza tattile delle proporzioni diventa difficile, accentuandosi così la superiorità della sfera visiva su quella aptica. Lo stesso discorso può essere fatto per la percezione della simmetria di un oggetto.

Per quanto riguarda la simmetria nell'aptica essa si riferisce più alle strutture che non alla forma dell'oggetto.

La forma tattile può essere considerata sotto vari aspetti: il primo consiste nella presa di contatto, in assenza di movimento, con l'oggetto. Questa, pur non determinandone la forma in modo chiaro, ne dà un'idea per quanto imprecisa e vaga. L'impressione di forma che si viene così a creare nel soggetto è una forma tattile pura.

Un altro aspetto è costituito dalle forme cinestetiche pure, che esprimono i movimenti spontanei del corpo ed anche quelli volontari, purché non vi si assommino impressioni tattili. Vi è poi il terzo aspetto che dà forme tattili simili a quelle ottenute con un atteggiamento ricettivo, che possono essere considerate le vere e proprie forme aptiche. Esse si ottengono dal movimento della mano sull'oggetto, movimento che deve avere le caratteristiche dell'afferrare. Altra condizione essenziale è che non si verifichi alcuna visualizzazione o astrazione della percezione.

 

Organizzazione del concetto di spazio nel non vedente

Il concetto di spazio è un concetto difficile da determinare per chi è cieco dalla nascita e può, in un certo senso, identificarsi con lo spazio vuoto. Lo spazio, abitualmente, si suddivide in vicino e lontano, statico e dinamico, vuoto e pieno e così via. Lo spazio vicino è quello che circonda il corpo e di cui l'individuo si percepisce, quindi, come centro.

Se l'individuo si muove, lo spazio vicino si amplia notevolmente e da statico diventa dinamico cominciando a caratterizzarsi nel suo contenuto. Tutto questo non dà però ancora al non vedente la possibilità di percepire lo spazio distante. Ciò avverrà solo emettendo una sollecitazione sensoriale localizzabile nello spazio come, ad esempio, quella sonora. Allora avviene la differenziazione tra spazio vicino e spazio distante. Ma la determinazione e la caratterizzazione dello spazio concreto è possibile, per un non vedente, solo attraverso l'esame tattile del mondo degli oggetti.

Avviene così la costruzione di uno spazio aptico che è comunque limitato, in quanto comprende solo la parte che può essere esaminata apticamente. Il cieco, allora, integra la sua cognizione di spazio attraverso astrazioni e contenuti conoscitivi tratti dalla sfera intellettuale. Si viene così a formare una rappresentazione dello spazio estremamente diversa dal concetto visivo. Basta pensare all'assoluta mancanza del concetto di prospettiva, alla mancanza dello sfondo nella collocazione spaziale degli oggetti percepiti apticamente. Ma questo è lo spazio che il non vedente deve imparare a conoscere per potersi muovere in esso autonomamente.

"Nella celebre opera "Le monde des aveugles", il Villey spiega come i ciechi costruiscano per sintesi le immagini spaziali. (...) Il bravo educatore condurrà il bambino cieco a procedere dallo spazio digitale a quello manuale, a quello brachiale, a quello corporeo, fino a fargli comprendere la realtà di uno spazio circostante sempre più ampio. Il tatto, l'udito, la cinestesia, la sensibilità muscolare, quella plantare, la memoria muscolare, la capacità associativa, un'immaginazione correttamente formata e non tale da degenerare nella fantasticheria insieme con mille altri fattori, spesso estremamente individuali, fan sì che lentamente l'idea di estensione si dilati, sempre costruendosi per sintesi induttiva, non mai per analisi deduttiva" (nota 2)

Non si può però pensare di sviluppare nel non vedente la rappresentazione dello spazio avulsa dagli altri fattori di sviluppo. Alla sua formazione concorrono tutti gli elementi della conoscenza. La rappresentazione spaziale non si basa esclusivamente sull’aspetto sensoriale e va perciò inserita e considerata in ogni attività educativa. Essa fa parte della formazione integrale del fanciullo ed è indispensabile, ad esempio, per l’apprendimento della lettura e della scrittura.

Le immagini che il fanciullo andrà via via costituendo nella sua mente per assimilazione ad immagini già note, in un processo che si realizza anche nel piccolo non vedente, come ha bene spiegato Piaget in diverse sue opere, si collocheranno in una forma di spazialità forse diversa da quella del vedente, ma non per questo meno valida ed efficace. Non è importante che l’immagine spaziale sia differente, ma che in essa il bambino possa conquistare l’indipendenza.

 

La percezione visiva e tattile in rapporto allo sviluppo psico-fisico del bambino

L'apporto della vista nello sviluppo fisico e psichico del bambino non è determinante nel primo semestre di vita.

In seguito, però, si renderanno evidenti le conseguenze della minorazione visiva, a cui si deve la mancanza di tutta una serie di stimolazioni fondamentali per la crescita armonica del bambino. Questo periodo è di fondamentale importanza per la sua vita futura in quanto è in esso che egli comincia a prendere coscienza di sè, degli altri e dell'ambiente che lo circonda.

In questa prima fase, infatti, egli gradualmente passa dal sentirsi un tutto con la madre, un naturale prolungamento di lei, al percepire la sua individualità contrapposta a quella degli altri. Anche dell'ambiente che lo circonda prenderà graduale conoscenza esplorando tutto ciò che gli viene offerto o che spontaneamente trova.

La conoscenza e l'esplorazione, da parte del bambino di se stesso è prevalentemente aptica. Il senso del tatto è, infatti, estremamente sviluppato nei primi mesi di vita. Ciò è dimostrato, ad esempio, dal fatto che il bambino, fin verso il quarto mese, riconosce la madre prevalentemente dal tocco delle mani di lei, dal suo contatto aptico con il figlio. Lo straordinario sviluppo del tatto in un bambino appena nato fa anche sì che tutto il suo bisogno affettivo venga soddisfatto tramite il contatto fisico con la persona amata, che per ora è prevalentemente la madre.

Il bambino esplora se stesso e gli oggetti che gli vengono offerti, portando il tutto alla bocca, che non ha solo questa funzione esplorativa, ma che è anche lo strumento con cui esprime e soddisfa il suo bisogno affettivo di contatto umano. Il comportamento aptico non può essere inteso, però, se non in stretto rapporto con l'attività motoria. Infatti, qualora nel bambino non fosse presente alcun atto motorio, non sarebbe possibile avere una percezione aptica dell'ambiente.

Perciò è necessario considerare come sia importante un normale sviluppo del sistema neuro-muscolare e il formarsi, attraverso un'intensa attività cinestetica, di specifiche abilità motorie senza le quali non sarebbe possibile avere neppure un significativo rapporto aptico con l'ambiente. Aprendo e chiudendo le manine per la prima manipolazione degli oggetti, il bambino apprende una serie di dati nei loro riguardi che memorizza e che gli permetteranno in seguito di riconoscerli. Inoltre, questa attività di prensione gli permette anche, attraverso il costante esercizio, di dominare la sua muscolatura e di aumentarne il tono. I suoi movimenti, quindi, che al momento della nascita si presentavano incerti e privi di una direzione ben precisa e di un fine chiaro, si vanno via via determinando ed egli, sempre più padrone di se stesso, diviene in grado di soddisfare i suoi desideri in quanto il suo sistema neuro-muscolare risponde adeguatamente alla sua volontà.

Solo quando comincerà a stare seduto e ad osservare perciò la realtà circostante da una posizione eretta che gli permette di ampliare il suo campo ottico, la funzione visiva comincerà ad avere il sopravvento su quella tattile. Ma per imparare a governare il senso ottico ha ancora bisogno dell'aiuto della sensazione aptica. L'ambiente si è sempre offerto al bambino in una sensazione complessa in cui, fino a cinque mesi, ha avuto il predominio la sensazione aptica, dopo di che ha preso il sopravvento quella visiva. La relazione però sempre esistente tra questi due elementi aiuta il bambino a conoscere sempre meglio la realtà e una più ampia conoscenza di essa è un continuo stimolo all'approfondimento dell'esplorazione ambientale.

A questo punto la funzione visiva comincia a svolgere un ruolo importante nel suo sviluppo; da questo momento il bambino non vedente ha bisogno di una cura particolare per non presentare successivamente dei ritardi nello sviluppo psichico. La conoscenza tattile è l'unica che possa dare al bambino la possibilità di compiere esperienze significative, nel senso che possano portare in lui ad un progresso nelle sue conoscenze e nelle sue capacità di strutturarle. Perciò è indispensabile permettere al bambino di "toccare" non solo nei primi mesi, ma per tutto l'arco che va dalla nascita alla fine della seconda infanzia. (nota 3)

Per valutare l'influenza della minorazione visiva nello sviluppo del bambino è necessario avere presente qual è lo sviluppo del bambino vedente. La dimensione aptica assume un ruolo ed un significato fondamentali nello sviluppo delle capacità conoscitive del bambino se questi ha la possibilità di instaurare un valido rapporto con l'ambiente circostante mediante l'attività motoria. Solo così egli potrà avere la capacità di percepire, di discriminare, anche apticamente, la realtà che lo circonda. La funzione visiva è senza dubbio l'incentivo che favorisce questa attività cinestetica e, di conseguenza, l'origine e lo strutturarsi delle conoscenze aptiche, ma la sola esplorazione visiva, senza una corrispondente verifica tattile, non è sufficiente per dare al bambino la certezza delle sue conoscenze.

Quando il piccolo ha raggiunto la maturazione neuro-muscolare sufficiente per reggersi sulle gambette, iniziano i primi tentativi di deambulazione e con essi la possibilità di raggiungere, da solo, gli oggetti da tempo osservati da lontano. Può così continuare e ampliarsi quell'attività fondamentale, la manipolazione degli oggetti, che gli permetterà di sviluppare, assieme al coordinamento muscolare, la capacità di strutturazione del reale. Questa fase di esplorazione manuale è di fondamentale importanza, perché pone le basi dello sviluppo intellettuale del bambino.

Non si può qui non ricordare l'intuizione che costituisce il fondamento del metodo di Maria Montessori che, in modo molto più accentuato di qualsiasi altro pedagogista, aveva insistito sull'opportunità di un'educazione sincronica di tutti i sensi. Anche il grande tiflologo Pierre Villey aveva felicemente avvertito che il tatto e la vista non sono sensi contrapposti, quando aveva scritto che "il tatto è una forma di vista ridotta a zero e la vista è una forma di tatto a distanza".

Lo stimolo prettamente visivo, suscitato dalla realtà ambientale, non è naturalmente presente nel bambino che non vede che riceve dalla stessa realtà stimolazioni molto più incomplete e quindi meno efficaci quali le stimolazioni tattili, uditive, termiche e così via. Il carattere di globalità che è peculiare dell'organo visivo, viene a mancare negli altri organi sensoriali. Di conseguenza, al bambino non vedente, viene richiesto uno sforzo molto maggiore per trarre motivo di interesse da quelle sensazioni che riceve dall'ambiente. Egli, infatti, dovrà imparare ad esaminarle, a riconoscerle e, in un certo senso, a sintetizzarle. E' un lavoro molto complesso, che un bambino all'età dei primi passi, non può certamente svolgere. Perciò egli si presenta più apatico e indifferente e per questo è importantissimo aiutarlo subito, interessandolo con stimoli sensoriali semplici, affinché li possa facilmente conoscere e possa trarre, da questa conoscenza, motivo di gioia e un incentivo al suo sviluppo psico-fisico.

"Nessuno può dire esattamente quali distanze appaiano all'occhio innocente del lattante. Le osservazioni in proposito indicano che la sua percezione della profondità è il risultato della graduale integrazione degli stimoli visivi e propriocettivi, attraverso un seguito di prove ed errori. Sebbene le cognizioni riguardanti lo sviluppo della discriminazione visiva della profondità siano scarse, le ricerche sui bambini piccoli indicano un miglioramento in rapporto all'età. (...) I movimenti oculari in risposta a una luce, a oggetti e a persone che si muovono, sono già ben perfezionati a sei settimane; mentre i movimenti compensatori e coordinati degli occhi e i movimenti di fissazione della testa subiscono uno sviluppo un po' più lento. Una vera fissazione oculare apparentemente non funziona bene fino al terzo mese. Questo ha un significato particolare, poiché è in questo periodo che si osservano per la prima volta movimenti diretti delle braccia in risposta agli oggetti che si trovano nel campo visivo". (nota 4)

Il bambino acquista sempre più precisione e destrezza nel protendersi verso gli oggetti per afferrarli: infatti, "a 18 mesi il protendersi verso gli oggetti vicini è divenuto un gesto altamente automatizzato. Questo è dimostrato dalla disinvoltura con cui spesso i bambini si avvicinano ad un oggetto. Il loro interesse sembra ora accentrato sulla manipolazione dell'oggetto, dopo averlo preso piuttosto che sulla conquista di esso. (...) Come risultato noi troviamo che fino a quattro anni c'è un'esagerazione di una o più componenti dell'attività prensoria, che fa apparire prudente e immaturo il comportamento". (nota 5)

Una verifica di tutto questo è stata fatta da Gesell, attraverso l'uso di varie costruzioni. Cosicché, la graduale acquisizione di una sempre maggiore capacità di costruire, con una serie di cubi, delle torri ed altri oggetti offerti gradualmente, è presa qui come esemplificazione del processo di sviluppo, che porta il bambino ad essere in grado di dominare il proprio sistema neuro-muscolare, acquisendo le abilità tecniche necessarie e sufficienti per poter compiere un'attività significativa. Nella serie di comportamenti con i cubi presentati da Gesell non si verifica solo una progressiva maturazione muscolare, ma anche la capacità, da parte del bambino di osservare, per poi imitare, determinate forme.

L'imitazione è, per il bambino vedente, un'attività fondamentale, mediante la quale egli sviluppa le sue facoltà fisiche e psichiche. La maggior parte di ciò che il bambino apprende nei primi anni di vita è frutto di imitazione. Egli osserva il comportamento degli adulti o di bambini più grandi di lui e, ripetendolo, apprende il codice comportamentale in uso nel suo ambiente sociale. Anche l'apprendimento del linguaggio è prettamente imitativo; in esso, però, si è potuto riscontrare, a volte, una precocità dei bambini non vedenti rispetto ai vedenti. Questo non tanto in un aspetto temporale, bensì quantitativo: a uguale età conoscenza di un maggior numero di termini.

Ciò naturalmente è spiegabilissimo poiché, mentre il vedente è sollecitato da una infinità di interessi, per cui il linguaggio non è che uno dei tanti aspetti della realtà che egli va pian piano scoprendo, il non vedente si trova influenzato da una serie molto più ristretta di stimoli, nel cui complesso non sono presenti i più vari e completi: quelli visivi. La sollecitazione, perciò, che interessa prevalentemente il non vedente sarà la più completa e facile tra quelle che egli può percepire: quella uditiva. Da ciò la sua maggior loquacità.

L'impossibilità di una percezione visiva, oltre a precludergli il nascere di un forte interesse per la realtà circostante, gli impedisce di svolgere quell'attività imitativa, possibile solo in presenza di una funzione ottica normale, che determina e favorisce l'armonico sviluppo psico-fisico del bambino. Perciò si può notare, a volte, un ritardo, in questo settore, nel bambino non vedente rispetto al vedente.

Nello sviluppo della prima infanzia il bambino cieco non presenta sostanziali differenze rispetto agli altri bambini. Semmai, vi potranno essere delle differenze nei tempi di passaggio da una fase all'altra, ma anche i vedenti hanno tempi di sviluppo diversi tra di loro. Importante è però saper riconoscere quando è il momento per il passaggio da una fase ad un'altra, passaggio che i genitori devono favorire perché, qualora il bambino salti qualche tappa, è molto difficile realizzarla nella fase successiva.

La cura da dedicare al piccolo cieco nel suo sviluppo non è diversa da quella che ogni madre deve dedicare al suo bambino in quanto, fino ad una certa età, il non vedente non sente nemmeno la mancanza della vista. Nell'espletamento delle funzioni che soddisfano le necessità fisiche l'apporto della vista non è fondamentale; infatti essa è facilmente sostituita dagli altri sensi. Ciò non toglie che sarebbe comunque necessario seguire i genitori di un bambino cieco mentre apprendono ad attendere alle sue esigenze soprattutto per quanto riguarda l'imparare a mangiare, a dormire, l'acquisire i giusti abiti per la pulizia personale, l'imparare a vestirsi.

Per quanto concerne il rapporto fra il bambino e la realtà ambientale esso raramente si instaura in un modo positivo e dinamico spontaneamente. Questo limite è dovuto, come s'è già detto più volte, alla mancanza di incentivi che promuovano in lui una normale attività esplorativa. Gli stimoli che colpiscono il bambino non vedente hanno carattere di frammentarietà e di discontinuità, non potendo nessuno avere quell'aspetto globale che comporta la visione. Ciononostante, è da essi che si deve partire per aiutare il piccolo non vedente e guidarlo nella conquista dell'ambiente. Sarà bene, per suscitare il suo interesse, offrirgli giocattoli sonori, che gli procurino soddisfazione nella manipolazione. Sarà opportuno anche tener presente che i giocattoli dati ad un bambino non vedente devono essere semplici e significativi.

Una mamma attenta alle esigenze di conoscenza del suo bambino farà sì che egli possa osservare non solo i suoi giocattoli ma anche tutti gli oggetti che interesserebbero un bambino vedente. Potrà così fargli conoscere i tegami della cucina, gli strumenti con i quali mangia, la tazza, il bicchiere, e via dicendo.

Sarà inoltre necessario presentare questi oggetti illustrandoli dettagliatamente. Non è tanto importante fornire giocattoli e materiale scientificamente preparati, atti a sviluppare questo o quel senso; l'importante è, a mio avviso, offrire un'ampia possibilità di esperienze, come è permesso ai coetanei.

Già A. Romagnoli aveva detto che i migliori giocattoli non sono quelli preordinati, ma quelli costituiti dagli oggetti presenti nell'ambiente e che permettono lo sviluppo della creatività. Il bambino non vedente è, infatti, a mio parere, come tutti gli altri; ha bisogno solo di qualche particolare accorgimento per ovviare alla mancanza della vista.

Sarà pertanto necessario mettere a sua disposizione, nei primi quattro o cinque anni di vita, un'ampia serie di esperienze che egli possa acquisire. Non tutte, ovviamente, diventeranno in lui conoscenza ma, tra le tante offerte, solo quelle che egli avrà scelto in quanto per lui più significative.

Il fatto che, ancora oggi, troviamo tanti bambini ciechi bloccati in senso percettivo-motorio mi pare sia imputabile alla mancanza di una educazione appropriata ai genitori prima e di una preparazione specifica degli insegnanti poi. Una saggia educazione farà comprendere che il non vedente deve essere trattato come tutti gli altri, tenendo presente, naturalmente, ciò che potrebbe danneggiarlo soprattutto sotto il profilo fisico. E' necessario insegnare ai genitori che il loro bambino seguirà uno sviluppo normale che essi, normalmente, dovranno favorire e che, se guidato con amore, pazienza e senza apprensione, anche i suoi lievi ritardi inevitabili perché dovuti alla minorazione, verranno ridotti al minimo. Ovviamente tutto questo sarà possibile solo quando ci si trovi di fronte ad un bambino in cui non siano presenti, oltre a quella visiva, altre minorazioni.

Quando il piccolo non vedente si mostrerà in grado di fare i primi tentativi di locomozione, la mamma, nel sorreggerlo e accompagnarlo, dovrà ricordarsi di illustrargli ciò che incontrano nel camminare e di fargli toccare tutto ciò che può arrivare senza pericolo nelle sue manine. Dovrà cioè fargli vedere, con il suo racconto, ciò che vedrebbe da solo se avesse la vista. Questo deve essere fatto con estrema semplicità, senza dare al bambino l'impressione che ella assuma particolari atteggiamenti, causati dalla sua cecità. Altrimenti egli coglierebbe anche se in modo confuso, eccessive differenze tra sè e gli altri; questa circostanza non lo aiuterebbe sicuramente nel suo processo di sviluppo e nella formazione della personalità. Ciò ovviamente vale per qualsiasi tipo di intervento fatto sul bambino non vedente.

Una volta raggiunta una corretta capacità deambulatoria il bambino dovrebbe avere appreso a riconoscere i punti fondamentali della sua casa ed essere così in grado di girare in essa tranquillamente da solo. Così stimolato da sempre seguirà tranquillamente la mamma nell'espletamento delle sue faccende e chiederà di aiutarla, come fanno tutti i coetanei. La mamma dovrebbe allora permettere al bambino di collaborare, come fanno tutte le mamme con i loro figli, senza avere troppa paura che il piccolo si faccia male. Naturalmente sarà opportuno levare di mezzo tutto ciò che potrebbe ferire il bambino; bisognerà abituarsi ad esempio, a non lasciare mai le porte semiaperte. Sarà cioè necessaria tutta una serie di avvertenze atte a salvaguardare l'incolumità del piccolo. A questo punto anche se ogni tanto andrà ad urtare contro qualcosa non sarà poi così grave.

Un'altra osservazione molto importante è che il bambino impari a conoscere l'ambiente che sta fuori della sua casa: la strada, i giardini, i negozi e via dicendo. La mamma dovrà ricordarsi di spiegare a parole tutto quello che non è raggiungibile con le mani e di fargli toccare tutto quello che invece lo è. Gli insegnerà, inoltre, a riconoscere i vari rumori e i vari suoni che sono numerosi sia nella città sia nelle campagne. Il bambino non vedente si viene così a formare un patrimonio di conoscenze importanti per il suo rapporto con la realtà ma, cosa ancor più importante, questa continua attività esplorativa è fondamentale per il suo sviluppo intellettuale.

Naturalmente, dovendosi fondare prevalentemente sul tatto, il bambino non vedente impiega un tempo maggiore nell'osservare e conoscere gli oggetti con conseguente ritardo nello sviluppo cognitivo in quanto, all'età in cui tutti i bambini svolgono questa attività esplorativa con l'uso della vista, egli non ha ancora sviluppato quelle capacità di sintesi necessarie per unificare i dati della conoscenza tattile, mentre la funzione visiva fornisce già, di per sè, un'esperienza unitaria della realtà.

Tutta questa attività non è intesa solo ad offrire al bambino una serie di informazioni del mondo circostante; il processo di manipolazione con cui egli esamina l'ambiente favorisce e sviluppa in lui il coordinamento neuro-muscolare e il dominio della funzione manuale. Questo conduce, nel bambino vedente, ad un'attività creativa ed espressiva che si manifesta prevalentemente con il disegno.

B. Lowenfeld osserva come la mancanza della vista costituisce un limite alle possibilità di espressione creativa. Ma l'attività di disegno e di pittura è sostituibile, con ottimi risultati, da quella di modellaggio, attraverso la quale anche il bambino non vedente può esprimersi, dimostrando di possedere le stesse potenzialità creative del vedente.

"Il disegno e la scrittura nella vita adulta sono indubbiamente più dipendenti dalla coordinazione neuro-muscolare che da quella occhio-mano. Il cieco può imparare a modellare, a scolpire e, con una guida appropriata, a scrivere (Lowenfeld, Viktor. The nature of creative activity. New YorK: Harcourt, Brace, 1939, XVII - 272). Queste capacità possono evolvere sulla base soltanto dei sensi cinestetici. Ma nella prima infanzia del bambino normale la coordinazione occhio-mano occupa un posto molto importante, anche se la coordinazione occhio-mano si sviluppa lentamente". (nota 6)

C'è un altro aspetto molto importante che va educato nel fanciullo non vedente: la capacità di riconoscere, oltre ai vari tipi di voce, le diverse tonalità ad essa impresse a seconda dei sentimenti che sono intimi all'individuo che parla. Il vedente, osservando il viso del suo interlocutore ed il suo modo di gestire, riesce solitamente ad individuare quali sono i sentimenti da cui è dominato. Il soggetto privo della vista, non avendo la possibilità di questo riscontro visivo, deve ricercare altri mezzi per ottenere le medesime informazioni. Ecco che la voce diviene strumento di conoscenza. Ma perché si realizzi questa possibilità occorre che il non vedente venga educato a riconoscere in sè, innanzi tutto e poi negli altri, le molteplici sensazioni prodotte dai diversi sentimenti. Silvestro Banchetti in uno studio sul pensiero del Dorner afferma: "non v'è dubbio che molti ciechi, quando siano stati educati correttamente, sanno ragionevolmente servirsi della voce delle persone per riconoscerle, per giudicarne la disponibilità e lo stato affettivo". (nota 7)

 

Il linguaggio come strumento di comunicazione

L'espressione linguistica, in senso verbale, è il più immediato strumento di comunicazione posseduto e utilizzato dall'uomo. Quando si parla di comunicazione essa va intesa in due sensi: come manifestazione del proprio pensiero ad altri e come ricezione e comprensione del pensiero espresso da altri. Il linguaggio verbale orale è il primo che si apprende per imitazione, mentre l'espressione scritta viene conosciuta solo in un secondo tempo attraverso la scolarizzazione. Il linguaggio però non è solo verbale, sia esso orale o scritto. Svariati sono i tipi di linguaggio come quello grafico-pittorico, quello musicale, quello mimico-gestuale o corporeo. Tutti questi linguaggi, anche se con strumenti diversi, sono utilizzabili dal non vedente, mentre non tutti possono venire appresi in modo spontaneo. Il linguaggio verbale è costituito da un insieme di segni che esprimono significati comprensibili per una certa comunità di persone. Esso è strumento di espressione personale e di conoscenza. Può essere quindi soggettivo od oggettivo.

Tutti i bambini, nei primi anni di vita, utilizzano il linguaggio per procurare a se stessi piacere. Essi, infatti, ripetono una parola o una frase o una parte di frase anche senza conoscerne il significato, solo per la soddisfazione che l'emissione di suoni procura loro. Questo fenomeno viene denominato "ecolalia" e normalmente è transitorio. Nel non vedente, invece, spesso ci si trova di fronte alla fissazione di questa fase e molti, inesperti, credono di trovarsi davanti ad un fenomeno particolare, mentre se si prova a verificare la conoscenza dei significati ci si rende conto di come queste parole siano vuote per il bambino.

Perciò prima di affrontare l'apprendimento della lettura e della scrittura è bene che l'alunno dimostri di possedere una valida conoscenza della realtà nei limiti possibili ad un bambino di sei anni. Se così non fosse conviene posticipare di un po' questo apprendimento e recuperare prima il contatto con la realtà. Saper leggere e scrivere è estremamente importante per tutti e quindi anche per il non vedente. Il possesso di questi strumenti consente di conoscere il pensiero e le opere di altri uomini, ampliando e approfondendo così la propria cultura e, d'altro canto, offre ad ogni individuo la possibilità di conservare i propri pensieri e di farli conoscere ad altri.

 

L'apprendimento della lettura e della scrittura: due metodi a confronto

L'apprendimento della lettura e della scrittura può attuarsi attraverso l'applicazione di due metodi contrapposti che Mialaret definisce "sillabico e globale" (nota 8). Per poter operare una scelta tra l'uno e l'altro occorre porsi prima una domanda: cosa si intende per lettura? La decifrazione di segni che, una volta collegati, assumono un significato o la ricezione di un significato trasmesso attraverso segni convenzionali? Saper leggere è per Mialaret "essere capaci di trasformare un linguaggio scritto in un messaggio sonoro; seguendo norme precise: è capire il contenuto del messaggio scritto, e essere capaci di giudicarlo e di apprezzarne il valore estetico". (nota 9) Per poter operare una scelta tra i due metodi occorre inoltre conoscere gli aspetti positivi e negativi di entrambi.

Ad un primo esame il metodo sillabico può sembrare più facile in quanto fa leva su dei meccanismi di associazione che si stabiliscono attraverso l'esercizio. Ad un esame più approfondito si riscontrano però certi svantaggi molto gravi: innanzi tutto esso, non sollecitando l'intelligenza rischia di compromettere i successivi apprendimenti; inoltre la comprensione del significato del messaggio è condizionata alla decifrazione delle singole parti delle parole.

Il metodo globale, invece, pone in primo piano il significato delle frasi lette, utilizza parole che appartengono già al vocabolario del bambino ed in esso ne introduce gradualmente delle nuove che vengono confrontate con quelle già conosciute. Il momento più complesso è quello dell’analisi che, anche se in apparenza risulta un po' difficoltoso, offre però allo scolaro la possibilità di imparare a ragionare. E' infatti impossibile imparare a leggere e scrivere attraverso il metodo globale senza il costante apporto dell'intelligenza.

Per questo, quando un bambino presenta difficoltà nel ragionare presenta anche gravi problemi nell'imparare a leggere e scrivere con questo metodo. Analizzando in dettaglio i due metodi si nota come in quello sillabico si inizia con lo studio delle singole lettere che, unite poi gradualmente alle vocali, costituiscono, in un secondo passaggio, le sillabe. Chi lo utilizza afferma di partire dalla forma più semplice per giungere alla più complessa attraverso passaggi graduali e non si rende conto che così è per l'adulto, ma non per il bambino.

Inoltre è da notare che durante tutto il periodo che va dalla conoscenza delle lettere alla loro graduale composizione il bambino è costretto a decifrare sillabe totalmente prive di significato e quindi per niente stimolanti.

Quando finalmente si uniscono le diverse sillabe per formare le prime parole non sempre esse vengono riconosciute nel loro significato perché sono pronunciate in modo errato. Durante i passaggi dalla decifrazione delle lettere a quella delle sillabe a quella delle parole infatti i suoni possono essere diversi e quindi vanno riappresi ogni volta. Spesso accade perciò che la lettura di una vocale aperta anziché chiusa o viceversa impedisca la comprensione del significato della parola decifrata.

Col metodo globale, invece, partendo dalla parola o addirittura dalla frase, si pone in risalto soprattutto il significato della stessa che viene facilmente memorizzato come pure la rappresentazione grafica delle varie parole. Queste, presentate in frasi diverse verranno riconosciute e quindi utilizzate per l'interpretazione di altre frasi.

Il metodo sillabico si svolge attraverso le seguenti tappe:

  1. l'acquisizione delle lettere
  2. la formazione delle sillabe
  3. la lettura delle parole
  4. la lettura delle frasi. (nota 10)

Durante tutto questo processo non viene mai richiesto l'apporto dell'intelligenza, ma solo quello della memoria.

Quando si giunge alla lettura delle parole e delle frasi il bambino non ha l'abitudine di ricercare per prima cosa il significato di ciò che legge. Ecco perché a volte si trovano alunni che decifrano tutto ma poi dimostrano di non aver colto il significato del brano letto. Il metodo sillabico si basa su ciò che è più semplice dal punto di vista dell'adulto pensando che questo coincida anche nel bambino. Ma non è così. Ciò che è più semplice per il bambino è ciò che è legato alla sua personale esperienza.

Inoltre egli tende ad osservare, la realtà da un punto di vista globale e solo successivamente pone maggiore attenzione ai particolari. Imporre perciò al bambino di partire da semplici elementi privi di significato per giungere alla formulazione di parole è un processo contrario alla sua stessa natura.
Il metodo globale segue le seguenti tappe:

La prima fase si basa sull'osservazione e l'espressione con cui il bambino manifesta ciò che ha colto cercando di esprimersi in modo sempre più chiaro. Fin da ora si applica "uno dei principi fondamentali del metodo globale: associare il significato, la comprensione a tutto ciò che è "letto" dal bambino". (nota 12)

L'espressione di ciò che il bambino ha osservato o vissuto si può manifestare attraverso diversi linguaggi: mimico, grafico-pittorico, plastico, e quindi verbale. Già da questo primo momento fino all'apprendimento totale della lettura e scrittura si instaura un legame inscindibile tra linguaggio e pensiero. L'intelligenza, oltre che la memoria, viene continuamente chiamata in causa per poter progredire.

Dalla lettura globale della frase si passa all'identificazione di quelle parti di parole che sono uguali tra di loro. Successivamente si analizzano queste piccole parti scomponendole in lettere che verranno poi utilizzate per ricostruire la parola. Si procede perciò da una prima percezione sincretica ad un'analisi sempre più dettagliata per operare alla fine la sintesi ricostruttrice. Tutto ciò però si realizza ponendo sempre in primo piano il significato di ciò che viene letto.

Questo metodo appare il migliore sia perché rispetta il naturale sviluppo del bambino sia perché si fonda sull'apporto dell'intelligenza. A chiunque infatti risulta più facile ricordare qualcosa che ha un significato logico. Tutto questo discorso ha un senso per il bambino non vedente solo in quanto inserito in una scuola pubblica. Infatti per lui non c'è possibilità di scelta: l'unico metodo utilizzabile è il sillabico.

Questo però non significa che il resto della classe non possa seguire quello globale, anzi ciò sarebbe di grande aiuto al non vedente che fruirebbe di tutto il lavoro di osservazione e relazione e solo al momento della scrittura, per un certo periodo, dovrebbe differenziarsi nel metodo. E' possibile inoltre mettere in atto strategie che, pur non realizzando completamente il metodo globale, risultano in parte un superamento di quello sillabico.

 

La didattica nel Braille

Il periodo migliore per insegnare ad un bambino cieco a leggere e a scrivere in Braille va dai sei agli otto anni. Normalmente, se non sussistono impedimenti particolari l'alunno impara in prima elementare come tutti gli altri.

Immagine tavoletta
Tavoletta

Prima però di presentare la "tavoletta", lo strumento necessario per scrivere, occorre verificare se nel bambino siano chiari i concetti di lateralizzazione senza i quali è impossibile imparare ad utilizzare questo strumento. Chiarito questo aspetto si presenta la tavoletta come strumento di gioco affinché l'allievo familiarizzi con essa. Sul foglio inserito in essa possiamo rappresentare simbolicamente con puntini la pioggia, i bambini che giocano nel prato e così via.

Questo primo momento è molto importante perché permette al bambino di imparare la posizione corretta del punteruolo senza doversi preoccupare di altro. Quando risulta evidente che egli sa muoversi all'interno della tavoletta con disinvoltura riconoscendo l'alto, il basso, la metà, la destra, la sinistra, si presenta la seconda parte della tavoletta: la riga. Questa è suddivisa in due righe comprendenti una serie di rettangolini di millimetri 6x3. All'interno di questi si possono formare sei puntini che permettono di comporre tutte le lettere, i numeri, i segni di punteggiatura e quelli musicali.

Per imparare a collocare i puntini in modo corretto si continua ad usare la tavoletta come strumento di gioco, fintanto che non si ha la certezza che l'alunno sia in grado di situarli tutti e sei correttamente identificandone pure la collocazione.

Innanzi tutto si deve imparare ad inserire bene il foglio nella tavoletta. Quindi l'insegnamento dell'alfabeto comincia dalla lettera più semplice: la "a" che è costituita da un solo puntino scritto in alto a destra. Da questa, gradualmente, aggiungendo uno o più puntini da una parte o dall'altra, si costruiscono le altre lettere.

immagine carattere brailleOccorre qui precisare che esiste una differenza nella didattica quando ci si rivolge ad un adulto o ad un bambino. Infatti, come avete visto nello svolgimento del corso, nell'insegnamento per gli adulti i puntini vengono indicati con il loro numero posizionale, mentre quando ci si rivolge ad un bambino è meglio presentargli le posizioni con un linguaggio topologico, ad esempio la "a" è un puntino in alto a destra la "b" è un puntino in altro a destra e uno a metà sempre a destra.

E' fondamentale, in questo periodo, mantenere rigorosamente separati i momenti della lettura e della scrittura. Questo perchè scrivendo si va da destra a sinistra e le lettere hanno una certa configurazione. Per poter leggere, invece, occorre ruotare il foglio di 180°

Le lettere risultano perciò diametralmente opposte; infatti si legge da sinistra a destra come fanno i vedenti. Questa rotazione del foglio potrebbe generare confusione soprattutto per il fatto che alcune lettere, come la "E" e la "I", la "D" e la "F" sono uguali ed opposte

animazione
come si scrive
e
i
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f
 
e
i
d
f
come si legge
e
i
d
f

Perciò se il lavoro di scrittura avviene nella prima parte della giornata quello di lettura deve essere svolto verso la fine della mattina, intercalando i due impegni con un'attività diversa. Inoltre non bisogna dire al bambino che il foglio va girato per leggere ciò che ha scritto. Lo scoprirà da solo quando avrà raggiunto un possesso tale di questi strumenti da non ingenerare più confusione.

Durante questo periodo il bambino non deve leggere mai ciò che ha scritto, ma l'insegnante ricopierà il suo lavoro e lo utilizzerà per la lettura. L'alunno infatti può commettere errori sia nella quantità di puntini sia nella loro collocazione e potrebbe abituarsi a leggere lettere non esatte.

Un altro aspetto molto importante, in questo periodo, è l'impugnatura del punteruolo. Esso deve essere trattenuto tra il pollice, l'indice, il medio. Utilizzando queste tre dita il punteruolo agisce penetrando verticalmente nella carta. Se la forasse obliquamente la strapperebbe. La carta, invece, deve dilatarsi di quel tanto che produce un piccolo rilievo, senza rompersi mai.

Le forme ottenute dall'unione dei diversi puntini sono estremamente semplici e la loro dimensione è tale da permetterne la percezione immediata attraverso un solo atto motorio. Così si spiega perché questo strumento di lettura e scrittura si è diffuso tanto rapidamente, a differenza del Ballou che stentò e non diventò mai uno strumento di uso generalizzato.

Oggi, nonostante tutte le innovazioni che la tecnica ha permesso, non esiste uno strumento altrettanto valido, veloce e preciso. In questo primo periodo, inoltre, le lettere vanno scritte separandole l'una dall'altra con uno spazio vuoto; anche le righe sono separate. Naturalmente si usa solo la prima.

Dopo aver presentato le prime lettere: A, B, C, possiamo scrivere la prima parola:

B A C C A; legandola anche ad un discorso stagionale e ad un'osservazione che si può fare con tutta la classe.

Utilizzando gradualmente le lettere presentate per costruire semplici parole legate alle reali conoscenze del fanciullo si può tentare un incontro tra metodo sillabico e metodo globale, riuscendo inoltre a mantenere abbastanza legato il lavoro del non vedente a quello di tutta la classe.

Le lettere dell'alfabeto possono venire presentate secondo diverse successioni. Io ritengo che la più valida sia quella che permette di utilizzare quanto più velocemente possibile le lettere conosciute per costruire le parole.

Ci sono però alcuni accorgimenti che devono essere applicati per evitare l'insorgere di confusioni. Le lettere "E" "I", "D" "F" sono speculari per cui è molto facile confonderle quando non si è raggiunta ancora la sicurezza. Esse perciò vanno presentate distanziate tra loro nel tempo.

Fintanto che non si conclude l'apprendimento dell'alfabeto è bene far scrivere e leggere a spazi separati e a righe alternate. Dopo, nella lettura, si cominciano ad unire quelle lettere che, anche se vicine, non ingenerano confusione.

Per quanto riguarda la scrittura, invece, si può cominciare a far scrivere a spazi uniti, mantenendo ancora per un po' la separazione delle righe. Da questo procedimento risulta evidente che il materiale per la lettura deve essere preparato dall'insegnante. E' ancora presto, secondo me, far leggere al bambino ciò che ha scritto.

Quando l'allievo è in grado di leggere parole scritte secondo le regole, cioè senza spazi tra le lettere delle parole, può cominciare a leggere direttamente ciò che scrive. Ora, infatti, dovrebbe aver acquisito una tale sicurezza da essere in grado di riconoscere gli eventuali errori commessi. E' giunto il momento di insegnargli a correggerli, cancellando i puntini in più o sbagliati, contando poi le righe e i casellini per rimettere il foglio nella tavoletta e apportare le dovute correzioni.

A questo punto non ci sono più difficoltà nel partecipare totalmente al lavoro della classe per quanto riguarda la formazione linguistica. Resta un'ultima cosa: quando l'insegnante lo riterrà opportuno e comunque prima della fine dell'anno scolastico bisognerà avvicinare anche le righe utilizzando così pienamente la scrittura adulta.

 

Altri strumenti di scrittura

In relazione alla scrittura quando l’alunno avrà dimostrato di aver bene introiettato e sedimentato l'uso della tavoletta Braille potrà avvicinarsi all'utilizzo della tastiera del computer e della "dattilobraille" e comunque non prima del secondo ciclo della scuola elementare. L'uso del computer offre allo studente la possibilità di ricopiare autonomamente tutti i lavori svolti a scuola affinché l'insegnante possa controllare direttamente i contenuti espressi dall'allievo.

Nello stesso periodo di tempo va insegnato anche l'uso della "dattilobraille": la macchina per scrivere in Braille. Perché questo strumento non va presentato subito?

Per diversi motivi: innanzi tutto imparare a leggere e scrivere significa impossessarsi di uno strumento per comunicare. Esso deve perciò poter essere utilizzato nella maggior quantità possibile di situazioni. Come noi non presentiamo, in una prima elementare, l'uso della macchina da scrivere in nero, ma offriamo al bambino una matita e un foglio, così non ha senso abituare l'alunno non vedente all'uso della "dattilobraille" senza aver prima consolidato l'acquisizione della scrittura a mano. Inoltre, mentre la posizione delle lettere nella scrittura con il punteruolo è diametralmente opposta a quella che assumono per la lettura, la scrittura a macchina richiede la composizione diretta delle lettere nello stesso modo in cui vengono lette. Il bambino verrebbe a mancare, perciò, della conoscenza della struttura delle lettere per la scrittura manuale.

C'è un altro e più importante motivo che mi porta a negare in modo assoluto validità all'insegnamento della scrittura attraverso la "dattilobraille". Come si è potuto notare attraverso tutta l'analisi precedente, imparare a leggere e scrivere per il non vedente, come per tutti i bambini, non significa solo memorizzare l'associazione simbolo-suono, ma comporta il raggiungimento di molte abilità quali l'acquisizione dei concetti topologici e di lateralizzazione, lo sviluppo della manualità fine e della capacità di percezione del dito lettore in particolare, ma anche delle altre dita; comporta una capacità di orientamento spaziale e temporale. La sensibilità delle dita raggiunge la sua maggiore potenzialità intorno ai sette anni. Se non viene sviluppata, attraverso un continuo esercizio in questo periodo, regredisce, e il ragazzo più grande farà un’enorme fatica a recuperare questa abilità e non la possiederà mai in modo completo. Questo si riscontra bene nei ciechi diventati tali in età adulta che, mentre riescono ad imparare a scrivere in "Braille" con una certa velocità, trovano molto difficoltoso leggerlo. Imparare ad usare la "dattilobraille" troppo presto comporta il rischio di cadere in quelle forme di tecnicismo in cui sono molto bravi i piccoli non vedenti. Queste consistono nel memorizzare una serie di movimenti senza che necessariamente l'intelligenza ne rimanga coinvolta. L'apprendimento della scrittura attraverso l'uso della tavoletta, invece, richiede necessariamente, l'apporto fattivo dell'attività intellettiva.

La "dattilobraille" è un ottimo strumento se fornito al momento giusto. In caso contrario solo in seguito potranno manifestarsi le carenze e le difficoltà che derivano da un suo uso improprio.

 

Sviluppo logico-matematico: dal concetto d'insieme al concetto di numero, all'astrazione

La formazione logico-matematica pone le sue basi nella logica. Essa stabilisce quali siano i caratteri che rendono corretto un ragionamento. La logica si manifesta fin dalla prima infanzia ed è il fondamento che unifica tutte le aree disciplinari. Essa permette una strutturazione delle esperienze e delle conoscenze del bambino tale da divenire un valido supporto ad altre conoscenze.

Già prima della conquista del linguaggio è presente nel bambino una forma di logica che gli permette di coordinare le varie azioni e di sviluppare, gradualmente, il linguaggio. Essa organizza le scoperte del bambino in schemi di riferimento, in strutture che vengono via via ampliate e perfezionate con l'apporto delle esperienze motorie e sensoriali. La mancanza di queste forme di esperienza nel non vedente produce uno squilibrio tra lo sviluppo del suo linguaggio e le sue capacità logiche.

La mancanza della vista priva il bambino dello stimolo immediato al movimento e questo lo induce spesso a ripiegare sull'uso dell'unico strumento di contatto con l'ambiente esterno: l'udito e la parola. Da qui spesso si degenera nell'ecolalia. Se la stimolazione visiva viene invece sostituita da quella tattile l'interesse al movimento sarà egualmente garantito.

La manipolazione degli oggetti e la conoscenza della realtà sono le basi per lo sviluppo logico-matematico. Anche il possesso dei concetti topologici è fondamentale: senza conoscere che cosa si intenda per linea aperta e chiusa, inclusione, vicinanza, separazione etc. è impossibile conquistare il concetto d'insieme.

La topologia non è una scienza che oggi viene proposta in alternativa alla geometria euclidea, ma è ad essa complementare, oltre ad offrire un valido strumento per lo sviluppo logico del bambino.

Se tracciamo all'interno di uno spazio una linea chiusa ci troviamo di fronte a due regioni: una interna e una esterna alla linea stessa. Noi ci interessiamo particolarmente dello spazio racchiuso all'interno. In esso possiamo collocare gli oggetti in modo casuale, ma possiamo farlo anche in base ad una determinata caratteristica. In questo caso ci troviamo di fronte ad un insieme di elementi legati tra loro da una determinata qualità.

Il primo passo verso la costituzione di insiemi è l'osservazione della realtà. Tutti gli oggetti presenti all'interno di un ambiente vengono osservati mettendone in evidenza le caratteristiche. Queste vengono poi usate per la classificazione.

Classificare significa costituire classi o gruppi caratterizzati da una determinata qualità. Si può notare, in seguito, che all'interno di una classe si possono formare altre classi e che ogni classe può essere inserita in un'altra più ampia. Ogni insieme che si viene così a determinare deve essere caratterizzato da una qualità ben chiara, comprensibile a tutti e non suscettibile di confusione. Fin da piccolo il bambino tende a produrre delle classificazioni. Nelle prime non si riscontra un vero criterio oggettivo e non esiste un vero rapporto tra i vari pezzi scelti.

Successivamente egli comincia ad individuare le qualità degli oggetti ed a sceglierne una o alcune per formare una classificazione. Manca ancora a questa età, sei anni, la reversibilità del pensiero. Essa comincia a comparire verso i sette anni. Ora egli può realizzare vere operazioni logiche.

Anche l'alunno non vedente compie gli stessi passaggi e osserva gli stessi oggetti presenti nella realtà, anche se è bene presentargli quelli che, per le loro dimensioni, possono essere contenuti nel palmo della mano così da offrire una percezione il più globale possibile degli stessi. In questa prima fase non sussistono differenze né a livello di metodo né a livello di strumenti.

Prima di procedere verso l’acquisizione di nuovi concetti è bene assicurarsi che quello d'insieme sia stato ben acquisito da tutti. Occorre perciò far costruire con gli oggetti molti insiemi a ciascun alunno.

Quando si ha la certezza dell'assunzione di questo concetto si procede confrontando fra loro due insiemi per giungere all'acquisizione dei concetti di maggiore, minore, equipotente e uguale. Questo risultato si ottiene soprattutto attraverso la corrispondenza biunivoca che mette in relazione, singolarmente, gli elementi del primo insieme con quelli del secondo rendendo così evidente, al termine dell'operazione, quale sia il rapporto esistente tra i due insiemi di partenza.

Il passaggio al sottoinsieme avviene molto facilmente. Spesso sono alcuni bambini che, avendo ben assimilato il concetto d'insieme, pur non conoscendo il nome dell'operazione che propongono, riescono ad individuare un sottogruppo con una caratteristica che non è comune a tutti gli elementi dell'insieme di partenza.

Ora diventerà un gioco ricercare i sottoinsiemi, ma questa operazione richiede un ragionamento continuo e sviluppa così le capacità logiche di ogni alunno. Dopo aver costruito nella realtà tanti insiemi e in essi aver ricercato i sottoinsiemi il bambino giunge alla definizione teorica di questi ultimi dimostrando così di aver interiorizzato e strutturato le esperienze concrete.

E' possibile ora svolgere osservazioni in rapporto a due o più insiemi. Mettendone a confronto due può accadere che alcuni elementi del primo possano appartenere al secondo e viceversa. Ciò realizza l'intersezione. Essa di norma si rappresenta graficamente con il diagramma di Wenn.

Anche in questo caso, come nei precedenti, l'operazione diretta con gli oggetti precederà qualunque tipo di simbolizzazione. A questo proposito si deve sottolineare che non è possibile continuare ad operare sempre con gli oggetti e ad un certo punto si iniziano a rappresentare graficamente gli oggetti stessi, attraverso il diagramma di Wenn.

Il bambino non vedente non può usare questo tipo di rappresentazione grafica su foglio, ma può realizzarla attraverso il "cuscinetto". Esso è uno strumento di gommapiuma, rettangolare, ricoperto di stoffa su cui viene fissato, attraverso gli spilli, un cordoncino. Essendo piuttosto grande esso è estremamente comodo per effettuare questo tipo di rappresentazioni.

Quando in una classe è inserito un non vedente è bene, a mio avviso, evitare l'uso di piccoli modelli rappresentanti per lo più animali, per costituire i primi insiemi. E' molto meglio utilizzare oggetti di dimensioni normali come le cartelle e tutto ciò che in esse è contenuto e i vari strumenti presenti in classe. Lo strumento più idoneo, comunque, è rappresentato dai "Blocchi logici" che consistono in un gruppo di figure geometriche, quadrato, triangolo, rettangolo, cerchio differenziate tra di loro dalla grandezza, dal colore, dallo spessore.

Essi sono stati ideati da Vygotsky e Hull. Dienes ne ha prodotto poi di simili e sono quelli che oggi vengono prevalentemente usati nella scuola italiana. Occorre apportare ad essi una piccola correzione, relativamente al colore, se si vuole che anche il non vedente possa utilizzarli pienamente. Esso verrà sostituito da diverse percezioni tattili.

Il concetto di equipotenza emerge dal confronto tra le quantità presenti all'interno di due insiemi. Esso prepara il concetto di numero cardinale. Il numero, infatti, rappresenta la proprietà comune a tutti gli insiemi caratterizzati dalla stessa quantità di elementi.

Esso è un simbolo che si inserisce al termine di un lungo lavoro di osservazione e di analisi e che perciò non rimane astratto in quanto è legato ad una realtà a lungo osservata e manipolata. D'ora in poi il numero sostituirà la manipolazione e la rappresentazione grafica degli insiemi, ma ad essi rimarrà sempre collegato nella mente del bambino assumendone significato e valore.

Da qui si svilupperà poi il concetto di numero ordinale, attraverso l'acquisizione della capacità di seriazione. Acquisito il concetto di numero quale astrazione l'alunno dovrà, con la guida dell'insegnante, acquisire la capacità di operare con i numeri attraverso la conoscenza e l'uso delle quattro operazioni. Durante tutto questo importantissimo lavoro non si sarebbero dovute riscontrare difficoltà per il bambino non vedente proprio perché l'acquisizione di concetti astratti è stata raggiunta attraverso una continua attività manipolatoria.

L'alunno non vedente acquisirà la conoscenza dei segni grafici rappresentanti i numeri solo quando avrà terminato lo studio dell'alfabeto e della punteggiatura. Questo accorgimento è indispensabile per non ingenerare confusione dato che i numeri sono rappresentati dalle prime nove lettere dell'alfabeto precedute da un simbolo particolare che si definisce "segnanumero". Esso sta infatti ad indicare che, nel caso specifico, non si tratta di lettere, ma di numeri. Anche i segni matematici sono rappresentati da lettere che vengono però scritte nella parte inferiore del casellino.

Come fare allora, se quando la classe giunge alla conoscenza grafica del numero il bambino non vedente non è ancora pronto? Occorre pazientare e svolgere oralmente le prime attività di calcolo per recuperare poi, comunque entro la prima classe elementare, il divario così creatosi.

Il calcolo delle operazioni, finche può essere svolto in riga, è possibile anche al non vedente attraverso la scrittura. Quando esse divengono più complesse ed occorre calcolarle in colonna egli deve utilizzare uno strumento particolare, sia esso il cubaritmo o, ancor meglio, l'apparecchio viennese per la matematica.

 

immagine cubaritmo
cubaritmo

Terminato il calcolo egli riporterà sul foglio, accanto all'operazione scritta in riga, il risultato.

A parte ciò non dovrebbero presentarsi difficoltà per l'apprendimento della matematica.

Ciò vale pure per la geometria poiché il non vedente può disegnare sul piano di gomma, in rilievo, le figure geometriche come i suoi compagni

immagine piano di gomma
piano di gomma

 

 

(Tratto da "Il bambino non vedente: finalità e metodi della scuola dell’obbligo" di Paola Zaniboni Edito da i.ri.for.)