Ana Peláez Narváez

“La mia missione è combattere la discriminazione contro le donne e le ragazze con disabilità”
Rodolfo Cattani

A margine di una riunione del Forum Europeo della Disabilità, ho fatto una piacevole chiacchierata con Ana Peláez Narváez, che molti considerano la “passionaria” della lotta contro la discriminazione delle donne e delle ragazze con disabilità

in Europa e nel mondo. Nata nel 1966 a Zafra, nella regione spagnola dell’Estremadura, Ana, non vedente, è laureata in Scienze dell’Educazione e Psicologia presso l’Università di Siviglia e ha conseguito la specializzazione sulle esigenze specifiche delle persone con disabilità frequentando corsi di dottorato presso l’Università di Salamanca. Attualmente è consigliera per le relazioni e le attività internazionali della ONCE, l’organizzazione nazionale spagnola dei ciechi. È anche vicepresidente della Fondazione per le Donne del C.E.R.M.I., il Consiglio Nazionale spagnolo della Disabilità, nonché vicepresidente del Forum Europeo della Disabilità ( E.D.F.), di cui presiede il Comitato delle Donne. Ha fatto parte dal 2009 al 2016 del Comitato della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità e dal 2010 al 2014 del Direttivo della Lobby Europea delle Donne.

È stata rappresentante del Governo Spagnolo nella Commissione Internazionale che ha predisposto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, concentrandosi sul tema trasversale della questione di genere. Durante la sua permanenza nel Comitato della Convenzione O.N.U sui Diritti delle Persone con Disabilità ha contribuito alla stesura di un’importante relazione sullo stesso argomento. Da vent’anni, ormai, seguendo l’approccio intersettoriale dei diritti umani, Ana ha guidato

e consigliato governi,la società civile e varie istituzioni, per assicurare la piena inclusione delle donne e delle ragazze disabili nelle azioni e nelle politiche che le riguardano. A tal fine è stata relatrice in varie conferenze organizzate dalle Agenzie delle Nazioni Unite specializzate sui diritti umani, così come da organismi internazionali, quali la Commissione Europea, il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa. Dal 2010 rappresenta le donne con disabilità nella Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne. Ana è una donna colta, estroversa, dinamica

e determinata, che si è dedicata alla lotta contro la discriminazione delle donne e delle ragazze con disabilità.

Ana Peláez Narváez

Si è sempre battuta contro la discriminazione intersettoriale di genere, ha pubblicato numerosi articoli e relazioni sui diritti umani e le libertà fondamentali delle donne e delle ragazze disabili.

È convinta che bisogna utilizzare tutti gli strumenti disponibili per combattere la discriminazione di genere, basandosi soprattutto sui diritti garantiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Le donne e le ragazze disabili sono ancora al margine delle decisioni e delle iniziative sulla parità di genere e la loro voce è spesso inascoltata. Per Ana è venuto il tempo di includere il tema della disabilità nel CEDAW, il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.“Quasi un quinto di tutte le donne nel mondo hanno una disabilità” dice Ana,“e mal grado ciò sono troppo spesso ignorate ed emarginate. È necessario

conoscere e affrontare i loro bisogni e le loro aspirazioni, per riuscire ad abbattere le barriere che le costringono all’isolamento e all’invisibilità. Rompere il cerchio dell’invisibilità e dell’ignoranza dei problemi delle donne e delle ragazze disabili

è lo scopo che mi sono prefissa, accettando la mia candidatura da parte della Spagna nel Comitato del CEDAW.” Ana è decisa a battersi per il riscatto delle donne e delle ragazze disabili e non le mancano gli argomenti per dimostrare l’urgenza di portare alla luce le loro sofferenze e gli abusi nei loro confronti. Infatti, le donne e le ragazze disabili sono soggette costantemente a forme di violenza di ogni genere, sia all’interno della famiglia, sia nella società. “Voglio concentrarmi” insiste Ana “proprio sull’emancipazione di queste persone,che sperimentano ogni giorno le difficoltà di vivere

una vita normale. Mi propongo, quindi, di darmi da fare perché questo problema venga discusso e compreso in modo che nel futuro le donne e le ragazze disabili possano avere pari diritti ed essere incluse nella società di tutti. Sono fortemente convinta che bisogna far capire il significato e il valore della diversità umana, che è fondamentale

per superare gli stereotipi, i pregiudizi e la discriminazione ancora purtroppo diffusi”. Ho chiesto ad Ana come riesce a conciliare i suoi numerosi impegni professionali con quelli familiari. Infatti Ana è sposata e ha una figlia di 11 anni. “Certamente

è difficile curare gli affetti familiari quando devi viaggiare per mezzo mondo e restare lontana da casa e a volte anche per settimane. Fortunatamente ho un marito meraviglioso

che mi sostiene e mia figlia se la cava molto bene sia a casa che a scuola. Il prezzo che pago è alto, ma ho tante soddisfazioni, che mi compensano dei sacrifici che devo affrontare. Mi sono prefissa uno scopo importante e spero di riuscire a vincere il pregiudizio che colpisce tante donne e ragazze disabili. Quando, or sono vent’anni, ho cominciato a lavorare alla ONCE, il mio direttore mi disse che avrei dovuto occuparmi della condizione delle donne. Mi sembrò strano, perché non mi sembrava che esistesse questo problema. Oggi, mi rendo conto che quella è stata una scelta ottimale, importantissima per il mio lavoro e per la mia vita. Infatti, ho scoperto che la discriminazione contro le donne è un fatto endemico, che si manifesta in forme assai diverse. Le forme più eclatanti di violenza contro le donne e le ragazze con disabilità sono l’abuso sessuale e la sterilizzazione forzata. Ho collaborato recentemente a una ricerca su questa forma di repressione, la cui diffusione e gravità non conoscevo.

La discriminazione comincia quando non la si riconosce e non si fa nulla per combatterla. Il silenzio 11 e l’invisibilità sono complici della discriminazione e la vulnerabilità di chi non può difendersi lascia troppo spazio alla perversione e alla malvagità dei violenti.

Ecco perché non si può tacere e bisogna denunciare gli abusi con forza e chiarezza. Per fare ciò bisogna sensibilizzare le organizzazioni per la difesa e la tutela delle donne, che ancor oggi non si interessano a sufficienza delle donne e delle ragazze disabili. Sono orgogliosa di combattere questa battaglia e mi impegnerò al massimo per vincerla”.

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