Bologna. Il ghetto

Una pacifica e operosa realtà che solo con l’unità d’Italia riconquista la libertà
Paola Emilia Rubbi

In qualche misura la toponomastica serve ad indicare quali siano stati l’origine e il destino di quella particolare e suggestiva porzione di città situata proprio ai piedi delle Due Torri, nel cuore di Bologna: via dell’Inferno, via dei Giudei, via Canonica, vicolo di S. Giobbe. Ancora di più, però, a suggerire e ricordare la destinazione che fu data al quartiere è la ben conservata originaria struttura urbanistica: vicoli stretti, pochissimi portici, passaggi sopraelevati che mettono in comunicazione fra loro le diverse abitazioni. E l' atmosfera tranquilla, quasi fuori del tempo, che qui si respira. Siamo in quello che fu il ghetto ebraico di Bologna (città in cui già dal ‘300 vivevano e lavoravano ebrei “in ordine sparso”), istituito nel 1555 in ottemperanza di una bolla papale (la CUM NIMIS ABSURDUM, emanata da Paolo IV Carafa) che stabiliva che qualunque città o paese sotto giurisdizione della Chiesa doveva separare gli ebrei dal resto della popolazione, costringendoli a risiedere in una sola strada (la “Giudecca”) o – se più numerosi – in un solo quartiere chiamato inizialmente “serraglio degli ebrei” e successivamente “Ghetto”. Ma non basta: il ghetto doveva essere recintato con un muro dotato di entrate e uscite sbarrate da portoni, che venivano chiusi dal tramonto all’alba e controllati da guardiani pagati dagli stessi ebrei. 

Via dell' Inferno, Bologna - foto di Giampaolo Zaniboli

Il ghetto bolognese era delimitato dalle vie Zamboni, Oberdan e Marsala (questi i nomi attuali) e aveva tre cancelli di accesso: uno all’imbocco di via dei Giudei, vicinissimo alla torre Garisenda; un altro nell’attuale via Oberdan nell’arcone che dà sul vicolo Mandria attraverso vicolo Tubertini; il terzo nell’odierna via Zamboni (sotto l’arcone sormontato da un mascherone a bocca aperta, a fianco di palazzo Malvasia) è l’unico ancora riconoscibile. Nelle stradine del ghetto esisteva una sola sinagoga, in via del Carro 16, e nei piccoli negozi artigianali venivano esercitate ben specifiche attività: prestito su pegno, vendita di seta e panni, tipografie, queste ultime molto qualificate e attive. La bolla di Paolo IV cadde quindi come un fulmine a ciel serenosu una pacifica e operosa realtà, in una convivenza così buona che si determinava un progressivo accrescimento della comunità ebraica, sia sotto il dominio dei Bentivoglio, che – dal 1506 – persino sotto quello dello Stato della Chiesa.

Via Valdonica, Bologna - foto di Giampaolo Zaniboli

Il peggio venne nel 1569: con un’altra bolla (la HEBRAEORUMGENS) papa Pio V Ghislieri imponeva agli ebrei dei domini pontifici di lasciare tutte le città, meno Roma e Ancona. A Bologna circa ottocento persone furono costrette a lasciare il ghetto, che rimase come un fantasma urbanistico fino al 1586 quando venne concesso il rientro. Comunque durò poco la presenza ebraica nel ghetto bolognese perché nel 1593 papa Clemente VIII con la bolla CAECA ET OBDURATA ne decretò la cacciata definitiva. Venne così abbandonato quel tipico quartiere che fra la fine del ‘300 e il 1593 era stato un centro molto attivo della cultura ebraica: vi avevano operato, sul finire del ‘400, due rinomate tipografie (esce da qui la ‘prima edizione datata del Pentateuco ebraico con commento di Rashì); nel 1464 era stata istituita presso lo Studio bolognese la cattedra di ebraico; nel 1525 Ovadià Sforno, medico, filologo e filosofo, aveva fondato e diretto una scuola di studi talmudici; erano fiorenti le attività bancarie, il commercio di grano e canapa e quello delle stoffe. E venne il silenzio nelle stradine del ghetto, fino all’avvento della Repubblica Cispadana e di Napoleone che ripristinò la libertà di culto anche per gli ebrei riconosciuti cittadini a pieno titolo. Ma ancora una volta dura poco: nel 1815 Bologna torna sotto il dominio dello Stato pontificio che ancora una volta abolisce tutti i diritti e riconferma tutte le precedenti proibizioni. Solo con l’annessione delle Legazioni pontificie al regno d’Italia, nel 1859-60 la comunità ebraica riconquista la libertà, ovviamente anche quella di abitare e lavorare senza vincoli territoriali. 

Risparmiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, questa suggestiva storica porzione di città, raccolta in pieno centro medioevale, ove sorge una delle superstiti torri (la torre Uguzzoni), dopo un rispettoso restauro conservativo operato dal Comune di Bologna a partire dagli anni ’80, si è arricchita di un Museo ebraico ed ha intelligentemente difeso il suo DNA storico e ambientale.

Via del Carro, Bologna - foto di Giampaolo Zaniboli

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