Daniele Cassioli: campione che scivola sulle difficoltà

La testimonianza di un ragazzo campione nello sport, campione nella vita
Silvia Colombini

Con l’ultima medaglia d’oro conquistata quest’estate ai campionati Europei di sci nautico per disabili, Daniele Cassioli è il campione disabile di questa specialità che ha vinto più di tutti. 17 ori agli Europei, 16 i ai Mondiali, imbattuto in Italia, Daniele è oggi un simbolo per tutti coloro che lottano ogni giorno contro le difficoltà che la condizione di disabilità può causare. Cieco sin dalla nascita a causa di una retinite pigmentosa, è sempre riuscito a condurre un’esistenza normale. Con una laurea in fisioterapia e una passione per l’attività sportiva che coltiva sin da bambino, Daniele oggi è un uomo di 30 anni che lavora al Medical Group di Castellanza, un centro polispecialistico, e si allena già per la nuova sfida dei prossimi Mondiali, che si terranno in Australia nel 2017.

La condizione di cecità, non ti ha impedito di condurre una vita normale e di raggiungere grandi risultati in ogni ambito. Dove hai trovato la forza e l’energia necessarie?

La mia situazione rischiava di essere un grosso freno per la mia realizzazione a tutto tondo: professionale, sportiva e soprattutto umana. Questo perché, talvolta, per chi non vede pensare di fare cose normali non è scontato. I primi ostacoli, in questo senso, arrivano dal mondo esterno: difficoltà nel trovare un’università che ti accolga veramente, scardinare le credenze che avvolgono lo stereotipo della persona non vedente e via dicendo. La cecità, spesso, è un problema più per gli altri che per me. Inizialmente, tutta la mia forza è dipesa dall’amore costante della mia famiglia. Questo mi ha regalato consapevolezza e fiducia in quello che sono, piuttosto che avere paura di quello che non ho. Dopo questo passo, è più facile accogliere e sfruttare energia positiva e forza d’animo.

Daniele Cassioli

Coubertin diceva che “lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”. Cosa significa per te esprimerti con il corpo?

Mica sciocco questo Coubertin! Scherzi a parte, lo sport ha un valore così grande nella mia esistenza che è difficile calcolarlo. Da piccolino significava rivalsa: i bimbi che erano a scuola con me facevano tutto per imitazione. Per chi non vede, questo è impossibile e sei costretto ad andarti a cercare le esperienze motorie. Quindi, quello che a scuola potevo esprimere in minima parte nelle ore di ginnastica, mi veniva restituito con gli interessi quando calzavo sci di qualsiasi tipo. Crescendo, il significato di fare sport ha acquisito altri mille risvolti. Il più importante è permettere (o costringere come preferite) gli altri a guardarti con occhi diversi, di ammirazione e non di compatimento.

Nuoto, karate, sci sulla neve: hai praticato tante discipline. Come sei arrivato allo sci nautico?

L’acqua è sempre stato il mio elemento e per quello sono partito da lì. In acqua non puoi cadere o andare a sbattere contro un ostacolo, quindi mi sentivo al sicuro. Dopo qualche anno, ero pronto a cimentarmi in un ambiente meno protetto ed ecco il karate. Poi, nel 1994, abbiamo conosciuto il Gruppo Verbanese Sciatori Ciechi, visionari che dal 1982 portano i ciechi a fare fondo o sci da discesa. Questo gruppo (nel quale scio tuttora), ha rappresentato una vera palestra di vita per me. Lo scivolamento mi attraeva da morire e quindi eccomi sull’acqua,

Hai incontrato difficoltà nel mondo sportivo?

Assolutamente sì. La gente ha pregiudizi su un piatto di pasta, figuriamoci su una persona che non vede. Quando il cameriere ti mette il piatto davanti, dall’odore o da come si presenta si pensa di sapere già che gusto avrà in bocca. Per me era la stessa cosa: lui non vede quindi può fare questo, ma non può fare quest’altro, il tutto a priori. Pane per i miei denti! Non parlo solo di contesto sportivo ma di tanti momenti della mia vita anche di oggi.

Oggi i disabili, a livello sportivo istituzionale, hanno lo stesso valore dei normodotati?

Mi permetto di dire che non è proprio così, però stiamo facendo enormi passi verso un futuro migliore e l’Italia è molto più avanti di altri paesi. Eventi come le paralimpiadi, ad esempio, sono uno stupendo catalizzatore; non bisogna accontentarsi però perche gli stessi atleti, una volta scesi dall’aereo e tornati nelle proprie città, devono combattere per trovare strutture dove allenarsi, tecnici preparati e qualche sponsorizzazione. Non è tutto oro quel che luccica ma stiamo crescendo, basti pensare a cos’erano gli handicappati 60 anni fa e a cosa sono i paralimpici oggi, istituzioni comprese.

Quali i traguardi raggiunti della federazione di sci nautico?

Il traguardo di maggior valore è aver saputo creare un centro federale per tutti, ma davvero tutti! Io mi alleno quotidianamente con ragazzini, senior, professionisti e amici. Questo ha rappresentato il primo seme per creare un ambiente in cui non esistono barriere architettoniche e soprattutto culturali e questo è impagabile.

Cosa significa scivolare sull’acqua?

Significa tantissimo, è una sfida continua con me stesso e un divertimento assoluto battersi ogni giorno. Lo sci nautico ha tre discipline: slalom, figure e salto. Lo slalom, rappresenta la cura maniacale del dettaglio tecnico, il salto è adrenalina pura alimentata da quei venti metri che passo in aria, da solo, libero!

Cosa ti ha dato lo sport?

Ha permesso di strutturare la mia personalità, predisposizione al sacrificio, affrontare le paure e amore verso una passione. Poi. mi permette di viaggiare, parlare lingue straniere, conoscere altre culture e disabilità.Infine, la risonanza che genera un successo mi permette di parlare di tematiche quali la cecità e l’integrazione. Vado a parlare nelle scuole, in vari convegni e porto tanti bimbi piccoli che non vedono a sciare, ma soprattutto do alle loro famiglie la consapevolezza che pur non vedendo si può essere, si può vivere!

Hai vinto tutto, cosa vorresti adesso?

Il mio sogno sarebbe partecipare a un’olimpiade o paralimpiade. 

Daniele Cassioli

C’è ancora qualcosa che senti precluso?

La mia condizione è sicuramente un limite, c’è poco da discutere. Poi, come rapportarsi a un limite è tutto nelle nostre mani e quello che sembra ostacolarci può fungere da sprone per superarci. La cosa pratica che più mi manca è non poter guidare in città. Anche a questo ci arriveremo, esistono già automobili che si muovono da sole!

Consigli a chi cresce in una condizione di disabilità come la tua?

Il primo passo secondo me è non deresponsabilizzarsi sulla ricerca della felicità. Non vedere non deve autorizzarci ad abbatterci e a darci per vinti. Ci sono persone che hanno i 5 sensi che sono più tristi o in frustrazione di altre che non vedono, non sentono o non camminano. Mai avere paure o convinzioni negative che ci appioppano gli altri. Per alcuni rettori di Università non era possibile che io mi laureassi in fisioterapia e li ho smentiti. Poi puntare tanto sull’autonomia, sui rapporti veri e sulle abilità motorie. Non permettere alla cecità di inghiottirsi con sé anche la consapevolezza e la gestione del proprio corpo nelle attività ludiche o sportive.

I prossimi traguardi che ti attendono?

A breve termine c’è un mondiale che affronterò da campione in carica. Poi, voglio crescere dal punto di vista professionale nella cura di sportivi ad alto livello e sogno di sfruttare questa crescita anche per insegnare a chi non vede. La fisioterapia è uno dei campi in cui possiamo farci valere e quindi dobbiamo essere tosti e ben preparati per risultare competitivi e vincenti anche nel mondo del lavoro. Poter mettere al servizio di persone che si trovano nella mia condizione le mie capacità è una missione che sento dentro.

 

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